La lotta dei partigiani e delle partigiane si concentrò soprattutto nelle regioni settentrionali del nostro Paese. L’Italia centrale venne liberata dagli Angloamericani alla metà del 1944. Ma la Storia del nostro Paese e le Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana (Einaudi, 2015) contengono la voce, la forza, l’energia, l’intelligenza, le passioni di uomini e donne, appartenenti a tutte le età e a ogni classe sociale, consapevoli del dovere della libertà e del prezzo ch’essa – scrive nell’Introduzione il professore emerito Gustavo Zagrebelsky- in momenti estremi comporta. Oggi il nostro Paese è cambiato, ha subito e subisce continue metamorfosi. In quest’intervista con il professore Salvatore Distefano, docente di Filosofia e Storia, collaboratore con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e Presidente dell’Associazione Etnea Studi Storico-filosofici di Catania, proviamo a raccontare, indirizzando e colmando vuoti e ipocriti discorsi, cos’è e cosa è stata la Resistenza, cos’è stato e cos’è l’antifascismo.
Anche quest’anno il 25 Aprile lo celebriamo in «versione quarantena». Dopo 76 anni la Festa della Liberazione, per volere dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) e degli Istituti per la Storia della Resistenza, tale Festa vuol essere commemorata con la forza delle parole: parole che nella già citate Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana risuonano in un’altra Italia.
D.: Professore Distefano, dopo anni di dibattito sul senso e la «fine della storia» (non si può non ricordare il «manifesto» lanciato dal professore Andrea Giardina ( articolo) qual è il rapporto tra gli Italiani, soprattutto i giovani, e la loro Storia?
R.: Oggi assistiamo, infatti, a un’autentica quanto inaspettata «fame di storia» che, cibandosi di fiction o di revisionismo spettacolare, contribuisce a svilire il senso di ciò che realmente è accaduto nel tempo. Si assiste in sostanza a un paradosso: da una parte cresce la «domanda» di Storia, che induce un autentico boom della produzione di tipo divulgativo, dall’altra si verifica lo strangolamento della produzione scientifica in senso proprio, per la quale non si prospettano fondi, né sbocchi editoriali, né strategie di reclutamento e formazione di giovani studiosi. E come se non bastasse, la sovrapposizione sempre più frequente tra storia, romanzo e fiction scardina presso le nuove generazioni il senso della storia come scienza e rende il confine tra il vero e il verisimile, e perfino il falso, invisibile o irrilevante. Non deve essere accettabile che siano la logica del mercato e la visibilità mediatica a decidere cosa trasmettere al pubblico, a prescindere da falsità, inesattezze, scoop inventati e perfino pericolosità di certe teorie, come dimostra la ripresa attuale delle tesi del «revisionismo» e del «negazionismo storico». E proprio per evitare rischi di questo genere che è necessario, importante, nonostante il coronavirus, festeggiare il 25 Aprile, la Festa della Liberazione dal nazifascismo. In Italia è invalsa, negli ultimi decenni, una «moda»: sminuire la ferocia del nazifascismo, paragonandolo ad una villeggiatura della quale i prigionieri politici antifascisti dovrebbero essere grati al duce, e per paradosso vengono denigrati i partigiani, e con loro la Resistenza antifascista, cioè chi ha portato la pace, la libertà e la democrazia. Noi dobbiamo rispondere con fermezza rivendicando il sacrificio e la lungimiranza di coloro che si opposero al fascismo sin dal suo primo sorgere, nei drammatici anni Venti subito dopo la Prima guerra mondiale, e continuarono la lotta durante la dittatura feroce, dopo le «leggi fascistissime», pagando con il carcere duro o con l’esilio la scelta di non piegarsi al regime. E qui è giusto ricordare, tra gli altri, il sacrificio di Giacomo Matteotti, di Antonio Gramsci, dei fratelli Carlo e Nello Rosselli.
D.: Professore Distefano, cos’è e qual è il messaggio della Resistenza?
R.; Finalmente dopo l’8 settembre del 1943 iniziò la Resistenza, la guerra di Liberazione che i partigiani, uniti con gli Alleati, portarono avanti fino al 25 aprile del 1945 con l’obiettivo di risollevare l’Italia dal fango e dalla vergogna nella quale l’aveva gettata il regime mussoliniano, che irresponsabilmente aveva trascinato il nostro Paese nella guerra voluta dal nazismo. Ma non contenti di ciò i fascisti, anche dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia e la firma dell’armistizio (Cassibile, Siracusa), continuarono a stare dalla parte della barbarie dei nazisti seguendoli nella loro folle azione di sterminio e di annientamento. Per responsabilità del fascismo, l’Italia era precipitata, e continuava a precipitare nel baratro della guerra, della miseria, dello sfruttamento. Solo l’azione unitaria e di massa del popolo italiano avrebbe potuto, come in effetti poi accadde, salvare il nostro Paese da una catastrofe. Ma per comprendere ancora meglio quale rischio mortale abbia corso l’Italia, (anche perché senza la Resistenza e lo sganciamento dalla Germania hitleriana gli Alleati ci avrebbero punito ancor più severamente), basta porsi la domanda ovvia ed elementare su quali sarebbero state le conseguenze della vittoria dei repubblichini di Salò alleati coi tedeschi, invece di quella dei partigiani combattenti dalla parte degli Alleati nella guerra antinazista. Non sarebbe stata forse la perpetuazione, anzi il rafforzamento del dominio del nazismo sull’intera Europa? Quale futuro avrebbe avuto la nostra patria? In quale terribile nazione saremmo stati costretti a vivere? La Resistenza, dunque, come punto alto della storia italiana (una delle quattro R: Rinascimento, Risorgimento, Resistenza, Repubblica) perché ha visto il protagonismo dell’intero popolo italiano, che umiliato dal ventennio fascista e dalla Seconda guerra mondiale, seppe trovare la forza materiale e morale per riscattarsi e risorgere. Peraltro, nel nostro Paese non era mai venuta meno l’attività antifascista, che con grande sacrificio le forze democratiche e di sinistra avevano portato avanti contro il totalitarismo fascista. Le formazioni partigiane testimoniavano, non a parole, la critica che il popolo italiano aveva sviluppato negli anni della dittatura; e con la loro forza organizzativa, con i loro ideali, con il loro sacrificio dimostravano l’esistenza di un’altra Italia. Di quell’Italia che non voleva tornare allo stato liberale pre−fascista frutto di una borghesia che pur di non allargare le basi dello stato alle grandi masse popolari, rappresentate in quel contesto dai socialisti e dai cattolici, fece una rapida virata a destra e preferì distruggere l’ansimante stato liberale piuttosto che dare riconoscimento politico e sociale alle classi subalterne. La Resistenza, pertanto, si richiamò al Risorgimento per l’alto valore politico e morale, ma seppe andare oltre lo stesso Risorgimento vista la partecipazione di massa, gli interessi sociali che mise in campo, gli ideali del lavoro, della tutela dei diritti individuali e collettivi, della solidarietà, della pace, della libertà di pensiero e d’espressione, dell’autonomia della scienza e della cultura, dell’uguaglianza e della giustizia sociale. Gli ideali dell’antifascismo e della Resistenza, trasfusi in gran parte nella Costituzione della Repubblica, hanno concorso alla formazione di una coscienza civile che ha costituito il più saldo cemento dell’identità e dell’unità nazionale. Ancora: la Resistenza rappresentò una novità senza precedenti nel rapporto masse−istituzioni e preparò la rinascita – o per alcuni la nascita – dei partiti di massa che hanno avuto un ruolo essenziale nella vita politica del Paese, anche se negli ultimi anni la vita dei partiti è stata piuttosto controversa. In quel torno di tempo si venne a creare tra le forze organizzate – gli uomini, le donne e i giovani di diverso orientamento – una dialettica tesa al confronto, che in qualche occasione assunse toni aspri, di posizioni politico-ideali molto diverse, ma che trovarono il modo di dialogare. Le grandi correnti politico-culturali che avevano segnato la storia italiana, quella «cattolica», quella «marxista», quella «liberale», trovarono la sintesi alta tra le diverse ispirazioni e orientamenti, dando basi fondanti moderne e democratiche, e consentendo di avviare un processo di trasformazione sociale capace di superare la società classista ed elitaria del passato. Da queste diverse istanze, ben radicate nella vita del Paese, ci fu la nascita di uno «stato di diritto sociale», la novità più rilevante rispecchiata e contemplata dall’ordinamento repubblicano. Forze con matrici ideologiche e storiche lontane, in grado però di avvicinarsi, di dialogare, di traguardare l’immediato e il particolare, riuscendo a produrre risultati di dimensione epocale: la Repubblica, l’Assemblea costituente, la Costituzione. In conclusione, mi piace citare le bellissime parole che uno dei padri costituenti, Piero Calamandrei, scritte nel suo libro «Uomini e città della Resistenza»: «Gli uomini della Resistenza volevano costruire un mondo giusto, dove tutti gli uomini vivano del proprio lavoro, dove ogni uomo conti veramente per uno, dove ogni cittadino sia libero di esprimere la propria opinione dalla sua tribuna…per questo i martiri ci chiedono di essere degni di loro, considerando la loro fine un punto di partenza che doveva segnare ai superstiti il cammino verso l’avvenire».