Nel libro “Profili di Sovrani Angioini, da Carlo I a Renato (1266-1442)” c’è una descrizione del principino Ludovico d’Angiò grazie alla quale si capisce che i giochi non erano nelle sue attività quotidiane prescelte, così come per tutti i bambini, preferendo ad essi la pietà, la disciplina e la preghiera. Suddetta descrizione è, pertanto, l’incipit della vita di questo personaggio che doveva sedere sul trono di Napoli, ma che rifiutò per seguire Cristo: “Lodovico svezzato appena dalla sua balia Serena, cominciò… a dimostrarsi affatto alieno da qualunque puerile trastullo […]. Quasi altro Salomone desiderò l’intelligenza e gli fu conceduta; invocò lo spirito di sapienza e venne a lui. Quindi giunto all’età di anni sette gli fu dato per maestro e guida Guglielmo Minieri … non che molti altri signori… i quali non mai ebbero bisogno di avvertirlo de’ suoi anche minimi doveri; perché egli preveniva le loro instruzioni colla sua inclinazione verso la pietà colla quale pareva esser nato”. La breve esistenza di Ludovico è legata alla storia della città partenopea, investita da un periodo di grandi scambi culturali, rappresentando il fulcro dell’oreficeria, della pittura, della scultura, dell’architettura, dell’arte libraria e delle reliquie. Il fatto di cui vi parlerò riguarda la rinuncia al trono e alla canonizzazione del suddetto che avvenne sotto il pontificato di papa Giovanni XXII, in Francia, mentre una messa solenne veniva celebrata nella chiesa napoletana di San Lorenzo Maggiore, presso l’odierna piazza San Gaetano.
Ludovico nacque a Brignoles nel 1274 e discendeva dalla famiglia reale degli Angioini, suo nonno paterno era il famosissimo re Carlo I, colui che fece costruire il Maschio Angioino. Subito dopo la sua nascita, il principino fu portato a Napoli dove passò quasi tutta l’infanzia fino ai 14 anni quando, per questioni strettamente politiche legate al padre – re Carlo II d’Angiò, lo Zoppo – venne mandato a Barcellona, qui studiò presso due frati francescani. Sarà forse stato per gli studi o forse per l’influenza di questi suoi insegnanti, fatto sta che, in Catalogna, Ludovico sentì la necessità di prendere i voti come frate minore pauperista senza sapere che più tardi la sorte gli avrebbe riservato una strada molto più elevata di quella della povertà. Nel 1295 rientrerà a Napoli dove di punto in bianco, per la morte improvvisa di suo fratello erede al trono, il principe Carlo Martello, si troverà a vestire i panni di futuro re, rimanendo lui come legittimo successore, tuttavia egli rifiuterà il diritto alla corona, abdicando in favore del fratello minore, Roberto il Saggio. A chiunque gli chiedesse ciò che pensava sul diritto al trono, egli dava sempre la stessa risposta: “Gesù Cristo è il mio regno. Se posseggo solo lui, potrò avere tutto. Se non lo posseggo, perderò tutto”. Nel 1296, Carlo II, che non accettò mai la scelta di povertà francescana del figlio, vedendolo vestire l’abito minoritico la Viglia di Natale ad Ara Coeli, a Roma, lo fece nominare vescovo di Tolosa da papa Bonifacio VIII, chiaramente per questioni politiche, ma a Ludovico non gli interessava altro che l’austerità.
Tutte le biografie sono d’accordo sul suo temperamento: frate umile, caritatevole, buono, generoso, sempre di buon umore. Si distinse per la sua attività completamente dedicata alla preghiera notturna e allo studio profondo della teologia e della filosofia. Già da piccolo “Spesso prendeva dalla cucina reale i cibi per darli ai poveri; una volta prese un cappone e lo portava sotto il mantello, il padre lo sorprese ed avendogli alzato il mantello gli trovò in mano un mazzetto di fiori… Tre volte alla settimana andava all’ospedale di s. Eligio di Napoli, ove serviva gli infermi”. Si dice che, quando era a Napoli, abitando nel Castel dell’Ovo, si portasse nelle stanze isolate e vi restasse giorni interi in preghiera per rafforzare lo spirito. Fu anche un predicatore; stette tutta la vita vicino ai poveri, ai malati di lebbra che baciava, agli ebrei perseguitati e ai carcerati. Praticò l’ascetismo, mangiava in scodelle di legno e peltro e indossava un cilicio a pelle con il quale dormiva. Fu un frate estremamente modesto e completamente casto: “Le strategie messe in atto da Ludovico per evitare di avere pensieri impuri erano così estreme che venne preso ad esempio da San Luigi Gonzaga”. Il Giovedì Santo del 1297 lo ritroviamo in Francia, a Parigi, dove, durante la messa, decise di lavare i piedi a una moltitudine di poveri e dove si intrattenne con i teologi universitari. Il 5 agosto dello stesso anno, a Brignoles, dopo aver celebrato una messa in suffragio dell’anima di suo fratello, accusò dei dolori fortissimi. La morte non si fece molto attendere dal momento che arrivò 14 giorni dopo quando egli aveva solo ventitré anni. Il suo santo corpo venne trattato secondo le tradizioni dell’epoca: furono separate le ossa dalla carne. La carne venne sepolta nel chiostro del convento francescano di Marsiglia, mentre le ossa nella medesima chiesa, da dove cominciarono a registrarsi molteplici miracoli a lui attribuiti, secondo il Liber miraculorum del guardiano della tomba. Tre anni dopo la sua morte, il re Carlo II promosse l’avviamento delle pratiche di canonizzazione che si chiusero decenni dopo, sotto il regno di Roberto, il 7 aprile del 1317, quando Ludovico venne innalzato agli onori dell’altare e venne eletto a patrono dei guelfi. Inoltre vennero portate a Napoli alcune sue reliquie. Roberto il Saggio, per completare il tutto, commissionò un dipinto, in cui si vede proprio Ludovico che lo incorona re di Napoli, al pittore senese Simone Martini che in quel momento si trovava in città. Il dipinto, nell’idea di Sua Maestà, voleva essere una chiara testimonianza che il suo trono era stato legittimato proprio dal fratello maggiore e che, quindi, non c’era stata nessuna usurpazione come, invece, si andava dicendo fra i ghibellino. Proprio per scongiurare qualsiasi pericolo – questo fu l’inizio della sua propaganda politica – Roberto fa ritrarre Ludovico su uno sfondo d’oro, seduto su un trono con il saio francescano, ma coperto da un manto prezioso e regale, con il pastorale e la mitra, tutto tempestato di pietre preziose e di leghe costosissime. Il trono in legno finissimo poggia su un tappeto di qualità altissima e, in alto, due angeli lo proclamano meritevole del Paradiso, mentre lui, nel medesimo tempo, pone sulla testa del fratello – che appare piccolo ai suoi piedi – la corona di Napoli. Sotto al trono, delle immagini mostrano la vita del Santo e, tutto intorno, una cornice reca lo stemma della Casa reale. Il dipinto fu fatto per la basilica di San Lorenzo, ma dopo molto tempo, nel 1927, fu portato nel Real Museo Borbonico di Capodimonte, dove si trova tuttora.
Alcuni storici ritengono che Ludovico fu una pedina politica nelle mani di molte persone: in quelle del padre, di Bonifacio VIII e del fratello Roberto che, secondo alcuni, fece uccidere Carlo Martello e indusse Ludovico a prendere i voti per avere via libera verso il trono, la corona e lo scettro.
Ancora oggi gli studiosi propongono nuove tesi sulla sua vita, una tra queste contempla il fatto che il suo vero luogo di nascita sarebbe stato Nocera di Pagani e questo si evincerebbe dal fatto che sua madre, la regina Maria d’Ungheria, fece una permanenza nella reggia di Nocera, dove nacquero quanto meno due figli: Margherita e Ludovico. La cosa sarebbe attestata da un manoscritto anonimo del feudatario di Scafati e anche dalla penna stessa del re Roberto che scrisse una frase che si trova nella Biblioteca Brancacciana e che sarebbe tratto dalla basilica di Santa Chiara: “S’allieta la stirpe d’Ungheria per aver ricevuto un così illustre figlio, s’arricchisce la rocca di Nocera per la nascita di questo beato”. Altre tesi ritengono, invece, che egli sia nato nel castello di Lucera, in Capitanata. Quale sia la verità ancora oggi non ci è dato sapere, ma certamente sappiamo che, dopo più di otto secoli, ancora esite un culto di San Ludovico d’Angiò, erede al trono di Napoli che lasciò la corona per Cristo. A Marano di Napoli, per esempio, c’è una chiesa proprio a lui dedicata.