Muri africani: dalle barriere culturali alle politiche economiche e razziali

Articolo di C. Alessandro Mauceri

L’ex presidente Trump aveva fatto del muro al confine con il Messico un baluardo politico. Durante il suo mandato sono state sostituite più di 400 miglia di barriere esistenti alte tra i sei e i 17 piedi. Sono state rimpiazzate con un muro d’acciaio di 30 piedi. A questo sono state aggiunte quasi 50 miglia di nuova barriera. Muri che come molte barriere fisiche in tutto il mondo si è rivelata tutt’altro che “impenetrabile”: i contrabbandieri hanno violato quella che era stata definita la “Rolls-Royce” delle barriere più di 3.000 volte dalla sua costruzione. E anche se l’ex presidente aveva promesso che il nuovo muro “non può essere scalato”, i migranti hanno continuato a scavalcarlo affrontando grandi pericoli. l’unica cosa che è cambiata è il numero delle persone morte e ferite nel tentativo di entrare di nascosto negli USA. Secondo i dati riportati in un recente studio ci sarebbe stato un aumento senza precedenti del numero di “incidenti” al muro di confine a San Diego e nelle contee vicine. Il centro traumatologico dell’Università della California di San Diego, avrebbe registrato un aumento di cinque volte del numero di persone ricoverate con lesioni da caduta (da 67 casi tra il 2016 e il 2018 a 375 casi tra il 2019 e il 2021). Numeri particolarmente importanti perché colmano un vuoto di anni: i funzionari federali alla frontiera, infatti, non tengono conto di morti e feriti legati alle cadute dalla barriera. Ma secondo il Guardian sarebbero almeno 7.000 le persone morte lungo il confine tra Stati Uniti e Messico dal 1998 al 2021. https://www.theguardian.com/us-news/2021/jan/30/us-mexico-border-crossings-arizona-2020-deadliest-year

Una situazione tutt’altro che unica. In tutto il pianeta sono decine e decine le barriere costruite per limitare i flussi migratori. In Europa, dove sono aumentate considerevolmente nell’ultimo ventennio. Ma soprattutto in Africa. Qui alcuni di questi muri esistono da secoli. Come quelli in Benin. Noti come “Iya” sono stati costruiti tra l’800 e il 1400 d.C. circa. In origine erano semplici terrapieni costituiti da fossati e bastioni nell’area intorno all’attuale Benin City, la capitale dell’attuale stato di Edo in Nigeria. Secondo Fred Pearce, autore di una ricerca pubblicata su The New Scientist: “Si estendono per circa 16.000 km in tutto, in un mosaico di oltre 500 confini di insediamento interconnessi. Coprono 2.510 miglia quadrate (6.500 chilometri quadrati) e sono stati tutti scavati dal popolo Edo. Secondo Pearce, le mura del Benin erano quattro volte più lunghe della Grande Muraglia cinese e hanno richiesto circa 150 milioni di ore di scavo durante la costruzione”.

Tra Marocco e Sahrawi c’è un altro muro, detto Berm. Lungo 2736km attraversa il Sahara occidentale e separa le Province del sud del Marocco dalla zona dell’interno che i sahrawi chiamano “Repubblica democratica araba del Sahrawi”. È costituito da una base di sabbia (o “berm”)  di 2 m con una trincea di rinforzo e avamposti ogni 5 km con soldati che pattugliano il confine anche con l’ausilio di radar su torri mobili. Molti i campi minati (le mine antiuomo “seminate” sono circa 2 milioni!) su entrambi i lati. Secondo le mappe della Missione delle Nazioni Unite per il Referendum nel Sahara Occidentale (MINURSO) o dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), in alcuni punti, il muro sconfinerebbe per diversi chilometri anche sul territorio mauritano.

Tra Kenya e Somali si erge una barriera di 30 km, una recinzione con pali, rete metallica e rotoli di filo spinato. Venne costruita nel 2015 dopo l’attacco dei miliziani islamisti di al Shabaab contro l’università di Garissa (che causò  più di 140 morti). Obiettivo non dichiarato è anche fermare gli immigrati dalla Somalia.

Poi c’è la barriera elettrificata tra Botswana e Zimbabwe: lunga 500 km e alta 2,4m. La sua costruzione è iniziata nel 2005 anche grazie agli aiuti dell’UE. Ufficialmente dovrebbe impedire sconfinamenti di mandrie (molti si sono opposti visto che questa barriera ferma anche gli animali selvatici). Ma c’è chi pensa che serva anche (e soprattutto) per ridurre i flussi migratori di persone.

Alla frontiera tra Botswana e Zimbabwe c’è un’altra barriera ricoperta di filo spinato elettrificato. Alta due metri e lunga ben 500 chilometri, è stata costruita dal Botswana, Paese relativamente più ricco e stabile (ma anche molto meno popoloso, con due milioni di abitanti contro i 12 dello Zimbabwe) per limitare le migrazioni incontrollate.

E poi in Sudafrica, dove già nel 1975, il regime nazionalista bianco aveva eretto un vero e proprio muro di contenimento nel tentativo di evitare che i migranti fuggiti dalla violenta guerra di decolonizzazione in Mozambico potessero entrare in Sudafrica. Secondo alcune stime, in tre anni, questa barriera, potenziata con un sistema di elettrificazione, avrebbe causato più morti che il Muro di Berlino in tutta la sua storia. Dal 2002 sono stati fatti numerosi sforzi per abbattere questa barriera, ma molte sezioni sono ancora in piedi per il timore di massicce spinte migratorie incontrollabili all’interno della folta vegetazione del Kruger National Park, situato appena al di qua del confine tra i due Stati.

Unica nota positiva in questo cupo panorama di muri e barriere quasi sconosciute ai più (ma non per questo meno pericolose e ingiuste) la rinuncia della Guinea Equatoriale a costruire il muro lungo lungo 183 chilometri al confine con il Camerun. Pare che, dopo mesi di discussioni, sia stato raggiunto un compromesso che prevede di fermare i lavori fino a quando i due Paesi non troveranno un accordo definitivo su una questione scoppiata no molto tempo fa. Il progetto, presentato come mezzo per frenare l’immigrazione clandestina, doveva servire a proteggere il petrolio (la Guinea Equatoriale è infatti il quarto più grande produttore africano di oro nero, dopo Nigeria, Angola e Algeria). Ora i due governi hanno deciso di sospendere i lavori e di rinunciare (almeno per ora) a costruire l’ennesima follia. Ma la barriera più grande in Africa è un’altra. I governi di Senegal, Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger, Nigeria, Ciad, Sudan, Eritrea, Etiopia e Gibuti  stanno cercando di costruire il Green Wall africano: una foresta artificiale di alberi resistenti alla siccità (principalmente acacia) estesa per tutto il continente africano. 4.750 miglia di lunghezza e nove di larghezza (nel nord del  Senegal sono già state costruite 330 miglia di barriera verde). Una Grande Muraglia Verde che dovrebbe essere non solo una protezione dalla sabbia soffiata dal vento ma anche dai flussi migratori. Un progetto di grande impatto: trasformerà terreni altrimenti inutilizzabili in giardini disseminati di vivai.

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