Pier Paolo Pasolini con la sua Medea concede davvero poco allo spettacolo e alle esigenze commerciali per realizzare un cinema colto, esteticamente perfetto, per pochi eletti, da vedere solo dopo adeguata preparazione. La storia ricalca la tragedia di Euripide senza variazioni di sorta. Giasone viene allevato da un Centauro per salvarlo da morte sicura, quando cresce deve impadronirsi del vello d’oro, custodito nella Colchide dalla sacerdotessa Medea, per riprendere possesso del piccolo regno di Jolco. Medea, innamorata di Giasone, uccide il fratello, ruba il vello d’oro e fugge con lo straniero, ma Pelia, re di Jolco non mantiene la parola. Giasone non si preoccupa molto e parte per altre conquiste. Pasolini compie un salto temporale di dieci anni. Giasone e Medea sono sposati a Corinto e hanno due figli, ma l’ambizione di Giasone lo porta a ripudiare la moglie e a chiedere in sposa Glauce, giovane figlia del re Creonte. La vendetta di Medea è terribile. Il dono delle vesti maledette farà impazzire Glauce e la condurrà al suicidio insieme al padre, quindi Medea ucciderà i figli, frutto dell’amore per Giasone, non permettendo che il padre tributi onori funebri alla prole perduta.
Fin qui la trama, abbastanza nota per chi ha compiuto studi classici, ma la difficoltà di seguire quasi due ore di film sta nei pochi dialoghi (molto letterari) e in una confezione scenica esteticamente perfetta ma a tratti confusa. Pasolini riproduce per immagini, direi quasi per visioni, il conflitto tra mondo arcaico, dominato da emozioni, e mondo moderno, dominato da razionalità. Medea che abbandona il suo mondo naturale, le passioni ancestrali, rappresenta il passato, incarna il conflitto con il presente e lo scontro tra individuo e società, fonte principale di alienazione dell’uomo moderno. Maria Callas, con uno sguardo fisso e allucinato, dotata di una voce potente, è perfetta nel ruolo della donna che uccide il fratello e tradisce il suo popolo, conquistata dall’amore per Giasone.
Medea rappresenta una sorta di tentativo di portare avanti un Poema sul Terzo Mondo, inventando una scenografia primitiva tra Siria e Turchia che riproduce la Colchide, con la visione di riti barbari e culti magici legati alla fertilità. La colonna sonora a base di antiche musiche sacre giapponesi e canti d’amore iraniani (scelti da Pasolini e Morante) esprime il clima da tragedia – sottolineato dal coro delle donne in lacrime – ed evoca una comunione sacra tra popolo e natura. Niente è esplicito nella riproduzione fedele della storia, tutto è sottinteso, spesso dato per conosciuto, sia gli atti d’amore che i delitti, persino il matrimonio e le nascite, in un mix fantastico tra sogno e realtà. Il finale vede un alternarsi di parti oniriche e sequenze reali abbastanza confuso che mette in scena un suicidio eclatante tra le fiamme (sogno) e una morte gettandosi dal dirupo (realtà), con sequenze identiche che si ripetono.
Pasolini affronta anche il tema del diverso con la figura di Medea, scacciata da Creonte perché proviene da paesi barbari che compiono riti magici, con una frase molto attuale: “Non ti vogliamo, perché sei diversa!”. Medea è la purezza del passato prima dell’avvento del mondo borghese, la donna destinata alla sconfitta totale, che vince solo attraverso la propria rovina. Medea uccidendo i suoi figli – frutto di un amore impuro – nega ogni possibilità di sopravvivenza al suo mondo arcaico, già profanato uccidendo il fratello e fuggendo con Giasone.
Interessante la parte scenografica, curata da Dante Ferretti e Nicola Tamburro, sia la ricostruzione fantastica della Colchide che la Corinto ambientata (per gli interni) in piazza dei Miracoli, a Pisa, tra il giardino del Duomo e il Cimitero Monumentale. Ottima la fotografia a colori di Guarnieri, fantasiosi i costumi di Tosi, compassato il montaggio di Baragli. Regia ricca di intuizioni artistiche, a parte un’ottima direzione di attori, si notano movimenti di macchina volutamente sghembi, poetici piani sequenza, panoramiche suggestive e frequente uso della macchina a mano. Buone le interpretazioni, da Maria Callas – intensa protagonista – a Giuseppe Gentile, un atleta olimpico in prestito al cinema, sino al professionale Massimo Girotti, nei panni di Creonte. Produzione italo – franco – tedesca molto ricca ma con una riuscita economica modesta che scoraggia Pasolini a continuare su progetti troppo elitari che comprendevano una Vita di San Paolo, dopo aver girato gli Appunti per un’Orestiade Africana. Infatti, dopo Medea, il poeta friulano abbandonerà il Poema sul Terzo Mondo e passerà alla Trilogia della vita, non meno colta e profonda, ma ricca di contenuti erotico – giocosi più diretti e comprensibili.
Regia: Pier Paolo Pasolini. Soggetto: Medea di Euripide. Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini. Fotografia: Ennio Guarnieri. Scenografia /Arredamento: Dante Ferretti. Architetto: Nicola Tamburro. Costumi: Piero Tosi. Commento musicale: Pier Paolo Pasolini (musiche scelte), Elsa Morante (collaborazione). Montaggio: Nino Baragli. Collaborazione alla Regia: Sergio Citti. Assistente alla Regia: Carlo Carunchio. Produzione: San Marco spa (Roma), Les Films Number One (Paris), Janus Film und Fernsehen (Frankfurt). Produttori: Franco Rossellini, Marina Cicogna. Produttori Associati: Pierre Kalfon, Klaus Helwig. Pellicola: Kodak Eastmancolor. Formato: 35 mm., colore, 1:1,85. Macchina da Presa: Arriflex. Sviluppo e Stampa: Technostampa. Sincronizzazione: Nis Film. Distribuzione: Euro International Film. Riprese: maggio – agosto 1969. Teatri di Posa: Cinecittà. Esterni: Turchia, Siria. Interni: Aleppo (Siria), Pisa, Marechiaro di Anzio, Laguna di Grado, Provincia di Viterbo. Durata: 110’ e 28” (3022 metri). Interpreti: Maria Callas (Medea), Larent Terzieff (Il Centauro), Massimo Girotti (Creonte), Giuseppe Gentile (Giasone), Margareth Clementi (Glauce), Sergio Tramonti (fratello di Medea), Anna Maria Chio (Nutrice).