“Luce”, un film che non riusciamo a comprendere? Forse…

Articolo di Gordiano Lupi

Ogni volta che assisto alla proiezione di film osannati dalla critica colta – quella che ha studiato, che ha fatto le scuole di cinema, che scrive su riviste importanti, che quando scrive si capisce poco che cosa scrive – che in realtà si rivelano mere masturbazioni cerebrali, mi viene a mente Caro Diario di Nanni Moretti e un cameo del regista Carlo Mazzacurati, che veste i panni di un critico cinematografico assalito dai rimorsi per aver scritto recensioni lusinghiere di alcuni film, quali Henry, pioggia di sangue, Il pasto nudo, Cuore selvaggio… E stiamo parlando (in certi casi) di signori film, di cinema vero, che può piacere o non piacere ma è fatto nel rispetto della grammatica cinematografica. Tu pensa che diversi critici italiani hanno scritto parole di elogio per “capolavori” come Luce che l’altra sera mi ha fatto scappare di sala (dopo aver visto tutto il film, eh? una pellicola, per rispetto di chi ci ha lavorato, si guarda fino in fondo). Luce racconta la vita di una ragazza che lavora in una fabbrica di pellami del casertano, un giorno grazie al drone di un amico riesce a recapitare il suo numero di cellulare in carcere, alla ricerca del padre, recluso da vent’anni, con il quale non ha più avuto rapporti. Fino a questo punto la parte narrabile, dopo via libera alle possibili elucubrazioni, della serie: la ragazza sta parlando al telefono con il padre oppure è una sua fantasia? Si tratta del padre o di altra persona che ha bisogno di comunicare? Nel fitto mistero si inserisce il rapporto umano tra la ragazza e le colleghe di fabbrica, la scomparsa di un amato gatto e una serata trascorsa al circolo degli anziani per ballare. Tutto questo è Luce, film senza né capo né coda che non riusciamo a comprendere come possa smuovere l’interesse della critica, visto che si basa su elementi non cinematografici come lunghe telefonate, sfocature per mettere in primo piano la protagonista e giornate ripetitive passate in fabbrica. Marianna fontana è molto brava, ma cosa dovrebbe recitare in una simile film? Non è colpa sua se naufraga nel niente assoluto che circonda la pellicola. Tommaso Ragno ha una voce profonda e calda, ma le cose che dice sono ripetitivi luoghi comuni. Responsabili unici i due registi che hanno scritto, sceneggiato, diretto e montato il film. Luce è girato in primissimo piano, spesso con macchina a mano convulsa e nervosa, di fatto instabile, per inserire realismo a piene mani. Fotografia cupa e notturna, montaggio che dire compassato non rende l’idea (93 minuti di niente), regia che si lascia prendere la mano da suggestioni personali che (purtroppo) non vengono recepite da chi guarda. Luce non commuove e non appassiona, lo spettatore non vede l’ora che il film abbia fine, auspicata liberazione da un gigantesco supplizio di Tantalo. Credo di essere uno spettatore preparato al cinema riflessivo, ai montaggi compassati, alle storie piccole durante le quali accadono poche cose; non sono un fan del cinema spettacolare e dei blockbuster. Ma con Luce si tocca il limite dell’umana sopportabilità, alla fine resta solo la possibilità di uno sberleffo per i signori critici che hanno incensato un simile film, magari citandoli ed esponendoli al pubblico ludibrio. Non lo facciamo, ché sarebbe un inutile momento giocoso. Basta il consiglio di astenersi dalla visione, se non siete masochisti e se non volete soffrire, non per le sorti della protagonista, ma per la morte del cinema italiano.

Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Luca Bellino e Silvia Luzi. Fotografia: Jacopo Caramella. Montaggio: Luca Bellino e Silvia Luzi. Musiche: Stefano Grosso, Alessandro Paolini. Costumi: Valentina Ragno. Produttore: Donatella Palermo. Case di Produzione: Bokeh Film, Stemal Entertainment, Rai Cinema, Ministero della cultura, Film Commission Campania. Interpreti: Marianna Fontana (ragazza). Tommaso Ragno (voce del padre al telefono).

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