Marco Saya (Buenos Aires, 1953) – scrittore ed editore di poesia capace e lungimirante, oltre che dotato di grande passione per le lettere – compie una selezione antologica della sua opera con incorporei appunti (poesie scelte 2000 – 2021), pescando il meglio da Bambole di cera, Raccontarsi, Noi atomi alla ricerca di un nucleo, Situazione Temporanea, Murales e Filosofia spicciola. Poesia breve, quasi in forma di appunti, note a margine en passant mentre la vita scorre, parole potenti, dotate di una profondità esemplare e di un’immediata comprensibilità di lettura. Il poeta arriva a Milano nel 1963, la vede bella, s’innamora persino della nebbia, ma gli amori passano, le città cambiano – come tutto cambia -, adesso sono altri gli amanti della sua Milano, diventata un luogo troppo diverso dal passato. Bisogna vivere piuttosto che durare, anche se spesso in solitudine, tra gli imbonitori che narrano di un mondo sconosciuto, intellettuali che fanno fare brutti sogni e lasciano bruciori di stomaco, albanesi che vogliono parlare quando incontrano la diversità in un loro simile. Il poeta parla di un tempo che ammonticchia i tempi, convinto che si debba ri-morire per poterci ri-scrivere, tra canzonette ritmate e giochi di parole, alla ricerca di oggetti smarriti, sfuggendo dai cliché, dai pensieri di Mao e da cadaveri che non sono mai passati da parco Lambro, da nemici che continuano a vivere, nonostante tutto. La poesia di Saya è fatta di rapidi pensieri e descrizioni di paesaggi, intense sensazioni che ci ricordano come sia facile diventare vecchi prima dell’andare a capo, che siamo universi di molecole e rimpianti, mentre rimescoliamo le carte, sognando un mazzo nuovo. Su tutta la poesia aleggia Milano, città da bere che racchiude il tempo perduto, il frastuono, l’oblio di luci lasciate sempre accese, le urla dal sottosuolo, tra bagliori naturali, quei bei vecchi tram di una volta, linee che intersecano altre linee in concentriche ragnatele. Saya conclude che scriviamo come forsennati, ma basterebbe un solo verso immortale, una sola poesia invece di tanta carta inutile, mentre rimpiangiamo una vecchia traccia di vinile al posto di un insipido tempo liquido dove persino la musica scorre impalpabile. Il verso di Saya diventa politico, combatte i neologismi sciocchi e le cassandre puttane, figlie di un capitalismo abortito e di una democrazia stuprata. A una certa età sembra tardi per tutto, ma quando avresti potuto fare quel che ora ti manca non era ancora tempo, perciò ti perdi nell’agonia del non fatto. Il poeta è consapevole che pretendere la popolarità dalla poesia è come chiedere al silenzio di schiamazzare; sappiamo bene quanto sia vero, infatti, aggiunge il vostro piccolo recensore, se mai vi capitasse d’imbattervi in un poeta popolare chiedetevi se sia davvero poesia quella che scrive.
Piccola selezione
1
Milano, quando ci sbarcai era bella,
nonostante la saudade mi innamorai
di quella nebbiolina che, allora,
s’incuneava tra le case di città studi.
Sono passati più di quarant’anni,
gli amori passano,
anche le città cambiano,
e quella nebbiolina
ha scelto un altro amante.
2
Tutti scriviamo come dei forsennati,
poi ci rendiamo conto
che basterebbe una sola poesia,
quattro versi che possano girare il mondo
con le proprie parole.
Di questo si tratta,
scrivere questi quattro versi.
3
Milano è frastuono,
oblio di luci lasciate
sempre accese,
il mio stordito incedere
tra passi noncuranti,
le vibrazioni del passante ferroviario,
solitarie urla dal sottosuolo
gridano la voglia
di uscire con gli occhi
e spengere quelle luci
che oscurano
il naturale bagliore.
4
Passa un tram
(quei bei vecchi tram
di una volta),
ancora per poco,
ora simili a eurostar
con quei brutti musi,
pensano di essere belli
così affusolati (i poveretti),
silenziosi, anonimi,
(quei bei vecchi tram
di una volta).
5
Ascoltiamo il ricordo di vecchie tracce,
il vinile sostituito da un veloce youtube,
videovedo in un quadratino,
brodo star per insipide
– insipienze –
Tratto da Marco Saya incorporei appunti – (poesie scelte 2000 – 2021), Marco Saya Edizioni, 2021 – Euro 12 – Pag. 120