Marocco, la rivoluzione culturale che cancella la produzione e la vendita del burqua

Articolo di C. Alessandro Mauceri

Da alcuni anni, in Marocco, è in atto una rivoluzione religiosa e culturale: le autorità hanno obbligato commercianti e produttori, sarti e aziende di abbigliamento a cancellare la produzione e la vendita del burqa, il lungo velo blu, nero o marrone, che copre completamente la testa e il corpo della donna che lo indossa lasciano solo un piccolo spazio con una rete per nascondere gli occhi ma consentire la visione dall’interno. Chi non dovesse rispettare il divieto rischia la confisca della merce e la chiusura dell’esercizio. L’ordine è arrivato alla spicciolata sui banchi dei mercati rionali.

Sono molti i tipi di rivestimenti indossati dalle donne musulmane in tutto il mondo. Alcune donne indossano solo un velo per coprire la testa e i capelli, altre indossano un burqa o un niqab, che copre anche il viso. Il burqa è il più “nascosto” di tutti i veli islamici. É ben diverso dallo hijab (parola che descrive l’atto di coprirsi in generale ma è spesso usata per descrivere il velo in molti stili e colori indossato dalle donne musulmane) comunemente indossato in Occidente e che copre la testa e il collo ma lascia scoperto il volto. Il niqab, invece, è un velo che copre il viso ma lascia scoperta l’area intorno agli occhi. 

L’ al-Amira è diviso in due pezzi: un cappuccio attillato, solitamente in cotone o poliestere, e una sciarpa a tubo. La shayla è una lunga sciarpa rettangolare, diffusa soprattutto nei paesi della regione del Golfo, che le donne avvolgono intorno alla testa appuntato in posizione delle spalle. l khimar è un lungo velo simile a un mantello che pende appena sopra la vita. Copre completamente i capelli, il collo e le spalle, ma lascia il viso chiaro. Il chador, infine, indossato da molte donne iraniane quando si trovano fuori di casa, è un mantello a tutto il corpo.

Una decisione che ha generato polemiche specie tra i gruppi conservatori dato che indossare il velo integrale non è tradizione del Marocco e la maggior parte delle donne musulmane nel paese indossano semplicemente l’hijab o il niqab. “Migliaia di donne marocchine indossano il niqab. Questa decisione è un primo passo verso il suo divieto e causerà una scissione all’interno della società”, ha dichiarato una donna marocchina.

Dello stesso avviso Hammad Kabbadj, la cui candidatura alle elezioni di ottobre era stata invalidata, che ha dichiarato “inaccettabile vietare ai cittadini di indossare il niqab orientale, interferendo sulla sua commercializzazione”. 

Al momento, tuttavia, il divieto non riguarda indossare il burqa che, in Marocco, è diffuso in una versione leggermente rivisitata rispetto all’originale afghano: non l’abito lungo con la retina davanti agli occhi, ma solo un copricapo, un velo più grande del foulard indossato dalle musulmane, con una feritoia per lasciare libero lo sguardo.

Funzionari del Ministero dell’Interno del Marocco non hanno rilasciato dichiarazioni ufficiali circa le ragioni di questa decisione, lasciando però intendere che i motivi siano legati alla sicurezza. Anche alcuni commercianti, contattati dai media locali, avrebbero confermato che la misura è stata adottata per ragioni di sicurezza, ovvero per impedire che si possa usare il velo integrale per nascondere la propria identità o per portare a termine un attentato.

Troppo spesso, infatti, il burqa è usato per nascondere il volto e compiere azioni criminose nel paese. Non tutti i paesi sono d’accordo con l’uso del burqa: in Francia e in Danimarca, ad esempio, è espressamente vietato indossare in pubblico abiti che coprano il viso. Anche in Italia la situazione non è molto diversa.

Il parere del Comitato per l’Islam italiano presso il Parlamento aveva già espresso la propria opinione valutando le proposte di legge relative a modifiche all’art. 5 della legge n. 152/75 che vieta l’uso “di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento delle persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo”. Il Comitato ha riconosciuto l’importanza di consentire l’utilizzo degli “indumenti indossati in ragione della propria affiliazione religiosa” (C2769 Cota) “gli indumenti femminili in uso presso le donne di religione islamica denominati burqa e niqab” (C2422 Sbai), c’è chi propone di tutelare come “indumenti abituali” “i segni e gli abiti che, liberamente scelti, manifestino l’appartenenza religiosa”, ma “a condizione che la persona mantenga il volto scoperto e riconoscibile” (C627 Binetti).

Il Comitato ha indicato come “preminente la considerazione di ordine pubblico secondo cui persone travisate in modo da non essere riconoscibili – si giudichi o no adeguato il termine «mascherato» dell’art. 85 T.U.P.S. – non possono essere identificate dalle forze dell’ordine” e che “la riconoscibilità delle persone dev’essere garantita, tanto più a fronte del rischio internazionale collegato al terrorismo”.

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