Maurizio Liverani muore, per un malore, mentre passeggia nella sua Senigallia. Aveva 92 anni. Nativo di Rovereto (Trento), il 27 novembre 1928, Liverani aderisce Partito Comunista e fa la Resistenza nel Corpo volontari della libertà. Collaboratore di Paese Sera dal 1952 – responsabile spettacoli e cultura -, quindi della Settimana Incom Illustrata (pseudonimo Mauro Lirani). Nel 1966 abbandona il Pci e Paese Sera, dove era critico cinematografico. Dalla fine degli anni Sessanta al 1983 dirige Il dramma, collabora con Tempo Illustrato, Il Giornale d’Italia, Vita Sera e Il Borghese firmando spesso come Ivanovich Koba. Negli anni Novanta è redattore de Il Giornale, Il Tempo e L’Avanti. Regista di due sole pellicole. Sai cosa faceva Stalin alle donne? (1969), con Helmut Berger, una satira sul conformismo degli intellettuali comunisti romani, Premio di Qualità del Ministero dello Spettacolo alla Mostra del Cinema di Venezia. Il solco di pesca (1974), commedia sexy con Gloria Guida e Martine Brochard. Nel 1997 vince il Premio Fiuggi con il pamphlet satirico Dal polo al pollo (Scipioni editore) seguito dal romanzo Disamore, ovvero la trascendenza verso il basso (Monduzzi, 1998). In seguito ha pubblicato numerosi libri di cinema.
Per ricordarlo andiamoci a rivedere Il solco di pesca, secondo è ultimo lavoro del regista. Il film, costruito intorno a un erotismo colto e raffinato, si ricorda soprattutto per una generosa esposizione di glutei femminili. Liverani scrive, sceneggia e dirige la pellicola, il montaggio è di Giuseppe Giacobino, la fotografia di Angelo Bevilacqua, le scenografie sono di Antonio Visone e le musiche di Teo Usuelli. Prodotto da Top International Film e distribuito da Indief. Il cast: Gloria Guida, Martine Brochard (Viviane Didier), Alberto Terracina, Emilio Cigoli, Roy Bosier, Rita Corradini, Diego Ghiglia, Anna Maria Colantuoni, Anna Maria D’Amico, Giulietta Luisa Federici, Anna Maria Masturno, Luigi Quattrocchi, Andrea Camilleri (è proprio lui, l’autore del commissario Montalbano al tempo misconosciuto autore di teatro) e Renzo Stacchi. Il solco di pesca altro non è che il sedere femminile, per essere precisi la fessura tra le natiche. Ed è il sedere femminile il vero protagonista di un film ascrivibile al sottogenere dei peccati in famiglia. La trama è piuttosto confusa, al punto che spesso si fa fatica a seguire quel che il regista vuol comunicare. Davide è un ex seminarista appassionato di fotografia, ma più che altro è ossessionato dalla forma perfetta del sedere femminile. La sua ricerca è di tipo erotico-mistica, ma c’è qualcosa di torbido in questa passione che coinvolge Martine Brochard (la borghese Nicole) e Gloria Guida (la servetta Tonina) nel ruolo di modelle preferite. Nicole è una donna sposata con un uomo ricco – attore sperimentale per dare un senso alla vita – e tradisce il marito (che da tempo non ama) con leggera noncuranza. Tra l’altro anche il marito deve farsi eccitare sessualmente dalla serva Tonina per riuscire ad avere rapporti con la consorte. Martine Brochard recita una parte perfetta da borghese annoiata dalla vita con uno stupendo accento francese. Gloria Guida è doppiata in dialetto bolognese, interpreta una serva ingenua che vuol restare illibata e per questo concede soltanto la parte posteriore. Di sicuro è una cameriera molto sensuale che sfoggia ridotti completi intimi, calze nere e reggicalze intriganti. Il regista presenta un triangolo morboso con Nicole che mostra a un entusiasta Davide il lato b di Tonina. “Ha carattere il suo sedere, è volubile, imprevedibile. Un sedere sulla pista di lancio”. Davide ha una moglie che non ama, per questo afferma che il suo sedere è avvilito dalla tristezza. Ha pure uno zio prete che funge da consulente amoroso, proprio a lui confessa di voler divorziare dalla moglie e che le donne così come sono non lo attraggono. Per lo zio è soltanto colpa del nipote, perché ha commesso un errore quando ha deciso di sposare un’intellettuale e una rompiscatole. Il religioso si lancia con ardore in un discorso sul peccato e sul pudore, affermando che la permissività è la rovina del mondo. Il giorno dopo vediamo un pranzo a casa di Nicole al quale partecipa pure il marito e il regista non perde l’occasione per criticare l’istituzione del matrimonio, definita contro natura. Davide accarezza le gambe di Nicole sotto il tavolo e intanto si entusiasma alla vista del sedere di Tonina, esposto con generosità da un sensuale abbigliamento da sexy cameriera. Tant’è vero che alla fine del pranzo la servetta cede alle lusinghe del fotografo e si fa sodomizzare. Il senso di colpa nella mente di Davide è sempre più forte del piacere, sia con l’amante Nicole che con la serva Tonina. A casa confessa a Dio la sua colpa per aver costretto una ragazza a compiere un atto innaturale. Davide è un personaggio contraddittorio, caratterizzato da passioni erotiche e da un grande timore di Dio. La sua casa è una specie di santuario dove si ritira per pregare sfoggiando una veste da seminarista, ma possiede anche una lampada a forma di pene maschile e spesso indossa calze a rete. A questo punto il marito di Nicole scopre l’orologio di Davide in bagno e comprende che la moglie lo tradisce. Per questo caccia di casa la donna dopo averle fatto un occhio nero. Un nuovo gesto ipocrita borghese. “Lo abbiamo fatto nel suo letto e per lui la famiglia è sacra”, dice la moglie. Le apparenze contano e devono essere salvaguardate. Il marito si lascia andare a discorsi ancora più assurdi: “Hai infangato la famiglia con un uomo che possiede un orologio come questo”. Tonina placa come soltanto lei sa fare l’ira del marito tradito che cita a più riprese Boccaccio, Balzac, Shakespeare (“Vai tra le donne e non dimenticar la frusta”). Davide risponde a tono con altre citazioni letterarie. I due uomini con tutta la loro cultura di fatto si contendono Tonina che alla fine seguirà Nicole a casa di Davide. La casa del fotografo viene arredata con gigantografie del lato b di Nicole ma intanto Davide sogna ogni notte il sedere di Tonina. La parte più interessante del film mostra una Gloria Guida inedita in pose inedite da donna fatale. Viene fotografata legata e a seno nudo, con pose molto sexy, un rossetto deciso che mette in evidenza labbra carnose e un trucco pesante che conferisce uno sguardo sensuale. Davide le dipinge di bianco seno e sedere, quindi la fotografa. Il fotografo scopre che le natiche di Nicole non sono più quelle di una volta perché il tempo le ha deteriorate, il solco di pesca è sceso verso il basso. Nicole si fa curare da Bernardino, un massaggiatore che finisce per innamorarsi di lei. Intanto Davide manda l’amante nuda sui tetti, la offre ai garzoni, la espone. Nicole va dallo zio di Davide e gli spiega la situazione ma il prete la tratta da concubina e da donna non timorata di Dio. Quindi le alza la gonna e davanti al suo sedere si lancia in un’orazione contro la depravazione dei costumi, sulle “mutandine risucchiate nel solco di pesca” che sono simbolo di lussuria. Servono mutande caste e a prova delle sue parole mostra i mutandoni da prete. Seguono sequenze piuttosto spinte con Davide che accarezza Tonina davanti a Nicole mentre la serva confessa alla padrona di aver concesso il sedere anche a suo marito oltre che a Davide. Ma quel che conta è la verginità. Arriva la definitiva crisi mistica di Davide che si ritira in convento dove non guarisce dalle ossessioni erotiche ma continua a fotografare le suore. Nicole resta sola con Tonina e la fa sverginare da Bernardino perché irritata dalla sua singolare forma di castità.
La sequenza è abbastanza spinta e viene presentata come una specie di esorcismo. Bernardino scaccia il diavolo dal corpo di Tonina. Una volta che la serva non è più vergine, Nicole la licenzia e assume una ragazza che abbia la stessa caratteristica di illibatezza. Davide è in convento ma il pensiero non abbandona il solco di pesca che non può dimenticare. Degna di nota la conclusione di un film confuso e pasticciato che non è facile seguire. Lo zio prete afferma: “Il Dio che creò l’uomo doveva avere un bel senso dell’umorismo”. Nel film, invece, è quasi del tutto assente. Una commedia sexy che si fa fatica a definire commedia, forse è meglio parlare di un film erotico che ha la pretesa di ironizzare sulla raggiunta libertà sessuale delle donne. Si tenta di mettere alla berlina l’animo cattolico dell’italiano ossessionato più dalle forme del desiderio (il solco di pesca) che dal suo reale soddisfacimento. Ma i modi in cui si esprimono le idee sono troppo forzati, i dialoghi sono irreali e pedanti, persino didascalici. Frasi come: “Noi preti abbiamo dato al mondo la prima femminista: Maria Vergine”, si commentano da sole. Fa bene Marco Giusti a definirlo uno stracult tutto dedicato al culo femminile, perché la visione dei fondoschiena di Gloria Guida e di Martine Brochard è la sola cosa degna di menzione. La Guida si mostra più nuda del solito e Martine Brochard perde alla grande il confronto a livello di esposizione natiche, sia per le remore nel mostrarle che per motivi anagrafici. Emilio Cigoli fa una delle sue ultime apparizioni nei panni dello zio prete. Importante la presenza di Andrea Camilleri, sconosciuto autore di teatro e non ancora narratore di culto, ripreso in una scena tratta da un suo spettacolo scritto con Luigi Quadrucci. Paolo Mereghetti (una stella e mezzo): “Liverani usa le forme della commedia sexy per ironizzare sulle pretese di liberazione delle donne (…). La goliardia soffoca tutto, con frasi come La contestazione a livello di culo o Il mio è un erotismo spirituale perché il peccato fa desiderare la purezza (…). La Guida si offre generosamente nuda, mentre la Brochard tende a conservare mutande e reggiseno”.
Maurizio Liverani è un regista molto discusso dalla critica di sinistra perché colpevole di un repentino cambiamento di idea politica e il conseguente passaggio alla destra. Nipote del repubblichino Augusto Liverani, che lui stesso dovette riconoscere sfigurato da un omicidio partigiano. Maurizio è di origini borghesi, antifascista della prima ora, affiliato al Movimento partigiani per la libertà a soli sedici anni. Nel dopoguerra giornalista di Paese Sera, quotidiano filocomunista, iscritto al partito comunista di Venezia e poi di Roma, ma conserva una posizione poco allineata e critica. Il partito lo definisce un deviazionista perché troppo incline all’ironia e troppo autonomo nel modo di pensare. Liverani su Paese Sera si occupa di critica cinematografica e ha come collaboratore un giovanissimo Dario Argento. Dopo i fatti di Budapest e l’invasione dei carri armati sovietici in Ungheria, Liverani matura la convinzione di abbandonare il partito e passa al settimanale di destra Lo Specchio, collaborando pure a Il Dramma, Tempo illustrato, Il Giornale d’Italia e Vita. Scrive per Il Borghese e firma pezzi sferzanti con lo pseudonimo di Ivanovic Koba (nome di battaglia di Stalin). La scelta di Liverani è difficile e come conseguenza ne deriva il suo totale isolamento culturale. Quando esce Sai cosa faceva Stalinalle donne? (1969) la parola d’ordine da sinistra è boicottare la pellicola. Il film è una satira feroce e graffiante sugli amori e i furori di due comunisti-stalinisti ben interpretati da Helmut Berger e da Benedetto Benedetti. Protagoniste femminili le bellissime e seducenti Margaret Lee e Silvia Monti.
Il solco di pesca arriva sei anni dopo, interpretato da due donne ancora più belle come la lanciatissima Gloria Guida e la francese Martine Brochard. Peccato che per la parte del protagonista maschile venga scelto l’inespressivo Alberto Terracina. Secondo il regista la pellicola ironizza sui rapporti uomo-donna, sul senso del peccato e sull’ossessione del sesso. Liverani sostiene di essersi ispirato ai versi del poeta inglese Browning che in una lirica dedicata alla moglie Elizabeth Barret parla del fondoschiena e definisce solco di pesca la fessura che divide le natiche. Riportiamo per intero una dichiarazione di Maurizio Liverani su Il solco di pesca che abbiamo letto sul numero 3 (primavera 2003) della purtroppo defunta rivista Cine 70 diretta da Franco Grattarola. “Ho cercato di reagire alla moda corrente dell’erotismo cinematografico con la preoccupazione di ammonire senza falsi moralismi sui paradossi del consumo del sesso. Se all’amore si toglie il concetto di peccato è sottratto alla vita ogni sapore. Il sesso non più imbevuto di mistero s’intride di noia. L’amore, in quest’epoca caratterizzata dalla tirannide della permissività, ha perduto ogni incanto perché nell’abbattimento del tabù si è andati oltre ogni limite. Ho scelto Gloria Guida quando mi resi conto che era tutt’altro che una cosa di carne e che con lei potevo ridicolizzare il cosiddetto cinema sexy. Mentre con la disinibita Martine Brochard potevo dimostrare quanto scrive Oscar Wilde, cioè se una donna vuole accaparrarsi un uomo non ha che da fare appello a tutto quello che in esso vi è di peggiore”. Una nota critica di Massimo Pepoli su Il Messaggero del 26 giugno 1976 definisce Il solco di pesca come un film diretto con gusto e senso della misura e aggiunge che il regista evita di cadere nella facile trappola del volgare. Nel film è vero come dice il critico del giornale romano che si respira un erotismo cerebrale, meditato, suggerito ma è anche il suo limite più evidente che si accompagna in senso negativo alla eccessiva verbosità e alle ermetiche citazioni letterarie che lo rendono pesante e di difficile comprensione. Secondo Pepoli Il solco di pesca mantiene una discreta tenuta narrativa ed è interessante soprattutto quando ridicolizza il cinema sexy o porno. Non sono così entusiasta dell’opera di Liverani, anche se condivido il giudizio positivo su Gloria Guida che è davvero in gran forma.