Luigi Comencini (Salò, 1916 – Roma, 2007) è uno dei più importanti registi del cinema popolare italiano. In questa sede ci limiteremo ad approfondire le sue opere che fanno riferimento al tema della commedia sexy. Nasce a Salò, in provincia di Brescia, studia architettura, si occupa di critica cinematografica per Il Tempo ed è tra i fondatori – insieme ad Alberto Lattuada e Mario Ferrari – della Cineteca Italiana di Milano. Grazie a questo ente vengono raccolti vecchi classici del cinema abbandonati e ritenuti ormai perduti. Nel 1946 comincia la carriera di regista con il documentario Bambini in città e con il lungometraggio Proibito rubare (1948), che lo segnalano come il cantore poetico del mondo infantile, il regista che dedicherà parte della sua attività a un partecipe viaggio nel mondo dell’infanzia. Luigi Comencini si ricorda anche per due clamorosi successi di pubblico e come fondatore del neorealismo rosa: Pane, amore e fantasia (1953) e Pane, amore e gelosia (1954), interpretati da un grande Vittorio De Sica e da una sensuale Gina Lollobrigida, mito sexy del periodo. Luigi Comencini diventa il cantore dell’Italia provinciale, povera ma generosa, che spera e crede nel futuro, capace di innamorarsi, di grandi slanci di generosità e condivisione. Mariti in città (1957) segue la stessa ispirazione del neorealismo rosa ma comincia a battere la strada della commedia erotica, pur con tutti i limiti dei tempi. Renato Salvatori e Giorgia Moll sono gli interpreti principali di una storia che racconta le vicissitudini sentimentali dei mariti che in estate restano a casa da soli. I dialoghi sono audaci, si parla persino di prostituzione, ma non si va oltre il bozzetto d’epoca e la solita caratterizzazione degli uomini immaturi e farfalloni, mentre le donne sono tradizionaliste e seriose. Tra i protagonisti spicca un’ottima Franca Valeri, il comico Nino Taranto, il bel Franco Fabrizi, il solito Mario Carotenuto e la giunonica Yvette Masson. Mogli pericolose (1958) segue ancora la strada del velato erotismo, nei limiti consentiti dai tempi, aggiunge alla coppia Salvatori – Moll, la bella Sylva Koscina e una bellezza fugace che si fa chiamare Dorian Gray. Niente più che una commedia di costume, ma Sylva Koscina balla la danza del ventre e il film rischia guai con la censura. Un altro film velatamente erotico è Mariti in pericolo (1960), diretto dal misconosciuto Mauro Morassi, ma interpretato ancora una volta da una conturbante Sylva Koscina, che si cala nei panni di una donna rovina famiglie e soprattutto complica matrimoni. Marcello Fondato e Ugo Guerra sceneggiano una storia ispirata al teatro di Labiche, una pochade a base di amanti nascosti negli armadi e sotto i letti. Bravissimi Mario e Memmo Carotenuto, fratelli in comicità e rivali nel contendersi le grazie della Koscina, persino con la poesia.
Torniamo a Luigi Comencini. Capolavori indimenticabili del suo cinema sono il fondamentale Tutti a casa (1960), che ironizza con garbo e sarcasmo sulla Seconda Guerra Mondiale, La ragazza di Bube (1963), tratto dal romanzo di Carlo Cassola e interpretato da una stupenda Claudia Cardinale. Si tratta di due lavori importanti che rappresentano l’occasione per rivisitare senza retorica la storia italiana dopo l’armistizio dell’ 8 settembre 1943. Luigi Comencini è soprattutto il regista dell’infanzia, restano indimenticabili sia Incompreso (1966), che Le avventure di Pinocchio (1972), lavoro televisivo di grandissimo spessore che vede un Nino Manfredi in gran forma nei panni di Geppetto. A proposito di film per ragazzi citiamo anche Cercasi Gesù (1981), che segna il passaggio di Beppe Grillo al cinema, il televisivo Cuore (1984) e il remake eccellente di Marcellino pane e vino (1991). Nessuno come Comencini sa raccontare il mondo infantile, comprendendolo e trasmettendolo al pubblico con profonda empatia e senza sdolcinatezze retoriche. La donna della domenica è un altro film di Comencini da ricordare, ma non ha niente a che fare con la nostra tematica, perché è un giallo tratto dal famoso romanzo di Fruttero & Lucentini.
Ai nostri fini interessa il Luigi Comencini che negli anni Sessanta si segnala tra i protagonisti della nascita e dello sviluppo della commedia all’italiana, anche di argomento erotico, capace di dirigere ogni tipo di pellicola conferendole il suo inimitabile stile.
Il primo film a tematica erotica è l’episodio Fatebenefratelli contenuto in Tre notti d’amore (1964), girato da Luigi Comencini, Renato Castellani e Franco Rossi. Il segmento di Comencini, interpretato da una maliziosa Catherine Spaak e da John Phillip Law (che ricordiamo Diabolik nel film di Mario Bava), racconta la storia di una ragazzina disinibita intenta a sedurre un giovane frate che deve accudirla dopo un incidente stradale. Catherine Spaak è perfetta nel ruolo della lolita che in quel periodo deve interpretare molto spesso. In questo caso è la compagna di un ricco industriale che sembra suo padre, calata in un ruolo moderno che oggi si chiamerebbe da escort. Il contenuto erotico dell’episodio è alto ma mai esplicito, ricco di sottintesi, sguardi, carezze rubate, tentazioni non portate a compimento. Il frate si innamora, ma resiste quando la donna viola la clausura ed entra nella sua cella per convincerlo a consumare un rapporto sessuale. Il frate non è un santo, come crede la donna, perché quando lei guarisce e abbandona l’ospedale decide di scappare dal convento e di andarla a cercare. Il problema è che il rapporto ha lasciato il segno su entrambi: lui non vuol più fare il frate, ma lei non vuol più saperne degli uomini, perché si è fatta suora. Il giovane frate quando la rivede vestita da suora cade svenuto, si frattura qualche costola e viene riportato al convento dalla novizia. Da notare una sensuale Catherine Spaak che si mostra molto sexy in abiti monacali. Scritto e sceneggiato dal regista con la collaborazione di Marcello Fondato. Interessanti anche gli altri episodi. La vedova di Castellani vede ancora all’opera la maliziosa Spaak (insieme a Renato Salvatori e Aldo Puglisi) nei panni di un’affascinante parigina, vedova di un boss siciliano, costretta dalla famiglia del marito a rinunciare agli uomini. Il breve episodio è molto interessante perché fa conoscere – pure se in modo stereotipato – le usanze del meridione ed è un ottimo documento d’epoca. Vediamo il pranzo funebre, le donne vestite a lutto pagate per piangere, i panni tesi ad asciugare, i bar affollati di uomini e le donne in casa. La bella vedova sconvolge la quiete di un sonnolento paesino siciliano, un luogo così sperduto da far considerare Catania come una metropoli. Tutti la guardano passeggiare con i tacchi alti, le gonne al ginocchio, i movimenti flessuosi e ancheggianti. Molto sexy il bagno nella fontana con la Spaak che resta completamente nuda (ma si vedono solo le spalle, tutto il resto va intuito) quando viene tolta l’acqua e deve chiedere aiuto. Gli abitanti del paese che provano ad avvicinare la donna vengono fatti fuori uno dopo l’altro dai gelosi parenti che tutelano l’onorabilità del marito. Da citare la battuta delle donne di casa sedute davanti al teleschermo, quando la Spaak riceve un uomo in camera: “Quella è parigina. Vuoi che si diverta con la televisione?”. Scritto e sceneggiato dal regista con la collaborazione di Castellano e Pipolo. La moglie bambina di Rossi affronta il tema della lolita portato alle estreme conseguenze, perché Catherine Spaak – finta ingenua e perversa come non mai – è la moglie giovanissima di Enrico Maria Salerno, un professore che si è innamorato di una compagna bella e seducente. Il problema è che la differenza di età e l’esuberanza da bambina della moglie finiscono per far ammalare il marito di claustrofobia e di turbe nevrotiche. Lui è stressato, non riesce ad aprire gli armadi e gli sportelli, non ce la fa a contenere l’irruenza giovanile della compagna. Adolfo Celi è il medico amico del marito che consiglia una cura a base di tradimenti per ritrovare il perduto vigore. Persino la moglie decide di far andare a letto il marito con una giovane e frivola compagna ma lui non ci sta perché si sente usato. La cura più efficace è che la moglie finga di crescere, di maturare, che si comporti e si vesta come una donna invece che da ragazzina. Le cose non vanno bene, perché il marito guarisce ma comincia a tradire la moglie con un’altra ragazzina. “Siete tutte mie figlie”, dice alla nuova compagna. La moglie bambina finirà per riprendersi il marito in un albergo a ore e per regolare i conti in maniera decisa. “Mena il padre? Che generazione siamo!”, esclama un ragazzo convinto che la Spaak sia la figlia di Salerno. L’episodio, che risente molto dell’influenza di Lolita di Nabokov, è scritto e sceneggiato da Massimo Franciosa e Luigi Magni. Il regista affronta il conflitto generazionale e documenta le mode musicali a tempo di twist e di yè-yè. Il film è una classica commedia sexy di alto livello, un vero e proprio omaggio alla fresca bellezza di Catherine Spaak, icona erotica del periodo storico, acerba lolita che sconvolge la vita di uomini maturi. Ottima la colonna sonora ricca di ritmi giovanili.
La mia signora (1964)è un film a episodi girato da Tinto Brass (L’uccellino e L’automobile), Luigi Comencini (Eritrea) e Mauro Bolognini (Luciana e I miei cari), classificabile come blanda commedia erotica perché affronta le problematiche all’interno del rapporto di coppia. I registi descrivono con umorismo e ironia i rapporti coniugali negli anni del boom. Eritrea di Luigi Comencini, I miei cari (tratto da un racconto di Goffredo Parise) e Luciana di Mauro Bolognini sono tre variazioni più malinconiche sullo stesso tema. Alberto Sordi è il marito, il compagno, l’uomo debole, il mammone, il traditore, l’inetto, lo stressato, l’approfittatore, il succube, il piccolo borghese di ogni episodio. Silvana Mangano rappresenta l’universo femminile, la bellezza acuta e intelligente che esce vincitrice da questa guerra dei sessi.Il film chiude con L’automobile di Tinto Brass, scritto e sceneggiato da Rodolfo Sonego, che Il Farinotti e Il Morandini reputano l’episodio più riuscito. Brass mette alla berlina la passione tutta italiana per le automobili, descrivendo un marito indifferente ai tradimenti ma non al furto della sua berlina. Il personaggio interpretato da Sordi è quello di un marito inetto e nevrotico che in tempi moderni è stato riportato in auge da Carlo Verdone. La frase “A Jaguar mia!”, ripetuta a non finire da Sordi, diventa un tormentone giovanilistico. Il finale vede Sordi abbracciare l’automobile ritrovata e beccarsi un ceffone dalla moglie che ne ha abbastanza di non essere considerata. Molto intensa la colonna sonora (Erano giorni di Sergio Endrigo, pezzi di twist, Rita Pavone…), che negli episodi girati da Brass diventa ritmata e coinvolgente. La sigla di coda è di Armando Trovajoli, che scrive per Gianni Morandi l’intensa e romantica Per una notte no. Paolo Mereghetti concede due stelle al film e afferma che Eritrea e Luciana sono una spanna al di sopra degli sketch in voga in quegli anni; il resto è routine. L’episodio girato da Comencini racconta la storia di una prostituta ingaggiata da un industriale allo scopo di ingraziarsi un ministro donnaiolo dal quale attende la concessione di un appalto. Molto attuale, non c’è che dire.
Le bambole (1965) di Dino Risi, Luigi Comencini, Franco Rossi e Mauro Bolognini è ancora blanda commedia erotica d’autore. La telefonata di Dino Risi (Nino Manfredi, Virna Lisi, Alice Brandet), scritto da Rodolfo Sonego, racconta i tradimenti di un marito nei confronti di una moglie frigida che legge romanzi impegnati e telefona alla madre invece di fare l’amore. Il trattato di eugenetica è il segmento di Luigi Comencini (Elke Sommer, Maurizio Arena e Piero Focaccia), scritto da Luciano Salce e Steno, sceneggiato da Tullio Pinelli. Elke Sommer è una conturbante svedese a caccia di un maschio latino con cui procreare il figlio perfetto. Non trova quel che vuole, ma la commedia è divertente. La minestra di Franco Rossi (Monica Vitti, Orazio Orlando, John Karlsen), scritto da Rodolfo Sonego, sceneggiato da Luigi Magni, racconta le avventure di una borgatara che vorrebbe far fuori il rozzo marito. Monsignor Cupido di Mauro Bolognini (Gina Lollobrigida, Jean Sorel, Akim Tamiroff), sceneggiato da Leo Benvenuti e Piero Di Bernardi sulla base di una novella di Boccaccio, racconta la storia di un’albergatrice innamorata di un ragazzo che per conquistarlo si fa aiutare dallo zio cardinale. Il film è riuscito in tutti i sensi, mette a nudo vizi privati di ogni classe sociale ed è un ritratto impietoso non solo della borghesia italiana. Il tasso erotico è alto per i tempi, al punto che Gina Lollobrigida seminuda attira su di sé gli strali della solerte censura. Il film viene denunciato per oscenità per il primo episodio e solo Manfredi (in mutande) viene assolto.
La bugiarda (1965) è una commedia sexy basata ancora una volta sul personaggio sensuale e provocante di Catherine Spaak. Interpreti: Enrico Maria Salerno, Marc Michel, Jeanine Reynaud, Pepe Calvo, Riccardo Cucciolla e Manuel Miranda. Il film è una coproduzione tra Italia, Francia e Spagna, girato a Roma, deriva dalla commedia di Diego Fabbri, sceneggiata per il cinema da Comencini e Marcello Fondato. Maria (Spaak) si finge una hostess e in questo modo frequenta contemporaneamente il nobile Adriano (Salerno) e il dentista Arturo (Michel). Maria è una ragazza pasticciona e mitomane, sposa il dentista, continua a essere amante dell’aristocratico romano e ogni tanto si fa tentare da un giovanissimo innamorato. La verità si viene a sapere ma la donna non si sgomenta e impone ai due amanti un rapporto a tre, mentre lei ha già messo gli occhi su uno studente. Satira graffiante del maschilismo e del perbenismo piccolo – borghese, commedia all’italiana con risvolti erotici che ironizza sul perbenismo cattolico. Il personaggio di Catherine Spaak è sconvolgente per il periodo storico, perché il regista sta dalla parte di una donna emancipata che mette in riga gli uomini e si permette il lusso di avere tre amanti. Il tono è quello della pochade, della farsa erotica, blanda, senza esagerazioni né momenti di cattivo gusto. Pessimo remake televisivo con identico titolo nel 1990, girato da Franco Giraldi e interpretato da Francesca Dellera.
Infanzia, vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova, veneziano (1969) è la trasposizione cinematografiche dei primi cinque capitoli delle Memorie di Giacomo Casanova, quindi più che raccontare le avventure galanti – che vengono dopo – narra la solitudine di un uomo, in modo ironico e crudele. Leonard Whiting è il giovane Casanova che scopre di possedere un grande ascendente nei confronti delle donne, per questo abbandona l’abito monastico per la carriera di libertino. Tra le protagoniste femminili citiamo Maria Grazia Buccella, Silvia Dionisio, Senta Berger, Tina Aumont, Evi Maltagliati e la figlia del regista Cristiana Comencini (nel ruolo di Angela). Tra gli uomini ci sono anche Gigi Reder, Mario Scaccia, Gino Santercole, Lionel Stander e Claudio De Kunert. Sceneggiatrice è Suso Cecchi d’Amico. Ottima la ricostruzione d’epoca e la cartolina veneziana, anche se spesso il film risulta calligrafico e scollegato, composto di due episodi a sé stanti.
Mio Dio come sono caduta in basso! (1974) è un grande successo di pubblico – meno di critica, come sempre quando si parla di commedia – ed è un film dove Comencini si prende gioco della sessuofobia meridionale e dell’estetismo decadente della borghesia. Laura Antonelli si mostra spesso senza veli e lo fa accanto ad attori come Alberto Lionello, Michele Placido e Ugo Pagliai. La pellicola è scritta e sceneggiata da Luigi Comencini con la collaborazione di Ugo Perilli. Fotografia di Tonino Delli Colli, scenografie di Dante Ferretti e musiche di Fiorenzo Carpi. Tra le presenze femminili ricordiamo Karin Schubert, Rosemarie Dexter e Jean Rochefort. Siamo in Sicilia nei primi anni del 1900, Laura Antonelli è la nobile Eugenia, una donna di sani principi morali che per errore sposa il fratellastro Raimondo (Lionello), figlio dello stesso padre e borghese arricchito. I due apprendono la triste notizia grazie a un telegramma che arriva la stessa notte delle nozze, decidono di tacere lo scandalo, ma al tempo stesso scelgono di vivere come fratello e sorella sotto lo stesso tetto. Motivi economici, convenienze sociali e decoro della casata impongono di recitare una commedia di fronte al mondo. Raimondo non si fa problemi, è un uomo, quindi la morale corrente gli consente di avere rapporti extraconiugali e scappatelle per togliersi tutte le voglie. Inoltre si fa eleggere deputato e subito dopo finisce a fare la guerra. Eugenia è una donna piena di vita, ma visto che è femmina deve trattenersi e fare di necessità virtù. Non è facile, neppure per una siciliana, perché le necessità carnali della bella e giovane moglie in bianco ben presto si fanno sentire. La lettura dei romanzi e dei racconti erotici di Gabriele D’Annunzio rappresenta la classica goccia che fa traboccare un vaso ormai pieno. La donna offre la sua verginità all’autista (Placido), povero e davvero poco raffinato, ma bello e muscoloso, quindi il massimo della tentazione per una donna che da tempo sogna un uomo. Comencini confeziona il ritratto di una donna emancipata e indipendente, che pretende il diritto al rapporto sessuale, al piacere fisico, decisa a non sprecare la verginità nel ruolo di finta moglie. Il regista costruisce una commedia degli equivoci garbata e intelligente, condita da molte sequenze piccanti e da generosi nudi di Laura Antonelli, prendendo di mira i miti dannunziani e le trame tipiche del romanzo d’appendice. Molte sequenze ironizzano sull’eroismo dannunziano e sul suo ardore erotico, ma anche Carolina Invernizio e la narrativa popolare sono sbeffeggiate a dovere. Comencini prende di mira anche la sessuofobia meridionale e la società decadente dalle cui idee nascerà il fascismo. Da un punto di vista erotico è memorabile la scena del pagliaio con il rozzo autista Michele Placido mentre tenta di spogliare una padrona poco collaborativa. Gli attori sono molto bravi, soprattutto i due protagonisti, ma Laura Antonelli in costume d’epoca è al massimo della forma e mostra il meglio di sé in alcuni conturbanti striptease.
Nel capitolo dedicato a Luigi Magni abbiamo parlato delle pellicole a episodi che rientrano nel genere della commedia erotica: Basta che non si sappia in giro (1975), Signore e signori buonanotte (1976)e Quelle strane occasioni (1976). Rimandiamo a tale trattazione.
Nel 1976 Luigi Comencini viene ingaggiato dalla Rai per girare un documentario sull’amore negli anni Settanta: L’amore in Italia, che è andato in onda nel 1978, su Rai Uno, per cinque puntate. Autori dell’inchiesta – oltre al regista – Italo Moscati e Fabio Pellarin. I titoli delle puntate sono molto espliciti: La donna è mia e ne faccio quello che mi pare, La fortuna di avere marito, Innamorati, Ad occhi aperti e A che cosa serve l’educazione sessuale?. Nel 1979 è uscito il libro omonimo, edito da Mondadori, che raccoglie le interviste andate in onda e molto materiale inedito.
Il gatto (1977) è un altro lavoro di Luigi Comencini che presenta un limitato interesse sul versante della commedia erotica. Interpreti: Ugo Tognazzi, Mariangela Melato, Dalila Di Lazzaro, Michel Galabru, Jean Martin, Philippe Leroy, Aldo Reggiani, Mario Brega e Bruno Gambarotta. La produzione è italo – francese, ma il film è ambientato in un cadente condominio romano. Scritto e sceneggiato dal regista con la collaborazione di Rodolfo Sonego. Notevole la colonna sonora di Ennio Morricone. Produce Sergio Leone. Ugo Tognazzi e Mariangela Melato sono fratello e sorella, due maturi scapoli che vivono nello stesso appartamento e sono proprietari dell’intero stabile, affittato a equo canone. Il loro gioco è quello di far andare via tutti i condomini per poter rivendere il palazzo a una società immobiliare, ma c’è chi tiene duro. Il clima da giallo grottesco scaturisce dopo la morte per avvelenamento del gatto dei padroni, ucciso non si sa da chi, ma tutti possono essere i sospettati. Prende il via un’indagine paradossale con Tognazzi detective improvvisato che spia la vita degli inquilini e si fa prendere in odio dalla polizia. Il lato migliore di questa commedia grottesca sono i piccoli segreti che vengono fuori dalla trama che si dipana scena dopo scena e le tresche che interessano i vari condomini. Dalila Di Lazzaro è una donna molto libera che vive nella mansarda e al cui fascino Tognazzi non è insensibile. Un grottesco giallo-rosa, condito di umorismo nero, cupo e crudele, che segna la fine della commedia all’italiana, con qualche spruzzatina di erotismo. Bravissimi Tognazzi e la Melato. Per la parte sexy abbiamo alcune apparizioni senza veli della bella Di Lazzaro, ma anche la Melato è molto sensuale.
L’ingorgo (1979) è un film che prende il via da una situazione di traffico congestionato per mostrare una serie di caratteri e di tipologie umane. Grande cast: Alberto Sordi, Orazio Orlando, Marcello Mastroianni, Stefania Sandrelli, Gianni Cavina, Annie Girardot, Fernando Rey, Angela Molina, Harry Baer, Ciccio Ingrassia, Ugo Tognazzi, Gérard Depardieu, Miou-Miou (Sylviette Hery), Patrick Deware, Ferdinando Murolo, Lino Murolo, Nando Orfei, José Sacristan, Eleonora Comencini e Daniela Gianfranchi Bruni. Musiche di Fiorenzo Carpi. Sottotitolo: Una storia impossibile. Rieditato come Black-out sull’autostrada. La versione integrale dura ben 112 minuti. Luigi Comencini scrive e sceneggia il film con la collaborazione di Ruggero Maccari e Bernardino Zapponi, si ispira a Week-end, un uomo e una donna dal sabato alla domenica (1967) di Jean-Luc Godard, Roma (1972) di Federico Fellini e al racconto L’autostrada del Sud di Julio Cortázar per costruire un’opera fatta di personaggi che sono la metafora degli italici difetti. Non è più commedia all’italiana, perché il tono è cattivo, acido, aspro, non risparmia nessuno sotto gli strali di una scrittura senza speranza. Il film non è immune da difetti: una morale non molto chiara e in ogni caso generica, il bozzettismo di maniera, la descrizione degli episodi senza approfondire. Un ingorgo blocca per 36 ore centinaia di automobili e da qui nascono incontri, amicizie, conflitti, litigi, tradimenti, occasioni che non si sarebbero mai presentate. Il principale elemento sexy è una notevole Stefania Sandrelli, moglie di Gianni Cavina, offerta all’avvocato Mastroianni in cambio di denaro. Angela Molina è una ragazza con la chitarra violentata da tre teppisti, Miou-Miou è la moglie di un autista (Depardieu) che intesse una relazione con un professore (Tognazzi). Completa il quadro dei personaggi negativi un arrogante avvocato interpretato da Alberto Sordi, un laido individuo che progetta imbrogli e speculazioni. Comencini lascia sullo sfondo elementi ecologici e sociologici, si concentra sulla commedia di costume e sulla frase di Borges: “Gli toccarono tempi brutti da vivere, come a tutti gli uomini”. In ogni caso i personaggi mostrano con cura il loro lato peggiore.
La carriera di Luigi Comenciniprosegue concentrandosi sul prevalente interesse per l’infanzia. Titoli come Cuore (1984), Un ragazzo di Calabria (1987), Marcellino pane e vino (1991) ne sono la prova più evidente. Buon Natale – Buon anno (1989), è un garbato affresco sulla vecchiaia velato di nostalgia, interpretato da Virna Lisi e Michel Serrault. Voltati Eugenio (1980) vede tra i protagonisti un’icona della commedia sexy e del cinema erotico come Dalila Di Lazzaro, ma ricopre il ruolo di una mamma sbagliata, ex sessantottina come il marito Saverio Marconi, perno di una famiglia che vive allo sbando e scarica il figlio incolpevole dove capita. Il solo vero amico del bambino è un cane che non lo lascia mai e che lo aiuta a mitigare l’aggressività repressa. Carole André è un’altra presenza femminile di una pellicola che critica la famiglia come istituzione borghese e difende i bambini incolpevoli.
Cercasi Gesù (1981) è il film più interessante di questo periodo. Soggetto e sceneggiatura sono di Luigi Comencini, Massimo Patrizi e Antonio Ricci. La fotografia è di Renato Tafuri, il montaggio di Antonio Siciliano, le musiche di Fiorenzo Carpi e la scenografia di Ranieri Cochetti. Interpreti: Beppe Grillo, Maria Schneider, Fernando Rey, Alexandra Steward, Nestor Garay, Memè Perlini. Cercasi Gesù è opera della maturità di Comencini, che lancia Beppe Grillo attore, gli fa guadagnare un David di Donatello e un Nastro d’Argento per l’interpretazione da protagonista. Un altro Nastro d’Argento va al soggetto originale e fantastico che caratterizza il film, a metà strada tra la storia surreale e la satira politica. Una casa editrice cattolica vuole pubblicare immagini di Gesù Cristo, persino un album di figurine ispirato alla sua vita, e per far questo cerca un volto che soddisfi i gusti contemporanei. Don Filippo (Fernando Rey) incontra casualmente l’autostoppista Giovanni (Beppe Grillo) che pare perfetto per il ruolo. Insieme a Giovanni c’è anche la terrorista Francesca (Maria Schneider), che non perde occasione per criticare le istituzioni ecclesiastiche e i vizi occulti del clero. Giovanni si fa convincere dai preti e il suo volto campeggia sui manifesti della capitale come icona pubblicitaria, mentre lui trova alloggio presso un falegname. Il film resta sempre nell’incertezza sulla figura di Giovanni e lo spettatore non comprende sino a che punto il protagonista è soltanto un sosia di Gesù. Le analogie sono molte: il negozio di falegname, la sua grande bontà, l’ingenuità di fronte al male e il desiderio di redimere tutti. Giovanni fallisce sempre, sia con una ragazza drogata che con la terrorista, non riesce a fare del bene e a riportarle sulla retta via. La terrorista viene uccisa dai suoi compagni perché dopo aver rapito Giovanni per ottenere il riscatto non riesce a concretizzare la richiesta. I bambini sono la salvezza del mondo, perché Giovanni sta bene soltanto con loro: gioca a pallone, porta a passeggio un ragazzino paralitico, si fa portavoce nei confronti dei preti delle istanze di un’infanzia affamata. La Chiesa viene criticata aspramente come istituzione secolarizzata che pensa soltanto al profitto e alle operazioni commerciali, mentre ha smarrito la sua vera funzione. I preti lasciano senza lavoro gli operai di una tipografia, non si occupano dei poveri, ma pensano al denaro e agli affari. Alla fine Giovanni viene ricoverato dai preti in una casa di cura, ma prima di andarsene riceve l’ultimo saluto dal bambino paralitico con cui passava le giornate. Il finale è fantastico, perché il ragazzo chiede a Giovani di compiere un miracolo, l’uomo afferma di non essere il vero Gesù, lui non può fare i miracoli, ma non appena l’auto scompare all’orizzonte il bambino comincia a camminare. La pellicola è dotata di profondo senso critico nei confronti della Chiesa e vuole affermare che se Gesù tornasse sulla Terra potrebbe fare ben poco, finirebbe in manicomio, trattato come un pazzo e i suoi miracoli avrebbero effetto soltanto sui bambini, gli unici ancora non corrotti e puri di cuore. Il tema dell’infanzia tanto caro a Comencini viene fuori ancora una volta con prepotenza. Gli attori sono bravi. Beppe Grillo è perfetto nel ruolo di un ingenuo che non comprende la realtà che è costretto a vivere. Brava anche Maria Schneider – fresca interprete di Ultimo tango a Parigi – come terrorista pentita e notevole Ferdinando Rey come prete affarista. Paolo Mereghetti non è convinto, concede soltanto una stella e mezza: “Parabola modestamente provocatoria, che stecca tutta la parte sul terrorismo. Grillo esordisce al cinema ma non funziona; la sceneggiatura (anche di Antonio Ricci), d’altronde non è strepitosa”. Morando Morandini concede due stelle e mezzo nel Dizionario affermando che “Luigi Comencini lavora con discrezione pudore, in difficile equilibrio tra patetico e comico, ma il perno del film e la sua forza è Beppe Grillo, con la sua recitazione sobria, sotto le righe, al risparmio, tutta genovese”. Condivido il giudizio ma aggiungo che il film realizza un quadro interessante del periodo storico, tra attentati brigatisti, difficoltà economiche e illusioni rivoluzionarie.
Luigi Comencini si ritira dalle scene negli anni Novanta per una malattia che non lo fa più lavorare. Muore a Roma, il 6 aprile del 2007.