In tutto il mondo è in atto una vera e propria guerra di vaccini. Prima per l’autorizzazione all’utilizzo, con i mille problemi (di non poco conto) legati alla responsabilità in caso di effetti collaterali e su chi dovrebbe farsene carico. Poi sulla reale efficacia. Quindi, sul mancato rispetto delle dosi promesse da parte di molti fornitori, i quali, dopo aver siglato contratti a nove zeri con i vari paesi, hanno deciso di ridurre le forniture con conseguenze difficilmente calcolabili (non ultima la morte delle persone non vaccinate, se è vero che il vaccino dovrebbe salvare vite umane – se no che lo stiamo comprando a fare?).
Anche l’Europa vorrebbe dotarsi di un meccanismo per controllare l’export dei vaccini. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato l’intenzione di vietare l’esportazione di dosi verso paesi terzi, se le società farmaceutiche non rispetteranno gli accordi di fornitura conclusi con l’Ue. Una decisione presa dopo la comunicazione di AstraZeneca (seguita a quella di Pfizer) di voler tagliare arbitrariamente buona parte delle consegne previste per febbraio e marzo (e la decisione di preferire altri paesi, come il Regno Unito, con il quale l’Ue ha appena chiuso gli accordi per la Brexit!).
La Commissione europea ha chiesto di adottare un “meccanismo di trasparenza e autorizzazione per le esportazioni dei vaccini” che dia all’Ue la possibilità di bloccare le dosi entro i proprio confini.
Con l’Europa in guerra con le case farmaceutiche, gli USA in crisi (sono ancora il maggior focolaio mondiale di diffusione e contagio del virus), la Cina che, solo dopo pressioni internazionali, ha permesso agli ispettori di effettuare controlli e l’Africa assolutamente tagliata fuori non solo dalle politiche di vaccinazione ma anche dai test, la situazione appare, a dir poco, caotica.
Emerge una palese incapacità planetaria di far fronte a emergenze globali. Anche paesi “sviluppati” e moderni sia dal punto di vista politico che tecnologico ed economico hanno commesso errori pacchiani (come svincolare le case farmaceutiche dalle responsabilità).
C’è un paese, però, che sta risolvendo la situazione in un modo al quale i vari ideologi dei paesi “sviluppati” e i vari dottoroni delle commissioni di emergenza non erano arrivati. A confermarlo è Fabrizio Chiodo, immunologo che collabora con il Finlay Institute di L’Avana a Cuba. Qui su un totale di 11 milioni di persone, la percentuale dei guariti supera il 92%. Ma la cosa più sorprendente è che tutti sono stati curati con farmaci prodotti sulla stessa isola. Lascia sgomenti pensare che mentre tutto il pianeta litiga per accaparrarsi mascherine prodotte in Cina e vaccini dalla dubbia sicurezza (almeno fino a quando non sarà completata la sperimentazione), un paese da decenni vittima di embargo riesca a fare tutto da solo. Nonostante l’embargo da parte degli Stati Uniti e il conseguente blocco delle esportazioni e del commercio (in parte cancellati alla fine della presidenza Obama), Cuba sarebbe riuscita a realizzare non uno ma ben quattro vaccini tutti in fase di sperimentazione clinica, cioè di test sui volontari. E uno di questi, in fase più avanzata di verifica, potrebbe iniziare a breve l’ultima fase delle sperimentazioni. Al pari delle più blasonate multinazionali farmaceutiche miliardarie.
Una soluzione che lascia a bocca aperta sotto diversi punti di vista. Il primo è che essendo stata statalizzata, la produzione non dipenderà da nessuna azienda privata e tanto meno straniera, come sta avvenendo in Europa e in Italia. Il secondo, non meno importante, è che il vaccino verrà distribuito gratuitamente e a tutta la popolazione. Il terzo, e forse il più importante dei tre, è che, a breve, Cuba potrebbe produrre molte più dosi di quelle necessarie al mercato nazionale e cominciare a venderle ai paesi del Centro e Sud America. Si sa già che la produzione delle mega aziende di Big Pharma non sarà sufficiente a mettere al sicuro l’intero pianeta (e quindi debellare il virus). Saranno necessarie più dosi di vaccini. E l’Avana è pronta a mettere a disposizione i propri made in Cuba distribuendo gratuitamente le dosi per sostenere chi al mondo non potrà permettersi di acquistarne dalle case farmaceutiche private.
Una notizia sconvolgente che, non a caso, molti media e molti tg hanno preferito non diffondere: cosa succederebbe se si venisse a sapere che in Italia i soldi del Recovery Fund avrebbero potuto essere utilizzati dallo stato per produrre e vaccini per salvare la popolazione invece che per finanziare grandi imprese fallimentari?
Ma soprattutto che avrebbero potuto pensare i cittadini (molti dei quali sono anche elettori, non dimentichiamolo) che esiste un modo diverso di gestire la salute pubblica? Un modo lontano anni luce da quello basato sugli interessi di poche grandi multinazionali che sono riuscite a mettere in ginocchio metà dei paesi sviluppati del pianeta. Un esempio di solidarietà, equità e libero accesso, ma anche un innegabile risultato per un paese da sempre accusato di essere illiberale.