A pochi mesi dall’inizio della XIX legislatura, quella guidata dalla premier Meloni, la coalizione di governo non sembra aver fornito risposte concrete alle promesse fatte durante la campagna elettorale sotto il profilo degli arrivi di “migranti”. Nè lo ha fatto l’UE, a parte qualche nota diplomatica alla quale non crede più nessuno quando si verificano decine di morti. Anzi, gli arrivi sono aumentati considerevolmente.
A marzo 2023, nel corso di una conferenza stampa in occasione dell’ennesima strage in mare di migranti, la premier Meloni ha dichiarato che i partiti della coalizione di governo sono “determinati a sconfiggere la tratta di esseri umani”. A farle eco, pochi giorni dopo, il Ministro delle Politiche del Mare Nello Musumeci: “Non posso che essere orgoglioso dei provvedimenti adottati dal governo in merito all’immigrazione clandestina perché si tratta di una risposta coraggiosa, immediata, concreta perché di parole di può anche morire. Noi abbiamo la necessità di sgominare la rete mafiosa degli scafisti e per farlo occorrono misure adeguate”.
La verità è che, da quando è in carica il nuovo governo, gli arrivi sono aumentati esponenzialmente. Come dimostra la strage di migranti in mare avvenuta alla fine di febbraio, ad essersi ridotti non sono stati gli arrivi dei barconi guidati dagli scafisti ma gli interventi salvavita delle ONG. Quello che sorprende di più, però, è che al governo qualcuno faccia ancora confusione tra “tratta” di esseri umani e “traffico” di clandestini.
I numeri
Nell’ultimo trimestre del 2022, gli arrivi di migranti via mare sono triplicati. Il guanto di sfida della premier verso i paesi di provenienza delle navi delle ONG, a colpi di minacce di rispedire loro i migranti, non ha ottenuto i risultati sperati. Esemplare il caso della Humanity 1, battente bandiera tedesca e di proprietà della SOS Humanity. Al tentativo del governo italiano di vietare lo sbarco dei migranti a bordo della nave (tra i quali un centinaio di minori stranieri non accompagnati), Berlino aveva avanzato formale richiesta al governo italiano di soccorrere rapidamente almeno i minori (come previsto dagli accordi internazionali e dalle leggi in vigore, a cominciare dalla l.47/2017). Intervistata da Bruno Vespa, la presidente del consiglio aveva dichiarato che, secondo lei, l’interpretazione del diritto del mare era troppo spesso arbitraria e “Tante volte invocata a sproposito”. E aveva aggiunto: “Se fai la spola tra le coste africane l’Italia per traghettare i migranti, viene apertamente violato il diritto del mare e la legislazione internazionale”. La premier sembra aver dimenticato che, in alcuni casi, ad esempio quando si tratta di minori stranieri non accompagnati, il diritto del mare c’entra poco. Valgono altre norme internazionali, riconosciute e recepite dal Parlamento italiano. E tuttora vigenti. Quanto al “soccorso in mare” a regolamentare questo settore dovrebbe essere il diritto internazionale del mare. Un corpus giuridico che fonda le proprie basi su almeno quattro convenzioni internazionali poi ratificate dagli ordinamenti nazionali. La Solas di Londra, (scritta nel 1914, è stata modificata in diverse occasioni: nel ’29, ’48, ’60, ’74): gli Stati hanno l’obbligo di “accertarsi che tutte le necessarie disposizioni siano prese per la sorveglianza delle coste e per il salvataggio delle persone in pericolo lungo le loro coste”. La Sar (search and rescue) di Amburgo, del 1979: “Le parti si assicurano che venga fornita assistenza ad ogni persona in pericolo in mare. Esse fanno ciò senza tener conto della nazionalità o dello statuto di detta persona, né delle circostanze nelle quali è stata trovata”. La Convenzione di Montego Bay, del 1982, che prevede che siano gli stati ad “emanare leggi e regolamenti, conformemente alle disposizioni della presente Convenzione e ad altre norme del diritto internazionale, relativamente al passaggio inoffensivo attraverso il proprio mare territoriale” (art. 17) e ad “adottare le misure necessarie per impedire nel suo mare territoriale ogni passaggio che non sia inoffensivo” (art. 21). Su questo punto, la Convenzione afferma, all’art. 19, come “Il passaggio di una nave straniera è considerato pregiudizievole (e, quindi, non inoffensivo) per la pace, il buon ordine e la sicurezza dello Stato costiero se nel mare territoriale, la nave è impegnata (nel …) carico o lo scarico (…) di persone in violazione delle leggi e dei regolamenti (…) di immigrazione vigenti nello Stato costiero”. E la Salvage di Londra del 1989: “Ogni capitano è tenuto a prestare assistenza a qualsiasi persona che si trovi in pericolo di perdersi in mare”, con gli Stati che “prendono le misure necessarie atte a fare osservare l’obbligo…”. In particolare sarebbe questa convenzione ad essere basata sul principio di una costante collaborazione tra armatori e capitani di navi private da una parte e autorità nazionali dall’altra per garantire soccorso e assistenza alle persone in mare. Quando, però, si parla di gommoni di migranti, alcuni pensano che questi accordi non abbiano più valore. Ma nessuno spiega perché. Anche nel caso tragico che ha portato alla morte di un centinaio di persone (79 i corpi finora ritrovati, tra i quali quelli di molti bambini), è sorta una polemica sulle responsabilità: oggetto di discussione l’allarme lanciato da Frontex, l’autorità europea che dovrebbe avere il compito di assistere le autorità nazionali sul controllo delle frontiere in mare. Secondo le autorità nazionali, l’allarme lanciato da Frontex non avrebbe parlato di pericolo di vita” delle persone sul barcone. Motivo per cui, secondo alcuni, non sarebbe stata allertata la Guardia Costiera ma la Guardia di Finanza. Polemiche che dureranno mesi e che non serviranno a riportare in vita le persone morte in mare. Nè a far comprendere ai governi che è il modo di gestire il fenomeno migrazioni a non funzionare. Lo dimostra il fatto che da anni si parla di accordi di Dublino, ma di fatto ogni paese europeo, specie quando si tratta di migranti e non di rifugiati o richiedenti asilo, adotta misure proprie.
Emblematico al riguardo anche un altro caso: quello della nave di una ONG che aveva soccorso centinaia di migranti. Dopo giorni in mare per avere il permesso di attraccare in un “porto sicuro”, dalla nave sono stati sbarcati solo una settantina di minori stranieri non accompagnati (e i richiedenti asilo politico?). Purtroppo solo poche ore dopo lo sbarco, 13 di questi minori stranieri non accompagnati si sono allontanati indisturbati dal centro di prima accoglienza che avrebbe dovuto ospitarli. Due sono rientrati volontariamente. Degli altri undici si sono perse le tracce. Possibile che, trattandosi di minorenni, adottate le dovute procedure, nessuno avesse fatto in modo di controllare i loro spostamenti in attesa del trasferimento nel SAI più vicino o in un centro di accoglienza secondario? Possibile che a nessuno fosse venuto in mente di impedire la loro fuga, il loro “allontanamento”? Sì, perché questo è il termine con il quale nei rapporti del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali vengono chiamate queste sparizioni: “allontanamenti”, non “scomparsi” o “dispersi” (che è il termine utilizzato per gli scomparsi fuori dei centri abitati).
Quello che si è verificato non è un evento occasionale. Non si tratta di uno o due casi di minori stranieri scappati dai centri in cui sono ospitati. Il rapporto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sui minori stranieri non accompagnati relativo al mese di gennaio 2023 parla di oltre 400 allontanamenti (454, più di un terzo del numero degli arrivi) in un solo mese. (1) Quasi 500 minori affidati alla tutela dello Stato dei quali le autorità non sanno più nulla. Un numero enorme che trova riscontro in un altro dato altrettanto impressionante: quello dei minori stranieri (accompagnati e non) scomparsi in Italia nel 2022. Secondo i numeri della XXVIII Relazione del Commissario Straordinario del Governo per le Persone Scomparse, lo scorso anno sono state 13.002 le denunce di scomparsa riguardanti minori stranieri. Di queste, solo 3.876 (meno del 30%) si sono risolte con il ritrovamento del minore. Di questi numeri stranamente si è parlato poco. Specie considerando che si tratta di un fenomeno, quello degli allontanamenti dei minori stranieri, che nell’ultimo anno ha fatto rilevare un aumento considerevole: rispetto al 2021, lo scorso anno le denunce di scomparsa di minori stranieri sono aumentate del 47,86% (per la maggior parte riguarderebbero minori egiziani e tunisini).
Non sorprende leggere che la regione italiana dove si registra il maggior numero di denunce di scomparsa di minori (specie stranieri) è la Sicilia. Ovvero proprio la regione dove maggiori sono gli arrivi di minori stranieri non accompagnati. E, come sempre, si tratta per la maggior parte di “allontanamenti” volontari.
Il 10 marzo 2023, nella Gazzetta ufficiale n. 59 è stato pubblicato il decreto legge N. 20-2023 “Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare”. Nel decreto si parla di “Misure per la semplificazione e accelerazione delle procedure di rilascio del nulla osta al lavoro” (art.2). Di “Ingresso e soggiorno al di fuori delle quote” al di fuori delle quote previste dal “Dpcm flussi” per l’ingresso e il soggiorno per lavoro subordinato a stranieri residenti all’estero (art.3). Di contrasto alle agro-mafie (art.5) ma anche (art.9) di “Disposizioni in materia di espulsione e ricorsi sul riconoscimento della protezione internazionale” e di “potenziamento dei centri di permanenza per i rimpatri” (art.10). (2) Nemmeno una parola circa il SAI, il Sistema di Accoglienza ed Integrazione: introdotto con il d.l. 130/2020, il c.d. Decreto Lamorgese, è andato a modificare alcuni dei punti più discussi e controversi del Decreto Salvini. Una scelta che è solo l’ennesima evoluzione di un sistema che esiste da molti anni. La “seconda” accoglienza, in pochi anni è passata dallo SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) prevista dal d.lgs. 142/2015, al SIPROIMI (Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati) coniato con il d.l. 113/2018. Il nome è cambiato, ma molti dei principali problemi non sono stati risolti. Ad esempio, permane la spaventosa carenza di posti soprattutto per i minori stranieri non accompagnati. Secondo il rapporto “I progressi e le questioni che l’accoglienza dei minori soli presenta: una visione europea, nazionale e regionale Monitoraggio normativo – Dicembre 2022”, a giugno 2022 i posti disponibili presso i SAI erano 6.634. Ma i minori stranieri non accompagnati, a dicembre dello stesso anno, erano oltre 20mila. Praticamente il triplo. Critica, ancora una volta, la situazione in Sicilia, terra di arrivo della maggior parte dei barconi: a fronte di 1.716 posti SAI, gli arrivi sono stati quasi 4mila. Ancora peggiore (se possibile) la situazione in Calabria: qui i 372 posti SAI non bastano certo per accogliere i minori stranieri non accompagnati presenti che, a ottobre 2022, erano 1.840.
Minori stranieri non accompagnati a parte, le politiche adottate dal governo lasciano aperta una questione: quella del “carico residuo”, ovvero dei migranti che non sono minori stranieri non accompagnati né rifugiati o in imminente pericolo di vita. Secondo alcuni (e alcune misure adottate lo confermano) non dovrebbero essere autorizzati allo sbarco. Secondo alcuni, le navi delle ONG, dopo aver attraccato nei porti italiani e aver sbarcato le persone ritenute “fragili” secondo i criteri previsti dalla legge, dovrebbero riprendere il largo e la navigazione in acque internazionali con a bordo quelli che il Ministro dell’Interno Piantedosi ha definito “il carico residuo”. Riferendosi all’ultima strage di migranti in mare, il Ministro ha detto che “La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli”. Sul tema del contrasto agli scafisti ha dichiarato: “Ci stiamo lavorando. È un problema internazionale”. La colpa nella gestione del fenomeno quindi sarebbe dell’Europa. Il titolare del Viminale ha aggiunto: “È una tragedia immane, che dimostra come sia assolutamente necessario contrastare con fermezza le filiere dell’immigrazione irregolare, in cui operano scafisti senza scrupoli che pur di arricchirsi organizzano questi viaggi improvvisati, con imbarcazioni inadeguate e in condizioni proibitive”. Quello che il Ministro ha dimenticato di dire in quell’occasione è che, solo poche settimane prima, a gennaio 2023, il governo ha emanato un DPCM, il cosiddetto Decreto Flussi, con il quale ha fissato le “quote” dei lavoratori stranieri che l’Italia potrà prelevare da alcuni paesi extracomunitari nel 2023. Il Decreto in pratica autorizza l’ingresso in Italia di quasi 83mila migranti. Ma solo se soddisfano certi requisiti: 75.705 dovranno essere nuovi lavoratori (di cui 44.000 per lavoro stagionale) e 7.000 conversioni di permessi di soggiorno. Una sorta di “lista della spesa” per lavoratori-migranti che prevede 30.105 lavoratori per i settori dell’autotrasporto, dell’edilizia, per il settore turistico-alberghiero, della meccanica, delle telecomunicazioni, dell’alimentare e della cantieristica navale. Allo stesso modo ci si è guardati bene dal dire che molti di questi “migranti” saranno prelevati dagli stessi paesi da cui provengono gli “altri” migranti, quelli che alcuni vorrebbero cacciare e altri vorrebbero lasciare sulle barche delle ONG. Il DPCM prevede di autorizzare l’ingresso di 24.105 lavoratori migranti provenienti da paesi come Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Corea (Repubblica di Corea), Costa d’Avorio, Egitto, El Salvador, Etiopia, Filippine, Gambia, Georgia, Ghana, Giappone, Guatemala, India, Kosovo, Mali, Marocco, Mauritius, Moldova, Montenegro, Niger, Nigeria, Pakistan, Perù, Repubblica di Macedonia del Nord, Senegal, Serbia, Sri Lanka, Sudan, Tunisia e Ucraina. Un migliaio di lavoratori verranno, invece, prelevati da paesi dovo sono hanno seguito programmi di formazione e istruzione ai sensi dell’art. 23 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. (3) Un centinaio di posti, infine, saranno riservati ai lavoratori stranieri residenti in Venezuela ma di origine italiana per parte di almeno uno dei genitori fino al terzo grado di linea diretta di ascendenza. Lo stesso Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha poi preannunciato che alcuni permessi (6.000) saranno riservati ai lavoratori/migranti provenienti da paesi con i quali entreranno in vigore accordi di cooperazione in materia migratoria. In Italia ci saranno migranti di serie A a migranti di serie B. I primi, quelli che servono al governo e alle aziende per colmare aìla carenza di manodopera non solo sono ammessi ma addirittura cercati. Agli altri, ai migranti di serie B, quelli che arrivano sui barconi, magari in fuga da paesi in cui vivere è diventato impossibile anche a causa di politiche devastanti per il territorio come il landgrabbing, sarà riservato un trattamento completamente diverso. Quelli che nonostante le tremende condizioni del mare e delle carrette del mare sulle quali vengono stipati arrivano sulle coste italiane saranno respinti. Coste che, è bene ricordarlo, sono anche la frontiera dell’Europa. Ma questo a Bruxelles e a Strasburgo sembrano averlo dimenticato. Pochi i fortunati (almeno per un certo periodo): ai sopravvissuti dei barconi viene valutato lo stato di salute (se sono in pericolo di vita o meno) da parte dei medici dell’USMAF, l’Unità di Sanità Marittima, Aerea e Frontiera del Ministero della Salute. Dalle navi e dai barconi scendono solo quelli in condizioni di sufficiente vulnerabilità, tali da “meritare” lo sbarco. Oltre a questi scenderanno solo quelli che risulteranno essere minorenni in base al Protocollo multidisciplinare ai fini della determinazione dell’età dei minori non accompagnati adottato a luglio 2020, al termine di una Conferenza unificata. (4) Purtroppo anche su questo protocollo ci sarebbe molto da dire. A cominciare dal fatto che non tiene in alcun conto l’etnia dei soggetti esaminati.
Nè altri fattori legati alle condizioni individuali o contingenti). Non è un caso se molte di queste procedure prevedono margini di tolleranza (vale a dire di errore) di un paio d’anni. Dato, questo, non secondario: secondo i dati del rapporto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del mese di gennaio 2023, i MSNA presenti in Italia hanno in maggioranza 17 anni (44,4%) o 16 (24%). Ma non basta. Oltre all’Ucraina, i principali paesi di provenienza sono l’Egitto (4.899), la Tunisia (1.800), Albania (1.347) e Pakistan (1.082). A questo si aggiunge che non in tutti i paesi la maggiore età viene raggiunta a 18 anni. Proprio in Pakistan, ad esempio, le donne raggiungono la maggiore età a 16 anni (gli uomini, invece, a 18 anni). Questo potrebbe significare considerare minorenne una donna maggiorenne o, viceversa, maggiorenne una donna minorenne. Ma i problemi legati all’utilizzo di questo protocollo non finiscono qui. Secondo i dati del rapporto “I progressi e le questioni che l’accoglienza dei minori soli presenta: una visione europea, nazionale e regionale Monitoraggio normativo – Dicembre 2022 di CeSPI, “delle aziende sanitarie contattate in tutta Italia, un totale di 118, alcune non hanno conoscenza del documento, mentre altre utilizzano un protocollo diverso o non svolgono la procedura di accertamento dell’età che viene invece svolta da altri enti (centri ospedalieri o enti universitari, ad esempio, in virtù di accordi con le prefetture precedenti al protocollo)”…. Inoltre, “In 9 Regioni è presente una situazione differenziata a seconda delle aziende sanitarie considerate. Sicilia, Calabria, Puglia, Liguria ed un numero fin troppo alto di regioni non presentano ad oggi ancora nessuna azienda con un team su modello di quanto indicato dalla conferenza unificata”. In altre parole, in queste regioni, le ASL contattate per indicare se un soggetto che ha cercato di entrare nel paese è minorenne (e quindi da accogliere) o maggiorenne (da respingere) non esisterebbero prassi univoche. (5) Il punto è che non esiste un “criterio scientifico” universalmente riconosciuto per decidere chi fare sbarcare e chi no. Come ha dichiarato Claudio Pulvirenti, direttore generale in Sicilia dell’USMAF, Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera, cioè strutture periferiche del Ministero della salute, l’unico “criterio scientifico”, sarebbero le condizioni cliniche di emergenza, come, ad esempio, febbre, malattie infettive, gravidanza, patologie croniche in fase acuta, o la possibilità di restare ancora in mare. Ma stando a questo principio, tutti i migranti presenti sui barconi sovraffollati all’inverosimile sono in condizioni di stress estremo. A chi glielo ha fatto notare, Pulvirenti ha risposto che, fatti salvi i casi psichiatrici acuti, si dovrebbe fare distinzione tra “stress” e “problema psicologico”.
Come è stato evidenziato da autorevoli fonti, tra cui il presidente emerito della Corte Costituzionale, Zagrebelsky, dovunque siano stati applicati (si pensi al caso del Regno unito e alla distinzione tra rifugiati arrivati con i normali mezzi e i rifugiati che hanno attraversato la Manica sui gommoni) i decreti selettivi sugli sbarchi hanno rischiato di causare problemi e violazioni di numerose norme del diritto internazionale ed interno.
La Tratta di esseri umani
Tornando alle parole della premier che ha parlato di “tratta” dei migranti, per capire dove (forse) sta il problema, è opportuno analizzare più in dettaglio cosa vuol dire “tratta di esseri umani”.
A livello internazionale esiste una distinzione netta tra “tratta di esseri umani” e “traffico di migranti”. Entrambi sono considerati crimini globali. Entrambi sono diffusi e hanno come vittime (si badi bene: “vittime” e non “colpevoli” come vedremo nel prosieguo) uomini, donne e bambini. Le reti organizzate o gli individui responsabili di questi crimini spesso molto redditizi approfittano di persone vulnerabili, disperate o semplicemente in cerca di una vita migliore. Le similitudini tra i due crimini, però, finiscono qui.
La tratta di esseri umani è il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’accoglienza o l’accoglienza di persone attraverso la forza, la frode o l’inganno, con l’obiettivo di sfruttarle a scopo di lucro. I trafficanti spesso usano la violenza o agenzie di collocamento fraudolente e false promesse di istruzione e opportunità di lavoro per ingannare e costringere le loro vittime: uomini, donne e bambini di tutte le età e di ogni provenienza che diventano “vittime” di questo crimine. A volte, i migranti vengono accalappiati “dopo” l’arrivo sul territorio nazionale e vengono sfruttati e schiavizzati. Per cercare di porre un freno a questi crimini, a novembre 2000, le Nazioni Unite adottarono il “Protocollo delle Nazioni Unite sulla prevenzione, soppressione e persecuzione del traffico di esseri umani, in particolar modo donne e bambini (noto anche come Protocollo di Palermo o Protocollo sulla tratta degli esseri umani o Protocollo UNTIP) (6) Questo documento è parte della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale. (7)
Questo protocollo è considerato il primo strumento giuridicamente vincolante con una definizione riconosciuta a livello internazionale di “tratta” di esseri umani. Una definizione che fornisce uno strumento essenziale per l’identificazione delle vittime, siano esse uomini, donne o bambini, e per l’individuazione di tutte le forme di sfruttamento che costituiscono la tratta di esseri umani. I paesi che ratificano questo trattato devono criminalizzare la tratta di esseri umani e sviluppare leggi anti-tratta in linea con le disposizioni legali del Protocollo. Firmato nel 2000, il Protocollo è entrato in vigore solo tre anni dopo il 25 dicembre 2003. L’Italia, stranamente pur essendo tra i primi paesi firmatari nel 2000, e sede della stipula dell’accordo (a Palermo) ha ratificato il Protocollo solo il 2 agosto 2006. (8)
Questo protocollo parte dalla definizione del reato di tratta di esseri umani per poi definire le procedure per facilitare il ritorno e l’accettazione di bambini che sono stati vittime della tratta transfrontaliera, tenendo in debito conto la sicurezza. In esso viene sancito il divieto di tratta di bambini (ancora una volta definito come persona sotto i 18 anni di età) a fini di sfruttamento commerciale sessuale dei bambini (CSEC) e le pratiche di sfruttamento del lavoro o la rimozione di parti del corpo. Il protocollo prevede anche la sospensione dei diritti parentali di genitori, operatori sanitari o altre persone che hanno il diritto dei genitori nei confronti di un bambino responsabili di tratta di minori. Prevede anche che le persone oggetto di tratta non vengano punite per i reati o le attività legate alla loro condizione essendo stato vittime della tratta, come la prostituzione e violazione delle leggi sull’immigrazione. Questo, però, significherebbe autorizzare la permanenza dei migranti vittime di tratta. Anzi, le vittime della tratta dovrebbero essere protette dalla deportazione o dal rimpatrio, nel caso in cui vi fossero ragionevoli motivi per sospettare che tali ritorni potessero rappresentare un rischio di sicurezza per la persona vittima di traffici o per la sua famiglia. Il Protocollo prevede che dovrebbe essere concesso un permesso soggiorno temporaneo o permanente nei paesi di transito o di destinazione per le vittime di tratta, in cambio della testimonianza contro presunti trafficanti. Oppure anche solo per motivi umanitari e compassionevoli. É per questi motivi che, a leggere bene i contenuti del Protocollo, sorgono seri dubbi circa la piena comprensione di ciò che comporta parlare di “tratta” per alcuni politici. Parlare di tratta dovrebbe significare non respingere i migranti che arrivano, anzi, in qualche modo regolarizzare la loro posizione nel paese d’arrivo. I leader di alcuni partiti politici italiani dovrebbero conoscere particolarmente bene questo protocollo: come si diceva, la stipula di questo Protocollo avvenne a Palermo, nel 2000. Ma la ratifica avvenne nel 2006, durante il governo cosiddetto Berlusconi ter del quale facevano parte molti dei partiti oggi al governo. Complessivamente sono tre i cosiddetti Protocolli di Palermo (gli altri sono il Protocollo contro il traffico di migranti via terra, mare e aria e il Protocollo sulla lotta contro la fabbricazione e il traffico illeciti di armi da fuoco, loro parti e componenti e munizioni). (9) Ad oggi il Protocollo di Palermo è stato ratificato da 141 paesi (191 ne hanno approvato una versione con modifiche).
In Italia, a monitorare il fenomeno della tratta di persone è il Servizio Analisi Criminale del Dipartimento della Pubblica Sicurezza Direzione Centrale della Polizia Criminale. Sono loro che, adottando un approccio criminologico, raccolgono i dati per spiegare il fenomeno, la struttura organizzativa e il modus operandi dei gruppi criminali e analizzano il fenomeno sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Secondo i dati riportati nel rapporto La Tratta degli Esseri Umani in Italia, realizzato nel 2021, “l’azione di contrasto esperita delle Forze di polizia negli ultimi anni, sul nostro territorio nazionale, ha evidenziato tra le nazionalità più attive nel “trafficking” (ovvero nella tratta), i nigeriani, seguiti dai romeni, dagli italiani e dagli albanesi (sono decisamente meno frequenti, ma non trascurabili, le segnalazioni a carico di soggetti bulgari, ghanesi e serbo-montenegrini, pakistani, marocchini, bangladesi, cinesi e di altri paesi)”. Sempre secondo il rapporto “sul nostro territorio nazionale sembrano ancora prevalere le segnalazioni per la riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù (117, in diminuzione del 5,6% nei confronti del precedente anno) e per la tratta di persone (88, in decremento del 34,8%), rispetto a quelle afferenti l’acquisto e alienazione di schiavi (49, con una flessione del 23,4%)”. L’aspetto che emerge da questo rapporto è che i dati del fenomeno di “tratta” di esseri umani sono molto diversi da quelli dei semplici migranti. Numeri e fenomeni che non hanno molto a che vedere con i flussi migratori di cui parla il governo. (10)
SI tratta di un fenomeno grave ma i cui numeri erano e rimangono abbastanza limitati. E certamente ben lontani dalle migliaia di arrivi cui si riferiscono alcuni politici. I minori stranieri soli contattati/presi in carico che nel biennio 2014/16 sono stati riconosciuti vittime di tratta sono un numero molto esiguo (in media 0,35% del totale). Nel 2014, i minori vittime di tratta sono stati complessivamente 51, in prevalenza nel Nord-est (33%), nel Sud (27,5%) e al Centro Italia (21,6%). In misura molto minore sono invece i minori riconosciuti vittime di tratta nelle Isole (circa il 10%) e nel Nord-est (circa l’8%). Altro aspetto questo che dimostra che parlare di tratta riferendosi agli arrivi o ai salvataggi in mare dei migranti sui barconi non è esatto. A maggio 2005 a Varsavia, in Polonia, il Consiglio d’Europa ha avviato i lavori per l’adesione alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani. La Convenzione è stata firmata da 43 Stati membri. É stato istituito anche un Gruppo di Esperti sulla Lotta contro la Tratta di Esseri Umani (GRETA), che monitora l’attuazione della Convenzione attraverso rapporti nazionali.
Lo stesso anno, nel 2005, la Corte europea dei diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa ha approvato alcune decisioni che coinvolgono la tratta di esseri umani ribadendo che violano obblighi previsti dalla Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo. A dicembre 2006, anche l’Unione Europea ha ratificato il Protocollo di Palermo, ma con alcune modifiche riguardati le competenze dell’UE per quanto riguarda le materie disciplinate dalla convenzione successivamente all’entrata in vigore del trattato di Lisbona. Con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, infatti, i poteri dell’Unione Europea sono cambiati. In particolare, per l’UE il Protocollo in oggetto rientrerebbe tra gli accordi di competenza mista che contengono disposizioni che rientrano sia nella competenza esclusiva dell’UE sia nella competenza dei singoli Stati membri. L’Unione Europea ha anche deciso di nominare un coordinatore anti-tratta responsabile del miglioramento del coordinamento e della coerenza tra le istituzioni dei paesi UE, le agenzie, gli Stati membri e gli attori internazionali, nonché dello sviluppo delle politiche dell’UE esistenti e nuove per affrontare la tratta di esseri umani. Incluso il monitoraggio dell’attuazione della strategia dell’UE per combattere la tratta di esseri umani 2021-2025. Dal 2021, la coordinatrice anti-tratta dell’Unione Europea è Diane Schmitt. Tra i suoi compiti c’è anche quello di presentare ogni due anni una relazione alla Commissione europea sui progressi compiuti nella lotta contro la tratta di esseri umani.
A livello di Nazioni Unite, invece, è Ilias Chatzis incaricato di gestire la lotta alla tratta di esseri umani (e al traffico di migranti). Lo fa con un team di oltre 60 esperti a livello globale. Recentemente Chatzis ha dichiarato: “La tratta di esseri umani e il traffico di migranti si sono evoluti molto da quando ho assunto questo lavoro. Sono diventati più gravi, nel senso di ciò che i criminali coinvolti infliggono alle persone. C’è più violenza, le vittime sono più giovani e ci sono più vittime minorenni. È un crimine che a volte può accadere davanti ai nostri occhi, mentre andiamo al lavoro, facciamo la spesa, accompagniamo i nostri figli a scuola o incontriamo gli amici per cena. Ci sono industrie con cui entriamo in contatto nella nostra vita quotidiana, come nel settore dell’ospitalità, dell’agricoltura, dell’edilizia e in altre in cui le vittime della tratta sono sfruttate”. In Europa gruppi criminali “portano gruppi di bambini da un paese all’altro e li costringono a mendicare. Poi prendono tutti i soldi e spesso li lasciano morire di fame. Per i criminali, è tutta una questione di soldi, e le persone sono solo un modo per realizzare un profitto”.
Il Traffico di Migranti
Anche il “traffico” di migranti è un crimine. Ma è completamente diverso: riguarda la facilitazione, a scopo di lucro o di altro tipo di guadagno materiale, dell’ingresso irregolare in un paese in cui il migrante non è cittadino o residente. I gruppi criminali che lucrano con questo business approfittano del bisogno o del desiderio delle persone di sfuggire non solo alla povertà e alla mancanza di opportunità di lavoro, ma anche a disastri naturali, conflitti o persecuzioni. Le vittime dei trafficanti spesso non hanno la possibilità di migrare legalmente. Da questo si evince che rendere l’accesso legale ai paesi potrebbe risolvere o almeno ridurre sensibilmente il numero delle vittime di traffico di migranti. Anche in questo caso è stato predisposto un Protocollo. (11)
La definizione concordata a livello internazionale di traffico di migranti riportata nel Protocollo contro il traffico di migranti via terra, mare e aria, che integra la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale (protocollo sul traffico di migranti) definisce il reato di traffico di migranti come: “L’approvvigionamento, al fine di ottenere, direttamente o indirettamente, un vantaggio finanziario o altro vantaggio materiale, dell’ingresso illegale di una persona in uno Stato contraente di cui la persona non è cittadino o residente permanente” (Articolo 3, Protocollo sul traffico di migranti). Questo Protocollo è il primo strumento internazionale riconosciuto a livello globale a contenere una definizione concordata di traffico di migranti. In esso viene affrontato il problema dei gruppi criminali organizzati che contrabbandano migranti principalmente per denaro. Il Protocollo mira a ridurre il traffico di migranti, proteggere i diritti dei migranti trafficati e prevenire gli abusi associati a questo crimine. Ancora una volta, i paesi che ratificano questo trattato si impegnano a garantire che il traffico di migranti sia criminalizzato in conformità con i requisiti legali del Protocollo. I paesi che hanno ratificato questo trattato (circa i tre quarti dei paesi delle NU) si sono impegnati a garantire che anche il traffico di migranti venga considerato reato penale. Questo include trattare i migranti “contrabbandati” in modo umano e non a considerare loro come criminali ma come vittime! Ai paesi aderenti vengono forniti servizi e sistemi per prevenire il traffico di migranti, perseguire i responsabili e assistere i migranti. Ma non basta: gli esperti delle Nazioni Unite forniscono un supporto per le indagini transnazionali sulle reti di contrabbando e il rintracciamento e il sequestro dei proventi illeciti di questo crimine.
Secondo le NU, “Il traffico di migranti è un crimine globale e organizzato che mette in pericolo la vita e la sicurezza dei migranti. La violenza, l’abuso e il rischio di sfruttamento sono tratti diffusi di questo crimine. Molti migranti muoiono di sete nei deserti, muoiono in mare o soffocano nei container”. Quanto è avvenuto nel mar Mediterraneo in questi giorni è un casso esemplare di Traffico di migranti non di “tratta” di esseri umani.
I trafficanti approfittano delle persone che fuggono dalla povertà, dai disastri naturali, dai conflitti o dalle persecuzioni, o dalla mancanza di opportunità di lavoro e istruzione, ma non hanno la possibilità di migrare legalmente. “I migranti irregolari sono presi di mira dalle organizzazioni criminali come facili fonti di profitto. Pertanto, perseguire il denaro dietro il traffico di migranti è fondamentale per combattere la criminalità organizzata. La natura clandestina delle pratiche di contrabbando mette in pericolo la vita dei migranti”, ha spiegato John Brandolino, Direttore degli affari dei trattati per l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC). Uno studio sulla migrazione globale dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) mostra che, nel 2020, nel mondo erano quasi 280 milioni i migranti, pari al 3,6% della popolazione mondiale.
Purtroppo non sono disponibili dati recenti sul numero di migranti vittime di questi traffici, ma l’ente preposto delle Nazioni Unite ritiene che, nel 2016, lungo le 30 principali rotte nel mondo sono stati almeno 2,5 milioni i migranti vittime. Nonostante tutti questi inviti e i numeri impressionanti, solo in pochi casi gli sforzi condotti dai paesi aderenti alle NU in questo campo sono stati fatti nella giusta direzione. Ad esempio, il Global Maritime Crime Programme ha sviluppato una formazione standardizzata regionale sugli incontri con le navi dei migranti in mare e ha istituito un centro di formazione regionale a Trinidad e Tobago per migliorare tali operazioni nei Caraibi. Inoltre, ha fornito accesso alla tecnologia e alle attrezzature per supportare gli Stati a rilevare e scoraggiare i flussi migratori in mare, promuovendo al contempo la sicurezza sia delle squadre di imbarco che dei migranti. I risultati sono stati notevoli: alla fine dello scorso anno, grazie all’azione dell’ufficio competente delle NU, la Repubblica Dominicana ha condotto la ricerca e il salvataggio di 558 migranti e il sequestro di 39 imbarcazioni dedite al traffico di migranti. Allo stesso modo, a novembre 2022, Trinidad e Tobago hanno condotto 519 operazioni in mare che hanno portato alla ricerca e al salvataggio di 151 migranti.
A ottobre 2022, l’UNODC e l’OIM hanno istituito una piattaforma di cooperazione inter-agenzia incentrata sulla lotta al traffico di migranti nell’ambito della Rete delle Nazioni Unite sulla migrazione. Questa piattaforma include anche l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e tre organizzazioni della società civile. Recentemente è stato pubblicato anche un documento sul traffico di migranti nel contesto del conflitto in Ucraina. (12) Attraverso l’Osservatorio online sul traffico di migranti, le Nazioni Unite forniscono regolarmente dati e aggiornamenti e analisi di ricerca sulle principali questioni relative a questo crimine. Secondo gli esperti delle NU, il COVID-19 non ha fermato il traffico di migranti nell’Africa occidentale e settentrionale e nel Mediterraneo centrale (come confermano gli arrivi in costante crescita). A cambiare è stata la composizione dei gruppi di persone che vengono contrabbandati attraverso il mar Mediterraneo centrale. Prima del 2019 erano per la maggior parte africani occidentali. Ora la maggior parte sono nordafricani, così come i bengalesi. In Africa occidentale i trafficanti di migranti tendono ad operare solo su una frontiera e a stabilire collegamenti con altri gruppi di trafficanti. Al contrario i trafficanti che operano in Libia sono più sofisticati, con un maggiore coinvolgimento della criminalità organizzata transnazionale. Solitamente questi trafficanti vengono pagati in contanti e in anticipo su ogni tratta di un viaggio irregolare. La traversata del Mediterraneo centrale solitamente è pagata separatamente dal contrabbando via terra. La rotta dalla Libia all’Europa è la rotta migratoria più mortale al mondo e sta diventando sempre più pericolosa per le persone che cercano protezione in Europa. È stato cinque volte più mortale nel 2018 rispetto al 2015, in particolare perché l’UE ha interrotto qualsiasi attività di ricerca e soccorso nel Mediterraneo. E gli eventi delle ultime settimane di febbraio e dei primi giorni di marzo 2023 lo dimostrano.
Le violazioni dei diritti delle persone vittime di questi traffici riguardano principalmente queste rotte, in particolare quelle dalla Libia. Quando sono perpetrati da trafficanti, la privazione della libertà, la tratta di esseri umani e la violenza sessuale e di genere costituiscono reati aggravati di contrabbando, ma nella maggior parte dei casi gli autori sono attori diversi dai trafficanti stessi. La rotta del Mediterraneo centrale collega i paesi del Nord Africa, in particolare Libia, Tunisia, Algeria ed Egitto, con gli stati europei dell’Italia e – in numero molto minore – Malta e Grecia. Il percorso è stato utilizzato almeno dai primi anni 2000, ma i movimenti stagionali si sono intensificati tra il 2011 e il 2017. Tra il 2014 e il 2017, oltre 600.000 persone sono partite dal Nord Africa per raggiungere l’Unione europea attraverso traversate marittime irregolari lungo la rotta del Mediterraneo centrale. (13)
Dal 2018, il numero di persone che arrivano irregolarmente nell’UE lungo questa rotta è sceso fino ai livelli antecedenti il 2014 per poi aumentare di nuovo dopo la pandemia. Nel 2020, la maggior parte delle persone arrivate in Italia lungo la rotta proveniva da paesi del Nord Africa, dell’Asia meridionale e dell’Africa occidentale. Lungo queste rotte, il traffico di migranti è in gran parte un crimine “guidato dalla domanda”. In altre parole l’incidenza del crimine è strettamente legata al numero di persone che richiedono servizi di contrabbando. Questi a loro volta fanno leva sulla motivazione delle persone più deboli a migrare, combinata con la mancanza di alternative regolari per il viaggio. Il numero di rifugiati e migranti è elevato e in aumento. E quando migrare regolarmente e indipendentemente non è possibile o fattibile, il bisogno di queste persone diventa un mercato florido per il trafficanti di migranti. Ci sono spesso ragioni multiple e interconnesse per migrare utilizzando i servizi dei trafficanti di migranti. La necessità di un contrabbandiere può anche cambiare man mano che il viaggio si svolge. Sebbene le motivazioni alla base della migrazione possano variare dalle aspirazioni personali e dal miglioramento della qualità della vita a una risposta alle aspettative della comunità e della famiglia o a un meccanismo di risposta ai problemi di sicurezza, le ragioni per cui si ricorre ai trafficanti di migranti sono sempre legate alla mancanza di alternative per una migrazione sicura e regolare, alla mancanza di documenti di viaggio adeguati o alla mancanza di conoscenza di tali alternative laddove siano disponibili. Prima e dopo aver utilizzato i servizi di traffico di migranti, le persone trascorrono lunghi periodi in luoghi intermedi dove trovano una casa e un modo per generare reddito o sono detenuti. Questi viaggi non lineari sono significativamente modellati dalle loro esperienze in luoghi considerati “paesi di transito”, ma spesso visti come destinazioni finali dai migranti stessi. Il processo decisionale relativo ai movimenti successivi e al ricorso ai trafficanti di migranti è integrato nelle relazioni che si instaurano e nelle opportunità che si presentano in questi luoghi. In questi hub, i migranti in transito sono solitamente in contatto con persone che parlano le stesse lingue e/o provengono dallo stesso paese o gruppo etnico. Le preferenze linguistiche dettano anche in gran parte come si formano le relazioni nelle strutture ricettive e modellano le geografie urbane dei “ghetti” lungo linee linguistiche e culturali.
Nel caso delle partenze dalla Libia, che non dovrebbero essere generalizzate come esempio delle dinamiche del traffico in tutto il Mediterraneo la traversata nel Mar Mediterraneo richiede una elevata capacità organizzativa e disponibilità di capitali che a volte servono per corrompere o attivare pratiche per eludere le guardie alla frontiera e le pattuglie delle autorità internazionali. (14) Le ricerche sul campo confermano che un certo numero di gruppi criminali sono specializzati nel contrabbando via mare dalla Libia. Operano in un numero limitato di località, con la capacità di effettuare numerose operazioni di attraversamento marittimo al mese, nonostante l’alto rischio di intercettazione e restituzione delle navi in Libia. Il “triangolo di Lampedusa”, un’area che comprende una porzione di 200 km della costa libica tra Zuwara e Misurata, rimane il principale punto di partenza in Libia. Secondo gli esporti delle NU, lungo la rotta del Mediterraneo centrale, i punti di partenza sono cambiati: dal 2017, un numero crescente di persone partono dalla Tunisia e dall’Algeria piuttosto che dalla Libia. Chissà se durante il suo viaggio in Algeria al seguito di ENI, la premier ha parlato di questo problema con le autorità locali. E in questo caso cosa è stato concordato. Alle Nazioni Unite a dirigere l’Ufficio impegnato nel contrasto alla tratta di esseri umani e al traffico di migranti è Ilias Chatzis che dirige un team internazionale di oltre 60 esperti. Secondo Chatzis occorre prestare maggiore attenzione a coloro che traggono profitto dai crimini e alla protezione delle vittime. “La tratta di esseri umani e il traffico di migranti si sono evoluti molto da quando ho assunto questo lavoro. Sono diventati più gravi, nel senso di ciò che i criminali coinvolti infliggono alle persone. C’è più violenza, le vittime sono più giovani e ci sono più vittime minorenni. È un crimine che a volte può accadere davanti ai nostri occhi, mentre andiamo al lavoro, facciamo la spesa, accompagniamo i nostri figli a scuola o incontriamo gli amici per cena.
Ci sono industrie con cui entriamo in contatto nella nostra vita quotidiana, come l’ospitalità, l’agricoltura, l’edilizia e altre in cui le vittime della tratta sono sfruttate. I trafficanti in Europa portano gruppi di bambini da un paese all’altro e li costringono a mendicare. Poi prendono tutti i soldi e spesso li lasciano morire di fame. Per i criminali, è tutta una questione di soldi, e le persone sono solo un modo per realizzare un profitto. Dobbiamo accettare che i criminali sono essi stessi persone reali. Hanno amici, famiglie e figli. Possono anche lavorare all’interno delle organizzazioni che dovrebbero affrontare questi crimini, come la polizia o il servizio immigrazione e abusare della loro professione. “Con il traffico di migranti, dobbiamo concentrarci su come fermare i criminali e non i migranti. Le bande di trafficanti traggono molto profitto dalle persone che cercano una vita migliore. Mentre cerchiamo di fermare i criminali, non dobbiamo dimenticare i migranti stessi e la necessità di rispettare la loro dignità, i diritti umani e offrire protezione a coloro che ne hanno bisogno”. (15) “Ho visto molta sofferenza umana nella mia carriera. L’ho visto in prima persona quando vivevo nell’ex Jugoslavia. Ho sperimentato lo sradicamento delle persone con la guerra, lo sfruttamento delle persone da parte di altri, i legami tra criminalità organizzata e guerra, la disgregazione delle famiglie e il desiderio di tornare dove si appartiene, ma l’incapacità di farlo, perché le cose sono cambiate così tanto che non riconosceresti il posto”. “Abbiamo ancora tanto da imparare da noi stessi e dalla storia. Non stiamo imparando abbastanza velocemente. Ho accettato questo lavoro sperando di fare la differenza. Sto davvero cercando di assicurarmi che ciò che faccio abbia un impatto positivo reale”. Parole molto diverse da quelle pronunciate dai leader politici che oggi governano l’Italia.
Le violazioni dei diritti delle persone vittime di questi traffici riguardano principalmente queste rotte, in particolare quelle dalla Libia. Quando sono perpetrati da trafficanti, la privazione della libertà, la tratta di esseri umani e la violenza sessuale e di genere costituiscono reati aggravati di contrabbando, ma nella maggior parte dei casi gli autori sono attori diversi dai trafficanti stessi.
La rotta del Mediterraneo centrale collega i paesi del Nord Africa, in particolare Libia, Tunisia, Algeria ed Egitto, con gli stati europei dell’Italia e – in numero molto minore – Malta e Grecia. Il percorso è stato utilizzato almeno dai primi anni 2000, ma i movimenti stagionali si sono intensificati tra il 2011 e il 2017. Tra il 2014 e il 2017, oltre 600.000 persone sono partite dal Nord Africa per raggiungere l’Unione europea attraverso traversate marittime irregolari lungo la rotta del Mediterraneo centrale. (13) Dal 2018, il numero di persone che arrivano irregolarmente nell’UE lungo questa rotta è sceso fino ai livelli antecedenti il 2014 per poi aumentare di nuovo dopo la pandemia. Nel 2020, la maggior parte delle persone arrivate in Italia lungo la rotta proveniva da paesi del Nord Africa, dell’Asia meridionale e dell’Africa occidentale. Lungo queste rotte, il traffico di migranti è in gran parte un crimine “guidato dalla domanda”. In altre parole l’incidenza del crimine è strettamente legata al numero di persone che richiedono servizi di contrabbando. Questi a loro volta fanno leva sulla motivazione delle persone più deboli a migrare, combinata con la mancanza di alternative regolari per il viaggio. Il numero di rifugiati e migranti è elevato e in aumento. E quando migrare regolarmente e indipendentemente non è possibile o fattibile, il bisogno di queste persone diventa un mercato florido per il trafficanti di migranti. Ci sono spesso ragioni multiple e interconnesse per migrare utilizzando i servizi dei trafficanti di migranti. La necessità di un contrabbandiere può anche cambiare man mano che il viaggio si svolge. Sebbene le motivazioni alla base della migrazione possano variare dalle aspirazioni personali e dal miglioramento della qualità della vita a una risposta alle aspettative della comunità e della famiglia o a un meccanismo di risposta ai problemi di sicurezza, le ragioni per cui si ricorre ai trafficanti di migranti sono sempre legate alla mancanza di alternative per una migrazione sicura e regolare, alla mancanza di documenti di viaggio adeguati o alla mancanza di conoscenza di tali alternative laddove siano disponibili. Prima e dopo aver utilizzato i servizi di traffico di migranti, le persone trascorrono lunghi periodi in luoghi intermedi dove trovano una casa e un modo per generare reddito o sono detenuti. Questi viaggi non lineari sono significativamente modellati dalle loro esperienze in luoghi considerati “paesi di transito”, ma spesso visti come destinazioni finali dai migranti stessi. Il processo decisionale relativo ai movimenti successivi e al ricorso ai trafficanti di migranti è integrato nelle relazioni che si instaurano e nelle opportunità che si presentano in questi luoghi. In questi hub, i migranti in transito sono solitamente in contatto con persone che parlano le stesse lingue e/o provengono dallo stesso paese o gruppo etnico. Le preferenze linguistiche dettano anche in gran parte come si formano le relazioni nelle strutture ricettive e modellano le geografie urbane dei “ghetti” lungo linee linguistiche e culturali.
Nel caso delle partenze dalla Libia, che non dovrebbero essere generalizzate come esempio delle dinamiche del traffico in tutto il Mediterraneo la traversata nel Mar Mediterraneo richiede una elevata capacità organizzativa e disponibilità di capitali che a volte servono per corrompere o attivare pratiche per eludere le guardie alla frontiera e le pattuglie delle autorità internazionali. (14) Le ricerche sul campo confermano che un certo numero di gruppi criminali sono specializzati nel contrabbando via mare dalla Libia. Operano in un numero limitato di località, con la capacità di effettuare numerose operazioni di attraversamento marittimo al mese, nonostante l’alto rischio di intercettazione e restituzione delle navi in Libia. Il “triangolo di Lampedusa”, un’area che comprende una porzione di 200 km della costa libica tra Zuwara e Misurata, rimane il principale punto di partenza in Libia. Secondo gli esporti delle NU, lungo la rotta del Mediterraneo centrale, i punti di partenza sono cambiati: dal 2017, un numero crescente di persone partono dalla Tunisia e dall’Algeria piuttosto che dalla Libia. Chissà se durante il suo viaggio in Algeria al seguito di ENI, la premier ha parlato di questo problema con le autorità locali. E in questo caso cosa è stato concordato. Alle Nazioni Unite a dirigere l’Ufficio impegnato nel contrasto alla tratta di esseri umani e al traffico di migranti è Ilias Chatzis che dirige un team internazionale di oltre 60 esperti. Secondo Chatzis occorre prestare maggiore attenzione a coloro che traggono profitto dai crimini e alla protezione delle vittime. “La tratta di esseri umani e il traffico di migranti si sono evoluti molto da quando ho assunto questo lavoro. Sono diventati più gravi, nel senso di ciò che i criminali coinvolti infliggono alle persone. C’è più violenza, le vittime sono più giovani e ci sono più vittime minorenni. È un crimine che a volte può accadere davanti ai nostri occhi, mentre andiamo al lavoro, facciamo la spesa, accompagniamo i nostri figli a scuola o incontriamo gli amici per cena. Ci sono industrie con cui entriamo in contatto nella nostra vita quotidiana, come l’ospitalità, l’agricoltura, l’edilizia e altre in cui le vittime della tratta sono sfruttate. I trafficanti in Europa portano gruppi di bambini da un paese all’altro e li costringono a mendicare.
Poi prendono tutti i soldi e spesso li lasciano morire di fame. Per i criminali, è tutta una questione di soldi, e le persone sono solo un modo per realizzare un profitto. Dobbiamo accettare che i criminali sono essi stessi persone reali. Hanno amici, famiglie e figli. Possono anche lavorare all’interno delle organizzazioni che dovrebbero affrontare questi crimini, come la polizia o il servizio immigrazione e abusare della loro professione. “Con il traffico di migranti, dobbiamo concentrarci su come fermare i criminali e non i migranti. Le bande di trafficanti traggono molto profitto dalle persone che cercano una vita migliore. Mentre cerchiamo di fermare i criminali, non dobbiamo dimenticare i migranti stessi e la necessità di rispettare la loro dignità, i diritti umani e offrire protezione a coloro che ne hanno bisogno”. (15) “Ho visto molta sofferenza umana nella mia carriera. L’ho visto in prima persona quando vivevo nell’ex Jugoslavia. Ho sperimentato lo sradicamento delle persone con la guerra, lo sfruttamento delle persone da parte di altri, i legami tra criminalità organizzata e guerra, la disgregazione delle famiglie e il desiderio di tornare dove si appartiene, ma l’incapacità di farlo, perché le cose sono cambiate così tanto che non riconosceresti il posto”. “Abbiamo ancora tanto da imparare da noi stessi e dalla storia. Non stiamo imparando abbastanza velocemente. Ho accettato questo lavoro sperando di fare la differenza. Sto davvero cercando di assicurarmi che ciò che faccio abbia un impatto positivo reale”. Parole molto diverse da quelle pronunciate dai leader politici che oggi governano l’Italia.
Gli stessi che parlando di migranti hanno forse confuso la parola traffico, smuggling in inglese, con di trafficking che vuol dire tratta. Un errore che può apparire banale ma che non lo è: secondo il Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica – ovvero il sistema che ha il compito di assicurare le attività informative utili a salvaguardare l’Italia dalle minacce provenienti sia dall’interno sia dall’esterno, l’Italia deve essere pronta a fronteggiare guerre per l’acqua, cambiamenti climatici e flussi migratori sempre più numerosi.
La “Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza” relativa all’anno 2021, presentata lo scorso anno al Parlamento, i cambiamenti climatici si manifesteranno in modo sempre più estremo e saranno sempre più frequenti. Cicloni, alluvioni e, dall’altra parte siccità e desertificazione faranno aumentare la povertà nelle fasce di popolazione più vulnerabili.
Le società e i rapporti tra i popoli saranno sempre più instabili. E la spinta migratoria sia all’interno che all’esterno dei confini nazionali aumenterà considerevolmente. (16) Particolare attenzione dovrebbe essere dedicata ai cambiamenti climatici estremi. Come gli effetti dell’innalzamento del livello medio dei mari a causa dell’aumento della loro temperatura e dello scioglimento dei ghiacciai. In alcune regioni del mondo, l’innalzamento del livello dei mari darà origine nel prossimo futuro, a un ulteriore incremento delle migrazioni delle popolazioni insediate lungo le coste minacciate dal fenomeno. Un cambiamento che non potrà non generare nuovi squilibri all’interno dei paesi interessati. E potenziali nuovi flussi migratori verso altre aree ritenute più sicure. Un fenomeno potenzialmente sempre più critico ai fini della crescita delle migrazioni si riscontra nella convergenza tra l’insorgenza di stati di tensione e di conflitto ed eventi climatici estremi. Una regione nella quale risulta già evidente l’interazione tra conflitti e cambiamenti climatici, con conseguente incremento delle migrazioni, è quella del Sahel. Una delle aree da dove partono i flussi migratori verso l’Europa e l’Italia. Anche l’ultima relazione annuale, comunicata al Parlamento alla fine di febbraio 2023 non usa toni diversi. Ancora una volta tra i punti critici vengono segnalate le variegate sfaccettature dell’instabilità globale legate alle migrazioni irregolari e all’insicurezza alimentare globale. Il tema degli arrivi dall’Africa è preoccupante. Migranti, persone vittime di “traffico” di migranti, ma non di “tratta”…..