Malala Yousafzai: “aprite i confini alle rifugiate, il loro futuro non è perduto”

Articolo di Armando Giardinetto

Il Premio Nobel per la pace, Malala Yousafzai, alza la sua voce perché sia garantito il futuro delle donne afgane: “Aprite i confini alle rifugiate, il loro futuro non è perduto”.

A poche ore dalla caduta di Kabul nelle mani dei talebani, arrivano puntuali come sempre le parole di Malala Yousafzai, la giovane ragazza ventiquattrenne pakistana che si è battuta, e si batte tutt’oggi, per la difesa dei diritti civili e per il diritto all’istruzione delle donne nei territori a forte repressione talebana. Malala è la donna più giovane del mondo ad essere stata insignita del Premio Nobel per la pace, nel 2014, quando aveva solo 17 anni.

Mentre i talebani issano la bandiera sul Palazzo presidenziale in Afghanistan, Malala grida forte il suo dolore e la sua angoscia che stanno facendo il giro del mondo. Malala sa bene cosa significa vivere in un regime intollerante come quello talebano; lo ha vissuto sulla sua pelle in Pakistan sin da quando era una bambina: la tragica situazione legata alle donne; i diritti civili che vengono repressi; la situazione legata alle minoranze etniche e, nella fattispecie, alle minoranze musulmane.

“Global, regional and local powers must call for an immediate ceasefire, provide urgent humanitarian aid and protect refugees and civilians”, Malala ha detto poche ore fa, una preghiera ai potenti della terra: “I poteri globali, regionali e locali devono chiedere un cessate il fuoco immediato, fornire urgenti aiuti umanitari e proteggere i rifugiati e i civili”.

La storia di Malala ci ricorda che nei territori sotto il controllo talebano si verificano puntualmente i segnali di una orribile successione di intolleranze; un governo che si insospettisce per poco e niente: per esempio, i cartelloni pubblicitari che, per strada, ritraggono modelle, vengono oscurati; donne e bambini si chiudono in casa per paura di essere uccisi o violentati; alle donne non è permesso di studiare, tanto che le università femminili vengono chiuse; le donne istruite vengono perseguitate e uccise; altre donne vengono catturate perché sono costrette a sposarsi con i militari del regime; tutte le donne hanno l’obbligo di indossare il burqa; i social di tutte le donne vengono cancellati. Alcune fonti dicono che a Kabul, oggi, già esistono delle liste con i nomi di ragazzine nubili, di 12 o 13 anni, che dovranno andare in moglie ai soldati talebani.

Non va assolutamente dimenticato quello che i talebani fecero in Afghanistan nel 1996 e che sicuramente potrà verificarsi anche oggi: gli uomini furono obbligati a farsi crescere la barba; il governo proibì la televisione; la radio; il cinema; la musica; internet; vennero promulgate leggi che vietavano l’istruzione alle bambine sopra i 10 anni; gli imam avevano l’obbligo di segnalare alle autorità governative i nomi dei fedeli che trasgredivano le regole legate alla preghiera e chi aveva comportamenti non conformi alle loro leggi assurde. Nel 2001, come se non bastasse, i talebani distrussero tutte le statue del Buddha di Bamiyan nell’Afghanistan centrale, macchiandosi di colpe orrende come quella dell’abuso culturale e dei diritti umani. Saranno certamente questi, ancora una volta, le sporche regole sulle quali si fonderà il nuovo “Emirato Islamico”.

Aveva solo 13 anni – una bambina – quando Malala iniziò la sua denuncia contro il regime talebano in Pakistan e questo le costò un attentato alla vita che, per fortuna, non ebbe l’esito sperato dai terroristi: Malala venne colpita alla testa da alcuni proiettili, nel 2012, mentre tornava da scuola ma, per fortuna, l’operazione chirurgica le salvò la vita. Il governo talebano la definì il simbolo degli infedeli, tuttavia Malala non si fermò e portò avanti, con estremo coraggio, la sua battaglia, anche di fronte alla minaccia di morte che ancora oggi incombe sulla sua testa per il forte odio che il regime talebano prova nei suoi confronti.

Poi arrivano i riconoscimenti, tra questi, nel 2011 il National Youth Peace Prize; nel 2012 il Anne Frank Award for Moral Courage; il Mother Teresa Awards for Social Justice; il Prize for Peace and Humanitarian Action; nel 2013 il Premio Sakharov per la libertà di pensiero; nel 2014 il Premio Nobel per la pace: “Per la loro lotta contro la sopraffazione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini all’istruzione”, disse il Comitato Norvegese in occasione della premiazione. Seguiranno altre numerose riconoscenze fino ad oggi.

Quattro anni fa, nel 2017, Malala venne ammessa all’università di Oxford per studiare filosofia, politica ed economia, ottenendo la laurea l’anno scorso, nel 2020. Nello stesso anno in Texas venne aperta una scuola elementare che porta il suo nome.

“Non mi importa di dovermi sedere sul pavimento a scuola. Tutto ciò che voglio è istruzione. E non ho paura di nessuno”, in queste sue parole emergono il coraggio e la forza di una ragazzina che difende a spada tratta il diritto all’istruzione per tutti i bambini e le bambine del mondo. L’attivista per i diritti delle donne, Malala Yousafzai, si mostra molto preoccupata per quanto sta accadendo in Afghanistan e spera fortemente che i civili, che stanno fuggendo da questo governo assurdo, possano essere accolti da altri Paesi.

Malala fa appello a tutte le nazioni, soprattutto agli Stati Uniti e all’Inghilterra, perché questa in Afghanistan si prospetta una vera e propria crisi umanitaria: “I Paesi devono aprire i loro confini ai rifugiati afghani”.

Di fronte a questo grido di dolore e di aiuto non possiamo far finta di non sentire, Malala non può essere sola, non deve essere sola. Tutti dobbiamo alzare la nostra voce con lei. Facciamo nostro il grido di Malala Yousafzai che è il grido disperato di tantissime donne che purtroppo non hanno voce in capitolo. La preoccupazione di Malala diventi la preoccupazione di tutti noi, di tutto l’Occidente.

Una ragazza di 24 anni ci insegna come agire davanti ai soprusi a danno dei diritti di tutti e soprattutto delle donne in quell’aria geografica; apriamo il nostro cuore, facciamolo adesso perché non è possibile che, dopo venti anni, un paese come l’Afghanistan ritorni al punto di partenza: “Noi parliamo di progresso, di parità di diritti e di uguaglianza di genere, non possiamo rimanere a guardare un Paese che torna indietro di decenni, di secoli”, ha detto Malala Yousafzai in un’intervista alla BBC poche ore fa.

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