Luigi Magni nasce a Roma nel 1928, è uno sceneggiatore – regista unanimemente considerato come il cantore appassionato e ironico della Roma papalina. Il suo interesse per quel periodo storico compare già con prepotenza nella sceneggiatura de Le voci bianche (1964) -girato da Pasquale Festa Campanile – e nella messa in scena teatrale di un’epopea romanesca di taglio popolare come Rugantino (1966).
Luigi Magni come sceneggiatore è attivo per tutto il periodo 1959 – 1968, collaborando a film comici (La cambiale, Il corazziere, Gli attendenti, Il mio amico Benito) e subito dopo a lavori più impegnati di ambientazione storica (Madamigella di Maupin, La mandragola, El Greco, La cintura di castità). Tra gli altri film scritti da Magni ricordiamo: In Italia si chiama amore, Un tentativo sentimentale, Non faccio la guerra faccio l’amore, Le fate, Le bambole, La ragazza con la pistola e Per grazia ricevuta).
Le collaborazioni di Magni in veste di soggettista e sceneggiatore prendono il via dalla collaborazione con Age & Scarpelli e riguardano le opere dei migliori registi del tempo: Mario Monicelli, Luciano Salce, Mauro Bolognini, Camillo Mastrociqnue, Giorgio Bianchi, Pasquale Festa Campanile, Carlo Lizzani e Alberto Lattuada.
Il debutto cinematografico avviene con Faustina (1968), un originale apologo popolaresco che cita e omaggia con affetto la romanità d’un tempo. Interpreti: Vonetta McGee, Renzo Montagnani, Enzo Cerusico, Franco Acampora, Clara Bindi, Diana Buffardi, Franca Haas e Ottavia Piccolo. Montagnani è un tombarolo gretto e manesco che vive di espedienti, mentre la mulatta McGee è la moglie Faustina, che a un certo punto si innamora di un timido cantante (Cerusico) e vorrebbe scappare con lui, ma non è facile. Il marito la denuncia per abbandono del tetto coniugale, lei finisce in galera, ma quando dopo sei mesi esce fuori, attende un figlio. Il marito la riempie di botte più forte di prima e a questo punto lei se ne va per sempre. La mulatta Faustina simboleggia il passaggio degli alleati, ricorda come le truppe di liberazione abbiano avuto rapporti con donne italiane. Magni ci fa conoscere la romanità delle sue storie con una spruzzata di femminismo e ambienta il racconto nel Foro romano effettuando le riprese tra le rovine. Una favola garbata, senza tempo, di taglio pasoliniano, con una scenografia che ricorda le stampe d’epoca.
Se il primo film di Magni poteva dirsi interessante e originale, il secondo è già un grande successo di pubblico e di critica.
Nell’anno del Signore (1969) è un’opera a metà strada tra il comico e il tragico che racconta le vicissitudini di un gruppo di carbonari smascherati e uccisi, tutti tranne il Cornacchia (Manfredi), che continuerà a scrivere filastrocche irriverenti contro il Papa sulla statua di Marc’Aurelio. A parte Manfredi – grande protagonista – nel cast spiccano Claudia Cardinale, Robert Hossein, Renaud Verley, Enrico Maria Salerno, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Britt Ekland, Pippo Franco e Stefano Oppedisano. Siamo nella Roma del 1825, sotto Papa Leone XII, epoca di tumulti anticlericali e di moti carbonari, il nostro protagonista è un modesto ciabattino che si fa chiamare Cornacchia ma nasconde l’identità dell’irriverente Pasquino. Hossein e Verley sono due carbonari che vengono aiutati da Cornacchia a scoprire i traditori e a salvarsi dalla galera. Cornacchia sogna una rivolta popolare contro il dominio dispotico del Papa Re, ma resta deluso e le sue speranze sono frustrate. Magni scrive e sceneggia il film, dimostrando grane maturità artistica sin dal secondo lavoro che utilizza gli strumenti della commedia in un’ambientazione storica. Non manca la riflessione politica sulle rivoluzioni e sul popolo che non vuole rischiare la pelle ma pensa soltanto a vivere una vita tranquilla e immune da problemi. Gli attori sono bravi. Sordi è un frate molto divertente, Tognazzi un credibile cardinale e Salerno un diligente capitano. Claudia Cardinale salva il lato erotico che stiamo cercando nella commedia alta ed è di una radiosa bellezza, forse nel momento migliore della sua vita artistica.
Scipione detto anche l’Africano (1971) è un film satirico contro l’antica Roma, interpretato da Marcello Mastroianni, Ruggero Mastroianni, Woody Strode, Silvana Mangano, Turi Ferro, Adolfo Lastretti, Fosco Giachetti, Enzo Fiermonte, Philippe Hersent, Wendy D’Olive, Brizio Montinaro e Ben Ekland. Magni scrive e sceneggia una sorta di parodia che critica l’antica Roma scettica e indolente per ironizzare sulla società contemporanea. Fa parlare gli antichi romani in dialetto romanesco, una scelta coraggiosa ma divertente, e gira il film a Paestum, tra le rovine della Villa Adriana. Marcello Mastroianni è Publio Cornelio Scipione, detto l’Africano, vincitore delle guerre puniche, accusato da Catone il Censore di aver intascato illegittimamente un tributo di 500 talenti dovuti da Antioco, re di Siria. Alla fine si scopre che il colpevole è il fratello Lucio Cornelio Scipione, detto l’Asiatico (Ruggero Mastroianni), ma l’Africano si prende la colpa, dopo aver capito che gli ideali e le virtù sono soltanto vuote parole. Sceglie l’esilio perché si rende conto che gli uomini onesti e probi non sono ben visti a Roma. La pellicola è molto teatrale, ma gli attori sono bravi e il pubblico non si annoia. Ruggero Mastroianni – famoso montatore – è il fratello di Marcello, una tantum attore per interpretare (in maniera più che credibile) il ruolo del fratello di Scipione. Turi Ferro è niente meno che Giove. La colonna sonora è di Severino Gazzelloni. Il film non è tra le cose migliori di Magni, ma non condividiamo l’ardore con cui Morando Morandini ne sconsiglia la visione (si prende una querela dalla produzione). “Arguto, verboso, con molti momenti di stanchezza”, scrive sul noto Dizionario che porta il suo nome. Ai nostri fini niente di erotico, anche se possiamo parlare di un peplum in salsa di commedia.
La Tosca (1973) è ai nostri fini ancor meno interessante, perché si tratta della trasposizione cinematografica del celebre dramma di Sardou in veste musicale, interpretata da Monica Vitti, Vittorio Gassman, Luigi Proietti, Umberto Orsini, Aldo Fabrizi, Ninetto Davoli, Alvaro Vitali, Fiorenzo Fiorentini, Gianni Bonagura e Marisa Fabbri. Il film è originale perché La Tosca viene trattata in veste ironica e romanesca, una maniera insolita di concepire un’opera e di portarla a un pubblico meno preparato. Magni si occupa di tutto, dalla sceneggiatura ai dialoghi, passando per i cori e le canzoni, trasformando il dramma di Flora Tosca in un’opera buffa di taglio romanesco. Non è una parodia, ma una commedia musicale che mette in primo piano ciò che Sardou e Puccini utilizzano come sfondo, ma il risultato finale non ha niente a che vedere con l’opera classica. La critica politica all’Italia contemporanea è più che evidente e la vena da commedia leggera scorre felice. Il regista punta sull’umorismo e fa a meno della retorica, inserendo il solito spirito anticlericale e battute polemiche sula rivoluzione. Il mix tra commedia brillante e melodramma finale è ben riuscito. Armando Trovajoli cura una splendida colonna sonora.
La via dei babbuini (1974) è un lavoro atipico per Luigi Magni che punta sul filosofico e realizza una commedia di ambientazione africana ricca di bozzetti e di stupende scenografie, ma poco efficace. Ai nostri fini ci sono timidi accenni di commedia erotica vista la presenza di un’affascinante Catherine Spaak, poco espressiva e spesso in difficoltà con il personaggio, e di un comico Pippo Franco, alle prese con la caratterizzazione di un uomo bianco nato in mezzo ai coccodrilli. Lionel Stander è il più bravo di tutti nei panni (ormai consueti) del vecchio padre morente, un fascista nostalgico che ha mollato la famiglia ed è andato a vivere in Etiopia, ma esce presto di scena. Uno dei momenti migliori del film è l’incontro padre – figlia che si rivedono dopo una lunga separazione e sembrano due estranei. Lui finisce per morire nella sua Africa, senza nessuna nostalgia di Roma e della vecchia Europa. Gli altri interpreti sono Fabio Garriba e Gabriele Grimaldi, ma la loro partecipazione è piuttosto monocorde. Soggetto e sceneggiatura sono del regista che racconta la storia di una signora romana (Spaak) che va in Africa per assistere il padre morente e decide di abbandonare il marito per seguire nella savana la via dei babbuini. Pippo Franco è il singolare individuo che Catherine Spaak incontra sul suo cammino, un italiano figlio di immigrati, nato in Etiopia in mezzo ai coccodrilli, che vive di sogni e ricordi del passato. Un ruolo insolito per l’attore comico romano, atipico e piuttosto serioso, a metà strada tra il comico e il surreale. In ogni caso la parte comica è tutta sulle sue spalle, anche perché il marito della Spaak è un personaggio grottesco e irreale, così pieno di difetti da sembrare un fumetto. Pippo Franco che filosofeggia, però, non è il massimo: “Il babbuino è simile all’uomo, ma non vuole diventare uomo. Per questo ogni sera al tramonto torna nella foresta per restare scimmia, seguendo la via dei babbuini”. Pippo Franco si vede sconvolgere l’ordinaria follia della sua vita quotidiana a contatto con i coccodrilli da una coppia in fuga dal mondo moderno. Il nuovo compagno muore divorato da un coccodrillo, ma lei decide lo stesso di restare in Africa perché il rapporto con il marito – che cerca di riportarla a casa senza successo – è ormai finito. La Spaak era andata in Africa per nostalgia del padre moribondo, ma forse voleva soltanto fuggire da un marito noioso e pedante. Il mal d’Africa ha fatto il resto. Gli effetti speciali sono di Carlo Rambaldi, la stupenda fotografia africana è di Di Giacomo, il montaggio serrato di Ruggero Mastroianni. Musica suggestiva di Armando Trovajoli. Il film avrebbe ambizioni ecologiche e consiglia la ricetta contro l’alienazione dell’uomo contemporaneo: la fuga e il ritorno alla natura selvaggia. Un apologo esotico che non funziona, anche perché la Spaak e Franco non sono due attori in sintonia. Resta un buon lavoro stilisticamente parlando, suoni e rumori della notte africana sono valorizzati al massico, le suggestive scenografie lasciano senza fiato. Sembra d’essere in un mondo movie romantico e nostalgico, tra grandi alberi, coccodrilli, ippopotami e bozzetti di vita nella savana. I momenti erotici sono pochi, a parte la bellezza di Catherine Spaak – che con il passare del tempo diventa sempre più castigata – e un fugace incontro tra il marito e una prostituta nera.
Signore e signori buonanotte (1976) è una commedia a episodi firmata da Luigi Comencini, Nanni Loy, Luigi Magni, Mario Monicelli ed Ettore Scola. Gli sceneggiatori sono un manipolo: Age (Agenore Incrocci), Furio Scarpelli, Leo Benvenuti, Piero De Bernardi, Ruggero Maccari e Ugo Pirro. Il film è strutturato in 14 episodi ed è prodotto in cooperativa da registi e sceneggiatori. Il tema di fondo è la critica alla televisione, i registi realizzano un’efficace parodia di una giornata televisiva a base di sceneggiati, telegiornali, pubblicità e inchieste. Scola dirige l’episodio – cornice, interpretato da Marcello Mastroianni e Monica Guerritore, basato su un giornalista televisivo che intervista un uomo politico corrotto, assiste a un vertice di camorristi che si stanno spartendo Napoli e si intrattiene piacevolmente con un’affascinante collega. Mastroianni è un giornalista – speaker molto distratto di un inesistente TG3, perché la terza rete ancora non ha visto la luce. La sua presenza fa da filo conduttore, perché i vari episodi del film sono presentati come inchieste, servizi speciali, intrattenimenti e inserti del telegiornale. Scola dirige anche Il salone delle cariatidi ed è sua l’idea del sosia di Giovanni Leone – Presidente della Repubblica – che è così piccolo da non toccare terra con i piedi quando è seduto e subito dopo fa partire la musica e balla la tarantella. Luigi Comencini dirige Lezione d’inglese, con Vittorio Gasmann e Lucretia Love (Anna Morganti), dove un agente della Cia esegue un attentato ma viene fatto fuori dalla ragazza, agente del controspionaggio. Lucretia Love concede l’unico nudo del film, mostrando natiche e seno mentre insegna a pronunciare i nomi delle parti del corpo in inglese. Comencini replica con l’ironico – fumettistico L’Ispettore Tuttumpezzo con Vittorio Gassman, Adolfo Celi e Senta Berger, che mette in scena una trama da tv dei ragazzi e racconta la storia di un poliziotto che diventa cameriere di un potente corrotto. Tuttumpezzo, se trova chi lo frega prima si spezza e poi si piega, recita il motivetto stile didascalia del Corriere dei Piccoli. Mangiamo i bambini, con Paolo Villaggio e Gabriella Farinon, è l’ultimo episodio di Comencini, basato sull’affermazione di Jonathan Swift secondo la quale si dovevano mangiare i bambini poveri in eccedenza. Paolo Villaggio interpreta il suo personaggio televisivo: Schmidt, professore di Germania. Nanni Loy dirige Sinite parvulos, con Andrea Bosic, un ragazzino napoletano che si suicida dopo che un cardinale ha premiato le famiglie con molti figli, segmento nelle sue corde che tratteggia un quadro complesso della situazione meridionale. Il personaggio del giorno – Poco per vivere troppo per morire, con Ugo Tognazzi e Franco Diogene, è ancora un buon lavoro di Scola, che mostra un pensionato milanese intento a campare di espedienti. “Io non mi lamento, ma qualche volta m’incazzo”, conclude Tognazzi, mentre addenta una fetta di mortadella e un pezzo di pane, sognando tra le lacrime un filetto. Luigi Magni resta nella sua tematica preferita, anticlericale e dedicata alla Roma papalina con Il santo soglio (Nino Manfredi, Mario Scaccia, Andrea Ferréol, Felice Andreasi e Luigi Basagaluppi), dove un cardinale si finge moribondo per essere eletto Papa. Il miglior segmento della pellicola, anche per una grande interpretazione di Manfredi. Mario Monicelli dirige La bomba (Carlo Croccolo, Eros Pagni, Sergio Graziani, Camillo Milli e Gianfranco Barra), come satira all’inettitudine della polizia che fa esplodere un ordigno dopo un falso allarme per non fare una figuraccia, e Il generale in ritirata (Ugo Tognazzi), che vede un militare suicida perché le medaglie sono cadute nella tazza del water. Non è dato sapere chi abbia girato Il disgraziometro (Comencini?), interpretato ancora da Paolo Villaggio, sul gioco a premi dove vince il più sfortunato. Signore e signori buonanotte è una commedia satirica, a sfondo politico, ma invece che cattiva e pungente come avrebbe dovuto essere, pare blanda e annacquata. Vizi e virtù di un’Italia allo sfascio vengono messi alla berlina. Scarso il successo di pubblico, anche se gli attori sono di primo piano e i registi quanto di meglio in circolazione. Musiche di Lucio Dalla, Antonello Venditti, Francesco Guccini, Giuseppe Mazzucca e Nicola Samale. Erotismo poco o niente, a parte qualche ammiccamento da parte di Monica Guerritore (presentatrice – amante di Mastroianni), Lucretia Love e Senta Berger. Abbiamo anche un attacco dei registi ai pretori che censurano i film con troppe nudità, rappresentato da un magistrato che si mette i tappi nelle orecchie per non sentire le proteste del pubblico. “Siamo adulti! Vogliamo poter scegliere!”, gridano. Le scenette sono a livello di cabaret, ma come cinema lasciano molto a desiderare.
Basta che non si sappia in giro (1976) cavalca la moda delle commedie a episodi girate da più registi, in questo caso la collaborazione è tra Nanni Loy, Luigi Magni e Luigi Comencini. Macchina d’amore di Nanni Loy (Monica Vitti e Johnny Dorelli) racconta le vicissitudini erotiche di una dattilografa che batte a macchina il copione di un film porno, ma scambia realtà e fantasia. Il superiore di Luigi Magni (Nino Manfredi, Lino Banfi e Isa Danieli) racconta una rivolta carceraria per protestare contro la mancanza di donne durante la quale un secondino rischia di essere sodomizzato. L’equivoco di Luigi Comencini (Nino Manfredi e Monica Vitti) è incentrato sullo scambio di persona tra una venditrice di libri e una prostituta. Luigi Magni scrive e sceneggia il suo episodio, atipico come tematica. Il primo è scritto da Age e Scarpelli, il terzo da Castellano e Pipolo. Una commedia innocua, scritta e girata con poca fantasia, basata su situazioni erotiche sempre poco esplicite e con attrici reticenti a recitare senza veli.
Quelle strane occasioni (1976) vede ancora una collaborazione tra Nanni Loy, Luigi Mani e Luigi Comencini per una commedia a episodi di livello medio. Italian Superman di Nanni Loy – che non firma la pellicola – (Paolo Villaggio, Valeria Moriconi e Lars Bloch) è il più volgare come tematica e racconta le vicende di un venditore di castagnaccio che diventa ricco facendo l’amore in pubblico nei night di Amsterdam. Il problema è che la moglie lo blocca, lui non vuol saperne di restare fedele e di fare l’amore con una sola donna. Il cavalluccio svedese di Luigi Magni (Nino Manfredi, Olga Karlatos, Giovanna Steffan, Giovannella Grifeo) è commedia erotica pura e racconta di un architetto che va a letto con una bella svedese, figlia di un amico, ma il problema è che l’amico è stato amante della moglie. L’ascensore di Luigi Comencini (Alberto Sordi, Stefania Sandrelli e Beba Loncar) è l’episodio più erotico e ricco di scene sensuali, merito di una strepitosa Stefania Sandrelli che seduce un monsignore (Sordi) in un ascensore bloccato per un’intera giornata. Il monsignore approfitta della ragazza e alla fine si comporta come se non fosse accaduto niente. Gli sceneggiatori sono Leo Benvenuti e Piero De Bernardi, che collaborano con Rodolfo Sonego per Il cavalluccio svedese e L’ascensore. Molti gli elementi di commedia sexy, soprattutto nel terzo episodio girato da Comencini.
In nome del Papa Re (1977) rappresenta la continuazione ideale di Nell’anno del Signore ed è l’opera più matura e riuscita di Luigi Magni, che racconta la ferocia degli ultimi anni di potere temporale dei papi attraverso la figura ironica di Don Colombo (un Manfredi in gran forma), consapevole che la fine è prossima, ma incapace di fare scelte rivoluzionarie. Interpreti: Nino Manfredi, Danilo Mattei, Carmen Scarpitta, Giovannella Grifeo, Carlo Bagno, Salvo Randone, Ettore Manni, Camillo Milli, Rosalino Cellamare (il popolare cantante Ron) e Luigi Basagaluppi. Ai nostri fini non c’è niente di erotico, mancano persino presenze femminili interessanti, ma resta una notevole critica anticlericale e la rievocazione dell’ultima condanna a morte decretata dal Papa. La pellicola si regge tutta sulla grande interpretazione di Nino Manfredi, attore feticcio di Luigi Magni. David di Donatello per la sceneggiatura.
Arrivano i bersaglieri (1980) approfondisce la tematica anticlericale di Luigi Magni, che racconta il passato ma guarda al presente. Il film è interpretato da Ugo Tognazzi, Giovanna Ralli, Vittorio Mezzogiorno, Pippo Franco, Giovannella Grifeo, Ombretta Colli, Mariano Rigillo, Enrico Papa, Carlo Bagno, Daniele Dublino, Ricky Tognazzi e Moira Orfei. Il periodo storico preso in esame è successivo alla breccia di Porta Pia, quando la nobiltà papalina e il clero cercano di riciclarsi nella nuova Italia unita. Bella commedia storica con personaggi indovinati, come il prete trasformista interpretato da Pipo Franco e il patrizio tradizionalista Ugo Tognazzi, ma pure lo zuavo Mezzogiorno che si è arruolato con i bersaglieri. Ottimo il cast femminile che assicura un minimo sindacale di erotismo alla commedia: Giovanna Ralli, Ombretta Colli e Moira Orfei.
Un’avventura a Campo de’ Fiori (1982) è un singolare prodotto televisivo che Luigi Magni gira per il ciclo Dieci registi italiani, dieci racconti italiani, trasmesso da Rai 3. Il film di Magni va in onda il 14 maggio 1983, sabato alle 20 e 30, tratto dal racconto surreale di Giorgio Vigolo, sceneggiato dal regista con la collaborazione di Luigi Spagnol. Interpreti: William Berger, Geneviève Omini, Rina Franchetti, Fabio Garriba, Anna Lelio, Remo Remotti. Un uomo manca da Roma da molto tempo, ma quando ci torna per ritrovare un amico, al suo posto incontra un fantasma. Insolito ma da vedere.
State buoni se potete (1983) è la storia romanzata di San Filippo Neri, interpretato da Johnny Dorelli, il condensato di una serie televisiva in tre puntate. Il film celebra il fondatore dell’oratorio, il santo che si prende cura della gioventù, e un anticlericale come Magni non sembra il regista più adatto, mentre le musiche di Angelo Branduardi sono perfette. La versione televisiva dura 149’ ed è quella che circola in dvd. Fuori argomento per quel che riguarda la nostra tematica. L’addio a Enrico Berlinguer (1984) è un documentario girato a più mani, dedicato alla figura di un grande uomo politico, segretario del Partito Comunista Italiano, scomparso per un arresto cardiaco durante un comizio. Citiamo per completezza Il generale (1986), Garibaldi il generale (1987) – miniserie a puntate – e Cinema! (1988), esperienze televisive che esulano dalla nostra trattazione, così come il documentario Imago Urbis (1987).
Secondo Ponzio Pilato (1987) vede Luigi Magni alle prese con una tematica storica insolita, ma in compagnia del fido Nino Manfredi, che interpreta da par suo un ruolo complesso. Il cast comprende Stefania Sandrelli, Lando Buzzanca, Mario Scaccia, Flavio Bucci, Luisa De Santis, Roberto Herlitzka e Antonio Pierfederici. Il film è a metà strada tra realtà e fantasia, perché Ponzio Pilato dopo aver condannato a morte Gesù viene colto da dubbi e si convince di aver commesso un delitto. Alla fine – da buon eroe tragico della commedia all’italiana – chiederà all’imperatore Tiberio di essere decapitato. Nino Manfredi, ormai sodale di Luigi Magni, rende ciociaro Ponzio Pilato e ne fa un personaggio interessante, roso dai dubbi e dal rimorso. Stefania Sandrelli assicura l’indispensabile elemento erotico.
O’ re (1988) è un altro film storico – genere nel quale Magni è ormai specialista – interpretato da Giancarlo Giannini, Ornella Muti, Carlo Croccolo, Corrado Pani, Luc Merenda, Cristina Marsillach e Annamaria Ackermann. La pellicola racconta la vita privata dell’indolente Francesco di Borbone (re Franceschiello) e della moglie Maria Sofia, interpretati da Giancarlo Giannini e Ornella Muti. I sovrani si trovano a Roma in esilio dopo che Garibaldi li ha scacciati dal Regno delle Due Sicilie. La pellicola nasce per il piccolo schermo, la versione cinematografica è tagliata, ma conserva gli stessi ritmi e inoltre i due attori principali non sono ben assortiti. Ornella Muti è fuori ruolo, anche se conferisce al film un minimo di sensualità. Commedia all’italiana, ironica e scanzonata, ma con riferimenti storici ben precisi.
In nome del popolo sovrano (1990) è un nuovo atto dell’epica anticlericale e antipapista di Luigi Magni, che mette in scena il prete Ugo Bassi schierato contro il Papa e il solito Manfredi nei panni del Pasquino di turno. Interpreti: Alberto Sordi, Nino Manfredi, Jacques Perrin, Elena Sofia Ricci, Carlo Croccolo, Luca Barbareschi, Massimo Wertmüller e Serena Grandi. Siamo ai tempi della Repubblica Romana (1848) e il regista racconta l’amore della moglie di Eufemio Arquati (Sordi) per un garibaldino. Il marito la riconquisterà solo dopo essersi unito ai repubblicani. Bravissimo Manfredi nei panni di Angelo Brunetti detto Ciceruacchio. Elena Sofia Ricci e Serena Grandi sono le uniche divagazioni sexy su una tematica storica che volge a commedia. Meno ispirato e originale de In nome del Papa Re e spesso ripetitivo nelle caratterizzazioni, ma resta un buon film.
Nemici d’infanzia (1995) nasce come romanzo scritto da Luigi Magni, quindi sceneggiato per il cinema da Carla Vistarini e vincitore di un David di Donatello. Non è un lavoro memorabile, nonostante il premio. Interpreti: Paolo Murano, Renato Carpentieri, Giorgia Tartaglia, Nicola Russo, Elena Berera, Elodie Trecani, Gregorio Gandolfo e Luigi Diliberti. Siamo nella Roma del 1944, il dodicenne Paolo si divide tra l’amicizia per la coetanea Luciana e l’ammirazione per l’invalido Corsini. A un certo punto scopre che quest’ultimo è un torturatore fascista che deve uccidere il padre di Luciana. La pellicola soffre un’evidente mancanza di mezzi ed è molto ideologica, oltre a essere recitata in maniera scolastica. Troppo retorico.
Esercizi di stile (1996) è un film a episodi girato da un plotone di registi: Francesco Laudadio, Luigi Magni, Lorenzo Mieli, Pino Quartullo, Alessandro Piva, Falero Rosati, Maurizio Dell’Orso, Dino Risi, Alex Infascelli, Sergio Citti, Volfango De Biasi, Cinzia Th Torrini, Claudio Fragasso e Mario Monicelli. Gli interpreti sono Elena Sofia Ricci, Massimo Wertmüller, Franco Diogene, Gloria Paul e Sal Borgese. Luigi Magni gira soltanto Era il maggio radioso, un divertente episodio pere raccontare la vicenda tragicomica di un reduce della Prima Guerra Mondiale che al ritorno trova la moglie monaca di un convento, perché non sperava più di rivederlo. L’idea di fondo è quella di portare al cinema gli Esercizi di stile di Raymond Queneau in quattordici episodi, che poi sarebbero quattordici modi diversi di dirsi addio in quattordici generi cinematografici diversi, dalla commedia al giallo, passando per horror, erotico, poliziesco e western. Il film delude per mancanza di stile e per approssimazione registica, anche se la breve commedia di Magni non è da disprezzare.
La carbonara (2000) è l’ultima incursione di Magni nella Roma papalina del 1825, meno riuscita delle precedenti ma pur sempre una discreta commedia storica. Interpreti: Lucrezia Lante della Rovere, Valerio Mastandrea, Fabrizio Gifuni, Claudio Amendola, Nino Manfredi, Alberto Alemanno, Pierfrancesco Favino, Andrea Garinei e Marina Lorenzi. Siamo nel 1825: Cecilia (Lante della Rovere) ritrova nello stesso giorno il primo amore (Gifuni), condannato a morte dal Papa per carboneria, e il marito (Mastandrea), che non era stato ucciso dai banditi ma si era fatto frate. Nino Manfredi è un bravissimo cardinale romano, disilluso e scettico, che interviene per aiutare la donna nei problemi sentimentali. Ci mette lo zampino anche un miracolo divino e al tempo stesso si cercano di risolvere i molti guai politici. Magni scrive e dirige un film nelle sue corde, ma il soggetto è fiacco, ricicla molti temi in passato affrontati con maggior freschezza e cerca di attualizzarli. La bella Lucrezia Lante della Rovere fa la locandiera ed è carbonara nel senso degli spaghetti, perché la sua trattoria si chiama con il nome del noto piatto romano. “A Roma tutti si fanno comprare”, insiste Magni come leitmotiv della pellicola e il collegamento con la corruzione contemporanea pare evidente. Luigi Magni conclude la sua carriera con il televisivo La notte di Pasquino (2003) che ripercorre la vecchia tematica storica e può considerarsi un addio alla macchina da presa, perché dopo la morte di Nino Manfredi (2004), il suo attore prediletto, non vuole più girare film. Luigi Magni è un regista che dimostra la grandezza del nostro cinema popolare. Resta il cantore del periodo risorgimentale. da un punto di vista anticlericale, capace di raccontare la storia romanzando eventi e creando personaggi memorabili. Il tono del suo cinema è comico, spesso da farsa, in ogni caso nei limiti della commedia all’italiana, che a tratti presenta aspetti erotici, mai predominanti. Magni usa l’anticlericalismo per compiere un discorso sul potere, per criticare ogni dittatura o regime assoluto che sfrutta l’ignoranza della gente per dominare i propri simili. Roberto Poppi scrive sul Dizionario dei Registi Italiani: “Acuto osservatore del costume e della politica italiana ottocentesca vista attraverso i non facili rapporti tra i sostenitori del liberalismo e il potere ecclesiastico, schierandosi a favore dei primi e criticando con grande veemenza anticlericale i secondi”. Magni di solito gira film ambientati in un’altra epoca, ma cerca sempre di attualizzare il messaggio politico e di renderlo contemporaneo. Si ricorda il suo cinema anche per le perfette ricostruzioni della Roma papalina, effettuate a Cinecittà e in alcuni casi tra le antiche rovine di molte città italiane (Pompei, Paestum…). Nel 2008 riceve il David di Donatello alla carriera per celebrare i suoi ottant’anni di attività come regista.