Luigi Zampa (Roma, 1905 – 1991) abbandona presto gli studi universitari presso la facoltà di ingegneria per dedicarsi all’attività di commediografo. In seguito frequenta il Centro Sperimentale di Cinematografia, si diploma in regia, ma scrive anche molte sceneggiature per il cinema dei telefoni bianchi. Alcuni titoli: Mille lire al mese, Dora Nelson, Tutto per la donna, Un mare di guai, La danza dei milioni, Centomila dollari…Dirige un cortometraggio intitolato Risveglio di una città (1933), debutta nel mondo del lungometraggio cinematografico con L’attore scomparso e Frà Diavolo, entrambi del 1941. I film che Luigi Zampa realizza nel periodo bellico sono conformisti e seguono la moda di una produzione leggera, opere piene di retorica caramellosa tratte da romanzi rosa di scrittori come Wanda Bontà. Signorinette, C’è sempre un ma!, L’abito nero da sposa – tutti datati 1943 – e Un americano in vacanza (1945) cercano soltanto di risollevare il pubblico dalle tristezze e dai problemi della guerra. Un americano in vacanza è il film migliore, se non altro per un valore documentario, oltre a compiere l’operazione neorealistica di far parlare gli americani in inglese (sottotitolato) ed essere girato tra le rovine della guerra. Resta una commedia da telefoni bianchi che tesse le lodi degli americani e imposta un discorso di amicizia con il nuovo alleato. I primi lavori che Zampa gira nel dopoguerra possono considerarsi blandamente neorealisti, ma sono originali perché cominciano a far prendere forma alla commedia con trovate umoristiche inserite in un contesto drammatico. Zampa sembra un regista più adatto a fare una caricatura della realtà che a descriverla senza nessun tipo di influenza esterna.
Vivere in pace (1946) rappresenta la pellicola del cambiamento, ma non è un capolavoro del neorealismo – come ritengono molti critici nordamericani – quanto un’opera a metà strada tra la commedia di costume e il melodramma. Zampa racconta il dramma di un popolo coinvolto in una guerra che non condivide ma ne paga lo stesso le conseguenze. Vivere in pace è il primo film italiano che contribuisce ad aprire le porte alla commedia rosa, intriso di gusto per il bozzetto e per gli squarci comici. Aldo Fabrizi è l’ottimo interprete principale, oltre che sceneggiatore insieme a Suso Cecchi d’Amico, Piero Tellini e al regista. L’onorevole Angelina (1947) si regge tutto sulla grande interpretazione di Anna Magnani, nei panni di una paladina della povera gente, ma non va oltre una blanda satira piccolo – borghese. Anni difficili (1948) segna l’inizio della collaborazione tra Luigi Zampa e lo scrittore Vitaliano Brancati ed è uno dei migliori film del regista, capace di mettere alla berlina sia la retorica fascista come il successivo trasformismo della classe politica. Anni facili (1953) è ancora un film scritto da Brancati per rappresentare miserie e contraddizioni del nostro paese, in primo luogo trasformismo e corruzione come regole di vita. Un film che anticipa la miglior commedia all’italiana, pieno di brio e di momenti comici che evitano cadute moralistiche. L’arte di arrangiarsi (1954) è l’ultimo film scritto da Brancati per Zampa (muore durante le riprese), interpretato da un Sordi in gran forma, per sottolineare ancora una volta gli italici vizi del trasformismo e della corruzione. Il cinema di Luigi Zampa negli anni Cinquanta affronta tematiche sociali ma con il tono divertito e ironico della commedia. Importante la sua collaborazione con lo scrittore Vitaliano Brancati, in veste di sceneggiatore, per la graffiante critica alla società italiana. Zampa riesce a raccontare i trasformismi italiani, il passaggio dal fascismo alla democrazia e gli opportunismi dei nostri politici. Processo alla città (1952) è importante perché è uno dei primi film a parlare di penetrazione camorrista nella Napoli di inizio secolo. Si tratta di un melodramma popolare piuttosto riuscito che vede tra gli interpreti la bellissima Silvana Pampanini. In questo periodo Zampa lavora su testi letterari, sceneggia per il cinema romanzi e racconti di autori come Luigi Pirandello ne La patente (1954 – episodio di Questa è la vita), interpretato da un grande Totò nei panni dello iettatore a caccia di riconoscimento, e Alberto Moravia ne La romana (1954), interpretato da un’affascinante Gina Lollobrigida. Ricordiamo altri lavori che si dividono tra melodrammi, commedie sentimentali, blande satire di costume e commedie ironiche: Campane a martello (1949), Cuori senza frontiere (1950), È più facile che un cammello… (1950), Signori, in carrozza! (1951), Isa Miranda (1953 – episodio di Siamo donne), Ragazze d’oggi (1955) e La ragazza del palio (1957).
Ladro lui, ladra lei (1958) vede protagonista Alberto Sordi e un’affascinante Sylva Koscina. Altri interpreti: Ettore Manni, Mario Carotenuto, Mario Riva, Alberto Bonucci, Marisa Merlini, Nando Bruno, Anita Durante, Vinicio Sofia, Mino Doro, Carlo Delle Piane, Guglielmo Inglese, Ignazio Leone, Mimmo Poli. Ladro lui, ladra lei è un film di passaggio dal neorealismo rosa alla commedia all’italiana, senza essere né l’uno né l’altro, perché i poveri sono tutti giovani e belli, i ladri sono da libro Cuore, le situazioni più realistiche permeate di un eccessivo sentimentalismo. La ricostruzione della vita di borgata, i volti dei poveri e la descrizione del modo di vivere, le immagini di una Roma da ricostruire e in attesa del boom sono le cose migliori della pellicola. Ricordiamo la sequenza in cui la borgata attende il passaggio di Cesira che si reca a Venezia in vagone letto. La ragazza finisce per provare vergogna di fronte agli altri passeggeri e disconosce le persone che la salutano dalle povere case gridando a voce alta il suo nome. Cesira (Koscina) è una borgatara che sogna di cambiare vita, si impiega come commessa ma incontra padroni dalle mani lunghe, chiede la protezione di Cencio (Sordi) e finisce per essere imbrigliata nelle sue truffe che diventano sempre più rocambolesche. Alla fine Cesira cambia vita davvero perché un ex padrone (Manni) si rende conto che insieme potrebbero vivere felici e decide di sposarla. Cencio viene arrestato da un poliziotto divenuto ormai amico di famiglia, torna nella sua cella a Regina Coeli, accolto come un divo dagli amici detenuti che lo attendevano trepidanti. Sylva Koscina mostra un fisico prorompente e si impone all’attenzione del pubblico come femme fatale del nostro cinema. Zampa racconta l’amicizia tra una borgatara e un ladruncolo, critica l’immoralità dei commercianti che cercano la commessa piacente e finisce per cadere nel romanticismo più incredibile. Ottimo Sordi nei panni del piccolo truffatore che cerca di imitare i colpi del padre, ladro figlio di ladri, orgoglioso del suo passato, tutto sommato romantico e innamorato, ma incapace di cambiare vita. Non sono da meno gli immorali commercianti tratteggiati dalle figure di Bonucci, Carotenuto e Riva, mentre Manni è il ricco egoista che nel finale viene colto da un impeto di generosità e si riscatta. Bravi i caratteristi, da Carlo Delle Piane (comico detenuto) a Ignazio Leone (giovane ladro). Buona comicità. Si sente la mano di Pasquale Festa Campanile nella scrittura filmica e nella sceneggiatura, realizzata con la collaborazione di Massimo Franciosa, Zampa e dello stesso Sordi.
Negli anni Sessanta, Luigi Zampa gira commedie grottesche che criticano la società, anche se non dimostra mai un impegno vero e proprio, ma punta solo alla battuta, al gusto per la macchietta, senza un vero bersaglio da colpire. Stiamo parlando di pellicole come Il magistrato (1959), Il vigile (1960), Il medico della mutua (1968) e Contestazione generale (1969). Interpreti femminili interessanti come Jacqueline Sassard, Sylva Koscina e Mariangela Melato non bastano a definire le pellicole come antesignane della commedia erotica, perché al regista interessa solo una blanda critica alla società e una comicità qualunquista.
Un film interessante è il vacanziero Frenesia dell’estate (1963), una commedia balneare ambientata a Viareggio, orchestrata con sapienza da un Luigi Zampa in gran forma attorno a una serie di personaggi indovinati, interpretati da un buon cast di attori. Interpreti: Vittorio Gassman, Philippe Leroy, Amedeo Nazzari, Sandra Milo, Lea Padovani, Michèle Mercier, Gabriella Giorgelli, Vittorio Congia, Giampiero Littera, Gabriella Galvani, Livio Lorenzon, Philippe Noiret, Enzo Garinei, Corrado Olmi, Renzo Palmer, Mario Saccia, Umberto D’Orsi, Tony De Mitri, Luigi Leoni. Lo schema della commedia balneare è immutabile e sarà replicato fino ai giorni nostri da autori come Franco Citti, Carlo Vanzina, Neri Parenti e Matteo Cerami: sottofondo di musica alla moda e una serie di vicende comico -erotiche più o meno intrecciate tra loro. Frenesia dell’estate è una commedia in cinque episodi, uniti da un esile collante estivo, dalla località di mare toscana e da un doppiaggio in vernacolo, ma le vicende sono tra loro scollegate. Amedeo Nazzari è un conte decaduto che lavora come modello, tenta di far ingelosire la ricca amante (Padovani) – che lo tiene a stecchetto mentre lui sogna di mangiare un cacciucco – imbastendo una tresca con la giovanissima Gabriella Giorgelli. Vittorio Gassman è un colonnello in crisi di identità, convinto di essere innamorato di un travestito (Mercier), si confida con il medico (D’Orsi) dicendo che il problema riguarda un amico, ma la cura (frequentare molte donne) complica le cose perché non riesce a concludere. Quando è ormai troppo tardi scopre che la sua ossessione non riguardava un travestito ma una vera donna. Ottima la caratterizzazione di Gassman che conferisce al personaggio un tic nervoso indimenticabile (strizza l’occhio destro). Philippe Leroy è un ragazzotto di Viareggio che vive alla giornata, porta a letto le turiste con la scusa di impartire lezioni di vela e organizza cene per ricchi signori. Sandra Milo è una procace venditrice di bomboloni che si porta a letto un ciclista (Congia) del Giro d’Italia e finisce per spomparlo definitivamente. Un ottimo lavoro, anche se Mereghetti lo bozza come “bozzettismo di maniera stanco e prevedibile”, perché le macchiette sono efficaci e pruriginose quanto basta. Tra tutte le storie ricordiamo gli episodi interpretati da Amedeo Nazzari e Vittorio Gassman. Il primo è un perfetto nobile decaduto che non vuole arrendersi all’età che avanza, il secondo veste i panni di un dubbioso ufficiale in preda alla crisi di un quarantenne convinto di non essere un vero uomo. Argomenti difficili, visti i tempi, soprattutto il travestitismo e i dubbi virili, alcune sequenze sono a rischio censura e vedono in primo piano Sandra Milo con Vittorio Congia. Non è da meno Gabriella Giorgelli, brava e procace ragazzina innamorata del maturo conte. Molta abilità di Zampa nel trattare con in guanti una materia spinosa e consueta ambientazione marina per poter mostrare qualche centimetro di epidermide femminile senza rischio di pesanti sforbiciate. Commedia all’italiana balneare che anticipa come temi e situazioni la commedia erotica. Soggetto e sceneggiatura di Mario Monicelli (il dialogo toscano è opera sua), Age, Scarpelli, Benvenuti, De Bernardi, Scarnicci e Tarabusi.
Ricordiamo anche Una questione d’onore (1966), lavoro satirico che sfocia in farsa con Ugo Tognazzi nei panni di un sardo geloso. Il marito di Olga (1966 – episodio de I nostri mariti) è stato già affrontato nel capitolo su Luigi Filippo d’Amico.
Le dolci signore (1967) è il primo film di Luigi Zampa che anticipa esplicitamente l’avvento della commedia erotica. Basta leggere i nomi delle interpreti: Ursula Andress, Virna Lisi, Marisa Mell e Claudine Auger. Nel campo maschile troviamo Mario Adorf, Jean-Pierre Cassel, Frank Wolff, Lando Buzzanca, Vittorio Caprioli, Luciano Salce e Franco Fabrizi. Zampa racconta le vicissitudini di quattro mogli borghesi che soffrono diversi problemi legati al sesso. Ursula Andress è una moglie repressa che sogna di essere inseguita da un vigile nudo (Adorf); Virna Lisi è una moglie adultera ricattata; Marisa Mell si scopre per caso ottima spogliarellista; Claudine Auger finisce per tradire il marito consenziente. Le dolci signore è scritto e sceneggiato da Ruggero Maccari, Ettore Scola e Sandro Continenza, sulla scia del successo di Signore & signori di Pietro Germi. Il film è importante perché è un precursore della commedia erotica, ma non è memorabile per originalità di trama e comicità pura, anche se Zampa inserisce gustosi elementi di satira sociale.
In tempi più recenti Luigi Zampa torna a occuparsi di tematiche sociali con film come Bisturi, la mafia bianca (1973), atto di accusa violento ma generico contro i baroni della medicina, e Gente di rispetto (1975), per tratteggiare una Sicilia arretrata che non accenna ad aprirsi alla modernità. I lavori più commerciali di quest’ultimo periodo sono i soli ad avere riferimenti alla tematica erotica.
Bello, onesto, emigrato Australia, sposerebbe compaesana illibata (1971) vive sulla recitazione di Alberto Sordi e Claudia Cardinale, coppia formata da uno spiantato e da una prostituta che si ingannano a vicenda, finiscono per accontentarsi e vivere insieme. I personaggi sono ben costruiti, la sceneggiatura di Sonego è ottima, il carattere di Amedeo è ben stigmatizzato dall’interpretazione convincente di Sordi. Il mondo dell’emigrazione italiana in Australia è tratteggiato con cura in una sorta di road movie a metà strada tra il patetico e il sentimentale.
Il mostro (1977) racconta la storia di uno scoop giornalistico che costa caro al suo autore. Il film è interpretato da Johnny Dorelli, Orazio Orlando, Yves Beneyton, Sidney Rome e Angelica Ippolito. Una pellicola grottesca che mette alla berlina un’Italia assuefatta al crimine e alla notizia sensazionale, tra stragi, terrorismo, serial killer e omicidi vecchio stampo. Perfetta la critica a un certo tipo di giornalismo che per il gusto del sensazionalismo costruisce mostri.
Letti selvaggi (1979), l’ultimo film di Luigi Zampa, è vera e propria commedia erotica, una classica commedia a episodi che presenta molte dive sexy del periodo. L’arabo, interpretato da Sylvia Kristel e Orazio Orlando, racconta la storia di un venditore di tappeti ripetutamente truffato da un’avvenente cliente. Bellissima la Kristel, fresca interprete della serie erotica di successo Emanuelle. Laura Antonelli è impegnata per Un pomeriggio noiosetto, dove spara a un presunto corteggiatore per accontentare il marito geloso, ma prima si fa vedere nuda, e per La donna d’affari che la mostra invaghita di un direttore d’orchestra che finisce per portarsi a letto. La vedova, interpretato da Ursula Andress e Michele Placido, mostra una donna che ha appena seppellito il marito in preda a una fugace passione per un bel fotografo. Attenzione a quei due è l’episodio più casto, anche perché interpretato da Monica Vitti e Michele Placido, nei panni di due ladri concorrenti. La passante vede ancora in primo piano la prorompente bellezza di Ursula Andress, stipendiata da alcuni carrozzieri per provocare incidenti, mostrandosi nuda agli automobilisti dopo aver aperto la pelliccia. La moglie giovane, interpretato da Sylvia Kristel ed Enrico Beruschi, vede una bella consorte legare il marito noioso e scappare a Parigi. Una mamma, con Monica Vitti e Roberto Benigni, mostra la Vitti nei panni di una prostituta che si presta ad accompagnare un ragazzo a scuola fingendosi sua madre, ma si cala troppo nella parte e lo rimprovera in modo vigoroso. La pellicola è composta da otto episodi dal buon contenuto erotico, girati con cura ed eleganza, mai volgari, molto femministi. Luigi Zampa abbandona il mondo del cinema e lascia un buon ricordo, soprattutto su come si possa fare commedia erotica senza andare mai fuori misura.
Gian Piero Brunetta afferma nella sua imprescindibile Storia del Cinema Italiano: “Luigi Zampa si è posto il problema della rappresentazione dell’italiano e della misurazione dei rapporti variabili con le istituzioni. La vena della satira e del grottesco si salda in lui a una risentita consapevolezza civile, che con molta probabilità gli deriva dal sodalizio con Brancati. Il regista non parte dal personaggio, ma dal contesto, dal tema, e usa l’intreccio e il personaggio come esatta misura e reagente dei problemi del contesto. Dalla corruzione politica alla disfunzione dell’assistenza medica e ospedaliera, dalla crisi dell’identità religiosa, alla rappresentazione della mafia e delle sue ramificazioni nella società. Zampa sposta sul piano della satira temi drammatici e continua a tener vivo il senso d’una grande passione e l’esigenza di lottare contro i residui parassitari e arcaici della società italiana”.