Negli ultimi giorni, si è parlato del rifiuto del presidente tunisino degli “aiuti” che il governo italiano e l’UE avrebbero offerto alla Tunisia per contrastare i flussi migratori. Purtroppo, come spesso accade, è stata detta solo mezza verità.
Per comprendere la questione degli aiuti alla Tunisia bisogna fare un passo indietro nel tempo. Almeno fino al 2021. Fu allora che si parlò di un programma di prestiti da 4 miliardi di dollari concessi dal Fondo monetario internazionale (FMI). Secondo il primo ministro Hichem Mechichi sarebbe stata una “ultima opportunità” per salvare l’economia. Un sostegno finanziario per aiutare il Paese a superare una crisi economica che è stata aggravata dalla pandemia di COVID-19. Secondo il FMI la Tunisia avrebbe dovuto attuare riforme urgenti delle imprese statali, concedere sussidi alle fasce più deboli della popolazione, ma, soprattutto, apportare modifiche considerevoli al settore pubblico. Il portavoce del FMI, Gerry Rice, si mostrò favorevole affermando “siamo sempre stati e continueremo ad essere un partner forte della Tunisia”. Lo stesso Rice, però, sottolineò che non era ancora stata calendarizzata la data per la concessione reale dei finanziamenti: “Le discussioni si concentrano sulla definizione delle priorità economiche, delle sfide da affrontare e delle riforme da attuare per superare l’attuale crisi che sta attraversando il Paese”.
La crisi economica, caratterizzata da una crescita a mezz’asta per 10 anni, in media dello 0,6% annuo, e un’elevata inflazione del 6% annuo, è stata aggravata dalla pandemia che ha bloccato il Paese privandolo di fondamentali introiti turistici. Il ritardo non era casuale: la Tunisia stava e sta ancora affrontando una grave crisi economica. Una instabilità cronica che potrebbe essere uno dei motivi del calo dell’entusiasmo di investitori e dei finanziatori. A questo la scorsa estate, si è aggiunto un altro fattore chiave per la concessione dei prestiti: l’instabilità politica. Il governo ha varato una legge finanziaria supplettiva che ammetteva un aumento del deficit di bilancio dello Stato del 38% (dovuto anche all’aumento del prezzo del petrolio). Per uscire dalla crisi, il presidente Kais Saied aveva basato la propria politica sugli aiuti dall’Unione europea, e sulla richiesta di finanziamenti (la quarta in 10 anni) all’FMI.
Altra criticità che potrebbe aver rallentato la concessione degli aiuti il fatto che Kais Saied ha deciso di “licenziare” il premier e di sospendere i lavori del Parlamento varando un nuovo governo accentratore.
Le nuove trattative con l’FMI, alla fine dello scorso anno, hanno portato ad un nuovo accordo. Un programma per ripristinare la stabilità macroeconomica, rafforzare le reti di sicurezza sociale e l’equità fiscale e intensificare le riforme che sostengono un ambiente favorevole per una crescita inclusiva e la creazione di posti di lavoro sostenibili (e i migranti?). Il tutto con un taglio considerevole degli aiuti. Il nuovo accordo tra FMI e autorità tunisine parlava di 48 mesi nell’ambito dell’Extended Fund Facility (EFF) con aiuti complessivi per circa 1,9 miliardi di dollari. Un taglio considerevole (rispetto ai 4 miliardi di dollari iniziali) giustificato dal FMI per il quale “il peggioramento del contesto globale e gli alti prezzi internazionali delle materie prime stanno pesando pesantemente sull’economia tunisina, aggiungendo debolezze strutturali in condizioni socioeconomiche difficili. Crescita probabilmente rallenterà nel breve termine, mentre i rialzi internazionali I prezzi delle materie prime eserciteranno pressioni sull’inflazione e sull’estero. Il nuovo accordo FEP sosterrà le autorità programma di riforme economiche per ripristinare la stabilità estera e fiscale della Tunisia, migliorare la protezione sociale e promuovere livelli più elevati, più verdi e inclusivi crescita e creazione di posti di lavoro trainati dal settore privato”. Come al solito, quando non si vuole dire esattamente cosa si vuole fare si usano parole come “verde”, “inclusivo”, “protezione sociale” e altre.
A marzo 2023, anche il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha parlato dell’accordo tra FMI e Tunisia. Tajani ammise che i colloqui erano in stallo da mesi. E che tra i motivi di questo stato di cose c’erano le richieste degli Stati Uniti, tra gli altri, di attuare riforme di “vasta portata” al presidente Kais Saied per “liberare” denaro. Altro problema di fondo, il fatto che, dal canto suo, Saied non ha mai sostenuto pubblicamente un accordo con il FMI. Questo aveva generato preoccupazione che si potessero attuare riforme dopo l’arrivo del denaro o scaricare sul FMI la responsabilità di eventuali sofferenze economiche.
Cosa fare, quindi? Si è pensato all’Italia e alla Commissione europea per sbloccare questa situazione. La decisione della CE e del governo italiano di concedere aiuti al governo tunisino si inquadra in questo scenario. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato che l’Unione europea “potrebbe” prestare alla Tunisia più di 1 miliardo di dollari. Ma il “potenziale” pacchetto annunciato a giungo, dopo la visita di von der Leyen in Tunisia con i primi ministri italiano e olandese Giorgia Meloni e Mark Rutte, non era destinato agli aiuti umanitari e al contrasto alle migrazioni illegali ma, prima di tutto, a forme di “assistenza macrofinanziaria” per salvare l’economia della Tunisia. In altre parole, a fare da catalizzatore e consentire al prestito miliardario promesso dal FMI di decollare. La prova di questo deriva dal fatto che il pacchetto promesso dall’Ue includerebbe 900 milioni di euro in “assistenza macrofinanziaria” per salvare le finanze statali della Tunisia e altri 150 milioni di euro proprio per sostenere il programma di riforme stabilito dal Fondo monetario internazionale!
E gli aiuti per contrastare le migrazioni irregolari? Viste le dimensioni delle cifre in gioco si tratta di spiccioli. Una sorta di specchietto per le allodole. Un motivo in più per fare avanti e indietro dalla Tunisia nel tentativo di imporre regole e dictat finanziari che con i flussi di migranti hanno poco a che vedere. Una scusa per sedere attorno ad un tavolo con il presidente tunisino e costringerlo ad accettare le regole imposte dal FMI (come fatto in passato con la Grecia, con la Libia e, prima ancora, con la Turchia).
Una sorta di “conditio sine qua non” alla quale Kais Saied non ha voluto sottostare. Almeno fino ad ora.