Milan Kundera e Il valzer degli addii

Articolo di Gordiano Lupi

Il valzer degli addii non è il miglior romanzo di Kundera, nel senso che pur essendo scritto con stile magistrale e di grande leggibilità, non è l’opera più emblematica dello scrittore ceco, non è il libro dal quale partire se non conoscete niente di lui. In ogni caso è un romanzo da leggere, per completezza, dopo che avrete metabolizzato almeno L’insostenibile leggerezza dell’essere, Lo scherzo, L’ignoranza, L’immortalità, L’identità e La festa dell’insignificanza. Storia d’amore e tradimenti, di equivoci e qui pro quo, come se fosse una pochade di Feydeau, con finale a sorpresa – davvero imprevedibile – che trasporta il lettore nella dimensione del giallo sentimentale. L’azione si svolge in una cittadina termale cecoslovacca, dopo il 1968, al termine della Primavera di Praga, con la repressione comunista in pieno svolgimento, tra persone che cercano di sbarcare il lunario e altre che tentano di organizzare la fuga. Il romanzo racconta cinque giorni in quella location termale non determinata con un vero e proprio valzer di personaggi che cercano di sfuggire al proprio destino. Abbiamo un medico che ha studiato un metodo contro la sterilità femminile, un intellettuale perseguitato che sta per emigrare, un divo della musica leggera incastrato in una strana relazione con un’infermiera, la figlia di un dirigente comunista vittima di purghe staliniane. Il valzer degli addii rientra tra i lavori di narrativa classica del grande scrittore ceco, ha una struttura da romanzo vero, vive di colpi di scena, intrighi, suspense, tutto abbastanza insolito per Kundera che in questo libro dedica molta attenzione alla trama e al plot narrativo. Il filo conduttore del romanzo è la bella infermiera Ruzena che vuole incastrare un divo della musica come padre del figlio che porta in grembo, ma quest’ultimo tenta di escogitare un piano per farla abortire, confessando un grande amore che non prova, dicendo che un figlio sarebbe un ostacolo per la loro passione. I temi di Kundera ci sono tutti: la ribellione alla dittatura, il dolore dell’esilio, la difficoltà di accettare la propria situazione umana, la difficile scelta di abortire, la militanza politica; così come lo stile è inconfondibile, a base di umorismo e dramma, comicità e tenerezza, crudeltà e sarcasmo. Kundera in alcune interviste ha detto che Il valzer degli addii era il romanzo a lui più caro, come Amori ridicoli, scritto con divertimento, con piacere, molto in fretta, perché si compone di sole cinque parti. Si fonda su un archetipo formale del tutto diverso da quello degli altri miei romanzi. È assolutamente omogeneo, senza digressioni, composto di una sola materia, raccontato con lo stesso tempo, è molto teatrale, stilizzato, basato sulla forma del vaudeville. (Milan Kundera, L’arte del romanzo). Scritto nel 1972, edito in Francia da Gallimard (1976), tradotto in Italia da Serena Vitale, curato in nuova edizione da Alessandra Mura (1977) per Adelphi; duecentocinquanta pagine che scorrono con estrema facilità, scorrevoli (ma profonde) come se fosse un best-seller (ma di ben  altro spessore). Un libro da leggere e meditare, come ogni opera di Kundera, che scrive romanzi pericolosi, come diceva Guy Debord, ergo utili.

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