Parlare di Gabriella Vicari è come parlare di un’artista Polytropos (πολύτροπος), dall’ingegno multiforme e
versatile, artista dal talento affermato a trecentosessanta gradi, donna di teatro, scrittrice, poetessa e di recente
anche romanziera con il suo intenso quanto appassionato e viscerale libro “L’isola di Nenè e altre storie” edito da
SBE Swanbook Edizioni. Ed è di quest’ultimo suo lavoro di cui voglio scrivere. Una Sicilia che non è metafora, ma realtà e frutto di una memoria attiva e descrittiva di fatti, di luoghi vissuti con forti emozioni, con un intenso esserCi. Racconti struggenti e al contempo illuminanti per sviluppare riflessioni profonde sulla condizione umana di un passato recente, per un presente senza memoria sviato da una superdigitalizzazione che proietta indubbiamente verso un futuro che non esiste (Dostoevskji), effimero e che esiste solo come sentimento di speranza e che mette al bando ogni vissuto del trascorso.
A questo punto, in questo freddo presente, riannodare i fili della memoria (come dice il carissimo amico Enzo
Randazzo) diventa fondamentale, operazione che Gabriella ha svolto con dovizia e pervicacia. Dice Aristotele il
miutos (μύθος) cioè l’intreccio dei fatti, l’intreccio delle cose che accadono, richiede la presenza del passato e
quale più azzeccata citazione per descrivere queste undici narrazioni dell’Isola di Nenè. Tutto, in questo volume, nasce dalla memoria di un padre, che ha il dominio delle sue esperienze vissute quelle belle, ma soprattutto quelle dolorose, quelle che narrano di fatti di un tempo che non tornerà più, quelle che hanno capacità di dare schiaffi ai sentimenti sopiti e che per forza di cose producono immagini sbiadite, immagini che inevitabilmente si legano ad un ricordo.
Ed è da questi racconti che si evidenzia l’importanza dei ricordi. Noi senza ricordi siamo niente, perché i ricordi
sono la sostanza e la materia della nostra esistenza. I luoghi descritti magistralmente dalla Vicari sembrano vivere,
i profumi si annusano, le emozioni si provano, il cinguettio degli uccelli si sente. E sfogliando queste pagine ci assale quell’altro sentimento fondamentale della nostra esistenza, frutto della memoria, che è la dimensione della nostalgia. Passa il tempo, il tempo diventa memoria. Ed è così che nel ricordo dell’amore della madre che non teme nessuna morte, perché come dice Foscolo “solo chi ha amato in vita, non temerà la morte”, si spendono lacrime, così come cala il vento della nostalgia in Nenè che non l’ha mai dimentica e “sussurra il suo nome al vento”.
Le cose vissute, i luoghi vissuti, i sensi investiti ci fanno desiderare il ritorno a qualcosa a cui non potremo più
tornare. Gabriella, insomma, ha questa capacità di farci emozionare perché ci fa andare con la mente ad un tempo
passato che non potrà mai più tornare. Nostos (ritorno) – algia (dolore). Nostalgìa (νοσταλγία) che non è altro che
il dolore del ritorno.
Questa è la mistura che rende i racconti coinvolgenti al lettore: una scrittura ove s’innescano ritmi ben dosati, che
svelano al lettore ogni ombra al fine di rendere vera, plausibile e scorrevole la costruzione personale delle immagini mentali ma, soprattutto, la percezione del “sentire” come occhio del cuore. Ed infine quell’uso sapiente del linguaggio che passa dalla parola poetica italiana a semine vernacolari come una spolverata di bellezza sulla storia. Lexis (λέξις), uso sapiente del linguaggio che denota e rende chiaro il pensiero profondo di alta moralità e la diànoia (διάνοια), il pensiero profondo di alta moralità che questo romanzo c’insegna e ci lascia come invito al viaggio tra le spirali dell’Amore, come dice l’amico Peppe Macauda, postfatore, Amore che vince la morte, l’amnesia, la costrizione, le zavorre; l’amore che si compone di dignità, ma sa anche essere morso e nuvola di fumo, Amore argomento di cui è permeato e su cui si sono costruiti e innalzati i pilastri dell’Isola di Nenè.
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