“Il nono giorno, prima delle calende di settembre, verso l’ora settima, mia madre gli mostra una nube inconsueta sia per forma che per grandezza”, scriveva il testimone oculare dell’eruzione più famosa della storia, Plinio il Giovane, mentre vedeva da Miseno la grande nube nera che si estendeva all’orizzonte verso Pompei e le altre zone limitrofe, eppure oggi gli storici ritengono che già questa prima versione scritta, in nostro possesso, possa aver subito cambiamenti nella data dal momento che tutti gli elementi ritrovati a Pompei – frutta secca; frutta autunnale come melograni; anfore piene di mosto; bracieri per il riscaldamento; una moneta che testimonia il settimo consolato di Tito Imperatore (anno 79) e una scritta sul muro di una abitazione pompeiana che reca la data del 17 ottobre – ci dicono chiaramente che il Vesuvio eruttò, per distruggere tutto e tutti, nell’anno 79, in un giorno di ottobre – tra il 20 e il 24 – e non il 24 agosto, esattamente quarantasei anni dopo la morte di quel Gesù di Nazareth che divenne oggetto di studio di alcune prime inchieste ad opera dei Romani. È evidente, invece, che l’eruzione distrusse quattro città: Pompei, Ercolano, Stabia e quella che oggi è una sezione di Torre Annunziata, all’epoca Oplontis.
Gli archeologi hanno scoperto, tra le rovine di Pompei, che alcune case erano state messe a nuovo poco tempo prima del disastroso evento; ciò è il segno che già da qualche anno prima del 79, forse una quindicina di anni prima, si parla dal 62 (5 febbraio del 62, VI° scala Mercalli, epicentro a Stabia), frequenti scosse di terremoto avevano buttato giù alcune abitazioni. Pertanto, in qualche modo, gli ignari abitanti di Pompei erano stati avvisati, ma oggi pochi sanno che la forma del Vesuvio che vediamo noi – forma conica, fumante e povero di vegetazione in cima – non era affatto la stessa di quella che vedevano gli antichi Romani in quei secoli. Esso, infatti, appariva come una enorme montagna, alta 2000 mt., quasi piatta in cima e piena di rigogliosa vegetazione, piena soprattutto di vigneti, che coprivano la caldera. Il Vesuvio, insomma, doveva apparire così come venne dipinto nella cosiddetta “Domus del Centenario”, in cui si vede Bacco, in forma di grappolo d’uva, che versa il suo vino ad una pantera. Sullo sfondo la versione antica del Vesuvio. Tuttavia i Romani, parliamoci chiaro, non sapevano nulla di vulcanologia e, perciò, non immaginavano di vivere sotto una bomba ad orologeria. Fatto sta che, di quell’antico Vulcano, oggi possiamo vedere la parte laterale che è rimasta intatta e la stessa da secoli ed è la parte che chiamiamo Monte Somma. Cercherò di raccontare i fatti e, devo dire la verità, mi costa molto perché penso all’inferno che quegli esseri viventi furono destinati a vivere. Rileggendo le fonti, mi sono nuovamente emozionato.
24 ottobre 79 d. C., ore 13:00, i Pompeani sentono un boato terribile, delle esplosioni, alzano gli occhi alla montagna e vedono qualcosa di impensabile, di mostruoso: il Vesuvio erutta, dopo molti secoli di inattività, e la colonna eruttiva raggiungerà i 33 km, assumendo una forma di pino ramificato: “Si elevava una nube… nessun’altra pianta meglio del pino ne potrebbe riprodurre la forma. Infatti slanciatosi in su in modo da suggerire l’idea di un altissimo tronco, si apriva in diversi rami”. Alle ore 15, su una Pompei buia – il sole non riesce ad attraversare la nube per moltissime ore – cade un’incessante pioggia di pomici, lapilli, cenere e rocce vulcaniche. L’aria si riempie completamente di gas tossici carichi di morte. La lava arriva in città a 100 km/h, bruciando qualsiasi cosa e, finendo in mare, fa bollire l’acqua, vista come unica via di salvezza. Scosse di terremoto si susseguono incessantemente per molte ore. Il mare si ritira. Alle ore 20, per tre ore, un’apparente calma tradisce i superstiti che iniziano ad uscire dalle case ancora in piedi. Stanno andando incontro ad una morte violenta, ma non lo sanno. Alle ore 00:00 del 25 ottobre, quando moltissime persone già sono morte (forse per fortuna poiché non hanno mai saputo quello che stava per succedere) inizia nuovamente l’eruzione; essa è più forte di prima, e i gas aumentano nell’aria. All’1:00 ulteriori superstiti fuggono per ripararsi ad Ercolano, verso il porto, tuttavia non sfuggono alla morte che, in quest’ultima fase, arriva più velocemente e nel modo più crudele possibile: collassa la colonna eruttiva formando i cosiddetti flussi piroclastici che raggiungono i 500-700° e, scivolando giù dalle pendici, sciolgono all’istante tutto e tutti. I bollenti flussi piroclastici arrivano al porto di Ercolano. Dalle ore 2:00 e fino alle ore 11:00 esplode letteralmente il Vulcano; nuovi flussi piroclastici invadono la zona, mentre i terremoti si susseguono incessantemente. A questi si aggiungono i maremoti al largo del Vesuvio.
25 ottobre 79 d. C., ventiquattro ore dopo l’Apocalisse, le nubi iniziano man mano a dilatarsi, Pompei ed Ercolano, Oplontis e Stabia – un tempo caratterizzate da voci, colori, giochi, preghiere agli dèi – non esistono più; sono state rase al suolo; l’aria è spettrale; nessuno respira più. Né uomini; né animali. Tutto è morto! Regna il nulla!
Tale eruzione è passata alla storia col nome di “Eruzione Pliniana” dal momento che Plinio il Giovane fu chiaro nel descrivere gli eventi che si susseguirono in quelle ore. Lo zio di Plinio, il comandante della flotta romana stanziata a Capo Miseno, Plinio il Vecchio, partì con la sua nave da Miseno per andare ad aiutare Cesio Basso, un suo amico, bloccato ad Ercolano immediatamente dopo le prime fasi dell’eruzione. Tuttavia, una volta arrivato nei pressi del porto di Ercolano, vede il mare ritirarsi, impedendogli di attraccare. Decise, perciò, di dirigersi verso Stabia dove riesce ad approdare. Venne ospitato da un altro suo amico in attesa del da farsi, ma anche Stabia inizia ad essere investita da lapilli e ceneri. Plinio, allora, uscì di casa per paura che il tetto potesse crollare sotto il peso della cenere, ma trova la morte per inalazione di gas tossici nell’aria. Venne trovato senza vita il giorno dopo sulla riva di Stabia: “A me sembra che l’aria calda e la cenere gli abbiano ostruito la gola impedendogli il respiro… quando ritornò a vedersi il sole… egli fu trovato intatto, illeso, con gli stessi vestiti che indossava alla partenza; sembrava che dormisse, invece era morto”, raccontò suo nipote Plinio il Giovane.
Dopo la catastrofe, da Roma si mossero i soccorritori, furono stanziate risorse finanziarie per la ricostruzione, ma quella zona appariva troppo sconvolta dalla potenza malvagia della natura; non c’era nulla da poter recuperare. Venne abbandonata e nessuno più vi ritornò. Bisognerà aspettare il volere di Carlo III di Borbone che, nel 1748, ordinò che si cominciassero gli scavi per portare alla luce quello che un tempo era stato alla luce. Oggi le Aree archeologiche di Pompei, Ercolano, Stabia e Torre Annunziata sono Patrimonio dell’umanità dell’UNESCO. Pompei, dopo 2000 anni, continua ad affascinare con le scoperte. Il Vesuvio ha eruttato l’ultima volta il 18 marzo del 1944. Il Vesuvio è un vulcano attivo. I Romani, parliamoci chiaro, non sapevano nulla di vulcanologia.
Noi sì e il Vesuvio è, tutt’ora, un vulcano attivo.