Memorias del subdesarrollo, scritto e diretto da Tomás Gutiérrez Alea nel 1968, è uno dei film più importanti del cinema cubano. Una storia personale che scaturisce dalla temperie culturale dei primi anni della Rivoluzione, quando tutte le contraddizioni cominciano a essere evidenti. La pellicola realizza un monologo interiore con uno sguardo alla strada, secondo la lezione del neorealismo, interpretando in maniera originale il romanzo di Edmundo Desnoes. Il personaggio principale è Sergio, un piccolo borghese che decide di restare a Cuba mentre tutta la sua famiglia – dai genitori alla moglie – emigra negli Stati Uniti. Il film è ricco di immagini evocative, recitato e impostato secondo canoni teatrali, sceneggiato con cura e ben caratterizzato nei personaggi principali. Una vera opera maestra.
Siamo nel 1961, molti borghesi lasciano Cuba perché temono repressioni ed espropriazioni, soprattutto sono convinti di non poter continuare a vivere nella loro patria che sta facendo una scelta comunista. Il regista immortala con un suggestivo bianco e nero immagini di repertorio alternandole a parti recitate per descrivere il distacco tra familiari che partono e persone che decidono di restare. Sergio si trova solo nella grande casa in compagnia di troppi ricordi, vorrebbe scrivere racconti, ma non sa se può farlo perché gli manca la presenza di una donna, guarda L’Avana dall’alto e si chiede: “Sono cambiato io, o è cambiata la città?”. Ascolta la registrazione della voce della moglie, rammenta liti furibonde e vaga disperato per una casa diventata immensa. Gutiérrez Alea racconta Cuba nel periodo più duro dei primi momenti rivoluzionari, tra le fughe, l’invasione della baia dei porci e la crisi missilistica. Il dramma politico va di pari passo con il dramma individuale, vediamo un protagonista che si allontana progressivamente dalla società cubana, che sta diventando sempre più un paese sottosviluppato. Non manca il racconto di un luogo che sembra una città di provincia, anche se un tempo veniva chiamata la Parigi del Caribe, così come viene raffigurato l’erotismo avanero inquadrando sguardi penetranti di donne sensuali. La lezione neorealista italiana – ma pure pasoliniana – sembra riflettersi in una galleria di volti di donne, uomini e vecchi che raffigurano un’umanità in attesa. “Che senso ha per me la vita?”, si chiede il protagonista ma non riesce a darsi una valida risposta. Il personaggio di Pablo è un borghese che critica aspramente la rivoluzione, accusandola di portare barbarie e fame, ma anche futuri problemi economici e una crisi totale. Pablo è amico di Sergio, ma finisce per abbandonare Cuba, incarnando le critiche al sistema e di fatto prevedendo la realtà contemporanea. Sergio lo guarda con disprezzo quando se ne va, rappresenta tutto quello che lui non vuole essere, pensa che è meglio restare solo e vederlo partire. Il regista inserisce lunghe parti storiche, racconta il regime di Batista e i suoi poliziotti torturatori, narra il tentativo di invasione a Playa Giron, i processi, gli arresti, le esecuzioni e gli scontri di piazza. Il messaggio che passa è veritiero perché tutte le forze della società civile si coalizzarono contro Batista per dare vita alla lotta rivoluzionaria. La parte psicologica della pellicola è la più interessante, a tratti sembra di assistere a citazioni de Il posto delle fragole, capolavoro di Ingmar Bergman. Una suggestiva parte onirica scorre al ritmo delle Quattro stagioni di Vivaldi tra un fiume e una Venere di Botticelli. Il regista descrive bene la solitudine del protagonista che vaga per L’Avana, osserva le donne, apprezza i primi bikini e l’esibizionismi di corpi femminili che dopo i trentacinque anni decadono. Sergio incontra Elena, una ragazza che vuol fare del cinema, l’abborda con i tipici piropos cubani – frasi galanti per attirare l’attenzione della donna – e le offre il suo aiuto visto che lavora all’Icaic (Istituto Cubano del Cinema). Sergio vive una nuova storia d’amore sullo sfondo della nuova Cuba rivoluzionaria, tra il cinema, l’Icaic, la musica filín, il cambiamento e i dubbi sul futuro. Ricorda la moglie borghese, la paragona con la ragazzina che ha incontrato e che poco a poco prende il suo posto, colma la solitudine e la mancanza di sesso, bisogno vitale per un cubano. Il protagonista – un alter ego del regista – è critico con la sua gente: “Il popolo cubano è inconsistente. Si adattano al fatto che qualcuno pensi per loro. Le donne cubane si abituano a non pensare”. La ragazzina rappresenta una nuova delusione. Non si occupa di problemi politici, non ha interessi letterari o culturali, lui cerca di portarla nei musei, alla casa di Hemingway, ma a lei non importa niente. Sergio si abbandona alla nostalgia del passato, rimpiange persino la scuola dei preti dove ha capito la differenza tra potere e giustizia, i postriboli dove ha fatto le prime esperienze erotiche. Elena è troppo diversa da lui, non riesce a cambiarla e a plasmarla come vorrebbe. Niente è importante per lei: la casa di Hemingway sono solo libri e animali morti. Sergio racconta la vita di un uomo che uccideva per non uccidersi, ma che alla fine non ha resistito alla tentazione, cerca di farle vivere il suo rifugio, la sua isola nel tropico, ma è tutto inutile.
Tomas Gutiérrez Alea pone l’accento sulle contraddizioni tra capitalismo, imperialismo e socialismo, soprattutto critica l’ultima fase del capitalismo e la guerra del Vietnam. Non risparmia critiche neppure alla nascente società cubana che si candida al sottosviluppo. Assiste annoiato a una tavola rotonda dove si dibattono problemi politico – economici e conclude con una disperata autoanalisi: “Tu cosa hai in comune con questa gente? Tu sei un uomo solo. Adesso comincia la tua distruzione finale. Dov’è la tua gente? Dov’è il tuo lavoro?”. Il regista dipinge con rapide pennellate e un montaggio lento la solitudine dell’intellettuale incompreso da tutti, persino dai genitori che dagli Stati Uniti spediscono lamette e chewin-goum. Elena non lo capisce, lui ricorda un vecchio amore dei tempi della scuola, la sola persona capace di indurlo a tentare di fare lo scrittore e adesso non sa neppure dove sia finita. La pellicola assume toni nostalgici e poetici, mentre flashback e parti oniriche sono molto suggestive. La Rivoluzione censisce la sua casa e toglie gli appartamenti che affittava perché il nuovo regime non prevede più case per una persona. “Ho trentotto anni e mi sento già vecchio”, sussurra mentre rivede la sua vita borghese, sfoglia le foto giovanili e quelle del matrimonio. A un certo punto la famiglia di Elena lo trascina in tribunale, accusandolo di violenza carnale e di aver approfittato di una ragazza minorenne ancora vergine. Siamo nei primi anni Sessanta, la società risente ancora di vecchi valori cattolici e puritani, ma Sergio viene assolto perché non è provata la violenza e soprattutto non si dimostra la verginità della ragazza.
La parte politica torna in primo piano in una pellicola sapientemente in bilico tra commedia umana e impegno civile. Vediamo Revolución, periodico importante del tempo, subito dopo il discorso di Kennedy, lo sbarco fallito a Playa Giron, la crisi dei missili e le donne in divisa come se la guerra fosse un gioco. Fidel compare in televisione per gridare: “A noi non ci ispeziona nessuno!”. Sergio si affaccia dal terrazzo della sua casa, osserva la luna da un binocolo, si sente tragicamente solo mentre la sua terra è sull’orlo di una guerra nucleare. Il finale della pellicola è teatrale: la stupenda fotografia in bianco e nero immortala L’Avana in stato di guerra pronta a combattere. Stupende le ultime immagini. Spunta l’alba sulla capitale e non è accaduto niente. La vida sigue igual, per citare un verso di un vecchio bolero. Riprende la solita vita per le strade della vecchia Avana e Sergio indossa la sua giacca per intraprendere il cammino verso un futuro di sottosviluppo.
Tomás Gutiérrez Alea fornisce un’interpretazione autentica della pellicola nel saggio critico Dialettica dello spettatore, pubblicato da Marsilio nei Quaderni del Cinema di Pesaro. Il regista mette in guardia dalle manipolazioni culturali e afferma che il suo lavoro è completamente rivoluzionario. A nostro avviso spesso le creature sfuggono di mano all’artista e rappresentano le sue inquietudini più recondite, perché il personaggio di Sergio è troppo complesso e ambivalente per non diventare il fulcro della storia. I dubbi dell’artista vengono fuori con prepotenza, anche se Gutiérrez Alea li nega e afferma di vivere in una società che si è liberata dalla borghesia e dai suoi valori. La forza della pellicola è proprio nel suo non essere invecchiata con il tempo, mentre il regista si augurava che certi dubbi svanissero in fretta in un radioso futuro.
Il regista scriveva nel 1981: “Con tutte le sue profonde contraddizioni Sergio ci può aiutare a prendere coscienza di ciò che significa il sottosviluppo sia sul piano economico che su quello culturale e ideologico. Lo spettatore che al principio segue il personaggio e condivide alcune sue osservazioni e dei suoi giudizi sulla nostra realtà, a un certo punto comincia a sentirsi a disagio perché il personaggio con cui si è identificato sta sprofondando sempre di più in un mare di contraddizioni, di dubbi e di incomprensioni paralizzanti. Sergio non riesce a comprendere i valori su cui si basa il mondo che sta nascendo intorno a lui, e soccombe. In un senso profondo, Sergio appare come un sottosviluppato di fronte al mondo che lo circonda, di fronte ala rivoluzione. L’obiettivo della pellicola è quello di mettere in questione la sopravvivenza dei valori propri dell’ideologia borghese in mezzo alla rivoluzione”.
Regia: Tomás Gutiérrez Alea. Soggetto e sceneggiatura: Tomás Gutiérrez Alea con la collaborazione di Edmundo Desnoes. Fotografia: Ramón F. Suárez. Montagio: Nelson Rodríguez. Musica: Leo Brouwer: Suono: Eugenio Vesa, Germinal Hernández e Carlos Fernández. Interpreti: Sergio Corrieri, Daysi Granados, Eslinda Núñez, Beatriz Ponchova, Gilda Hernández e René de la Cruz. Prima visione: 19 agosto 968. 35 mm – b/n – 97min.