Maigret di Patrice Leconte, interpretato da un grande Gérard Depardieu (sostituto eccellente di Daniel Auteuil), è la versione definitiva del personaggio creato da Simenon, quella più colta e raffinata, forse la più decadente e crepuscolare, di sicuro la più complessa. Il genere della pellicola indicato nei flani recita giallo, in realtà la trama investigativa è la sovrastruttura, l’apparato all’interno del quale si dipana una commedia di personaggi, veri, complessi, mai monodimensionali come nelle vecchie fiction televisive dedicate al popolare commissario. Maigret indaga sulla morte di una giovane ragazza finita in un giro di ricchi viziosi e corrotti, il commissario riprende la passione per il suo lavoro nel ricordo della figlia morta a vent’anni, che identifica prima nella vittima, poi in una ragazzina che incontra per le strade di Parigi. Un film crepuscolare, abbiamo detto, che mi ha ricordato Keoma di Castellari per le similitudini con l’eroe nella fase terminale della vita, in una decadenza vitale, ancora capace di slanci generosi e di furibonde passioni. Maigret di Leconte è un noir alla Melville e – per restare in Italia – alla Fernando di Leo, un film dove la storia serve a indagare i caratteri, ad approfondire le psicologie, a far emergere la tempra di un uomo in crisi, macerato dal dolore, che si sente stanco della vita e non riesce a provare piacere nel cibo, nel vino e nel fumo. Un Maigret che non fuma la pipa che per pochi tratti, perché il medico gliel’ha vietato, dove il suo assistente ha un ruolo marginale e l’indagine – condotta con maestria – il solo scopo di rivelare la fragilità esistenziale dei protagonisti di una storia torbida. L’autore de Il marito della parrucchiera, Tutti pazzi in casa mia, La bottega dei suicidi – fumettista e sceneggiatore, oltre che regista – non poteva che dare una versione originale di un personaggio così importante del cinema francese. Dobbiamo dire che ci è riuscito alla perfezione, perché questo Maigret con il passo cadente di Depardieu, i suoi silenzi, la sua bonomia, il suo cinismo resterà nella storia del cinema come quello di Jean Gabin. Fotografia cupa e notturna, montaggio serrato, tecnica di regia originale con inquadrature insolite, uso autoriale della soggettiva e del flashback, interpreti in gran forma, tra i comprimari soprattutto Aurore Clément. Musiche d’epoca, tra mambo e cha-cha-cha, con spaccati di walzer. Ambientazione anni Cinquanta perfetta. Non può mancare una sequenza dedicata al cinema in bianco e nero con una sala affollata di persone e il commissario che si perde nel romanticismo della storia. Libero (e riuscito) adattamento del romanzo Maigret et la jeune morte (1954). Da vedere, anche se non amate il giallo. Un film che fa persino commuovere.
Regia: Patrice Leconte. Soggetto: Georges Simenon. Sceneggiatura: Patrice Leconte, Jérome Tonnerre. Fotografia: Yves Angelo. Montaggio: Joëlle Hache. Musiche: Bruno Coulais. Scenografia: Loic Chavanon. Costumi: Annie Perier Bertaux. Interpreti: Gérard Depardieu, Aurore Clément, Mélanie Bernier, Jade Labeste, Anne Loiret, Clara Antoons, André Wilms, Hervé Pierre, Pierre Moure, Bertrand Poncet, Elisabeth Bourgine, Philippe Du Janerand, John Sehil, Norbert Ferrer. Genere: Giallo, Noir. Paese di Produzione: Francia, Belgio. Durata: 89’.