Ultimo tango a Zagarol (1973) è una divertente parodia di Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci (1972), che pare volesse far causa a Franchi e a Cicero per aver distrutto un film discusso e celebrato. La pellicola è divertente sin dalla sigla a cartoni animati realizzata da Biamonte e Grisanti con Franchi che canta un motivetto orecchiabile. Franco Franchi è stufo della moglie (Gina Rovere) che lo tiene a dieta, lo tradisce con Nicola Arigliano e lo tratta come schiavo tuttofare nel suo albergo a ore. Le prime scene sono esilaranti e surreali, con Franco che porta pesanti valige cariche di attrezzi erotici, clienti nascosti in custodie per strumenti musicali ed erotomani di ogni tipo. Jimmy il Fenomeno è un puttaniere tremolante, si presenta con una ragazza e chiede: “Ti piace? La vorresti scopare? Invece la scopo solo io!”. Franco è a dieta di tutto, persino di sesso, perché la moglie non si concede, lo costringe a farsi un panino con il burro e a sognare rapporti erotici. Per questo affitta un appartamento, incontra Martine Beswick, dà vita a una relazione fallimentare e nel tempo libero interpreta un documentario surreale girato da Franca Valeri. Martine Beswick è vestita a imitazione di Maria Schneider, però assume pose dominatrici simili a quelle di Marlon Brando nel film originale. Ricordiamo la scena in cui si depila le ascelle davanti allo specchio e quella dove lava le spalle a Franco nella vasca. Le parti sono invertite e il gioco comico riesce sino in fondo. Franco Franchi è un improbabile Marlon Brando che vaga per le strade di Roma indossando un cappotto color cammello e sfoggiando un’espressione depressa, però non è lui a trattare l’amante come oggetto, ma viceversa. Marta Beswick non è succube come Maria Schneider ma impone all’uomo un potere da donna dominatrice. I ruoli dei protagonisti sono invertiti per ridurre in sberleffo e commedia triviale una pellicola drammatica, anche se le scene sono quasi tutte riprese dall’originale. L’incontro tra Franchi e la Beswick ricalca l’originale, ma i dialoghi sono surreali, comici e assurdi. I due si chiamano a pernacchie, perché non vogliono conoscere i rispettivi nomi, fanno l’amore su una rete che procura ferite lancinanti a Franco e persino scosse elettriche. La scena simbolo del film con i due attori a gambe incrociate, avvinghiati l’uno dentro all’altro, è rifatta in versione comica e subito dopo seguono parti di psicologia spicciola. Franco Franchi non parla di solitudine umana e di rapporti uomo – donna, ma di un tema molto più terreno come quello della fame che lo perseguita fino alla soddisfazione finale. La famosa scena del burro, discussa e tagliata da pruriginosi censori, viene ridotta da Cicero a un simbolo di poetica triviale e popolaresca. Il regista la smonta sequenza per sequenza e la gira di nuovo mettendola in ridicolo. “Dammi il burro! Non mi fare arrabbiare!” intima Franco. I due si rotolano per terra, uno sull’altro, proprio come nell’originale di Bertolucci, la donna finisce sotto, lui si mette in posizione e mentre lei geme arriva la catarsi comica.
“Ma che fai? Te lo mangi?” chiede meravigliata la Beswick. “Certo. Tu non mi fai mangiare mai!” risponde Franco. Si narra che Robert De Niro e Francis Ford Coppola, che si trovavano in Sicilia per girare il primo seguito de Il Padrino, videro Ultimo tango a Zagarol e lo apprezzarono molto. Mereghetti concede addirittura due stelle e mezzo a un film che definisce più citato che visto (sono un’eccezione perché me lo sono visto diverse volte) e una cupa parodia di Ultimo tango a Parigi. Il film si ricorda anche per un Franco Franchi che recita diverse scene a sedere nudo ed è un unicum in carriera. Il film è compassato, ma eccellente, soprattutto per la follia di certe situazioni: l’ascensore rotto nella casa del sesso con Franchi che fa le scale a piedi, il pazzesco tango della manomania e il panino con il famoso burro. Fu quel tango a Zagarol che distrusse il nostro amor… è il tango che Franco balla con la Beswick (mentre canta) quando scopre che lei faceva la puttana. “Puttana mia moglie… puttana pure tu… sempre puttane!”. Eccezionale il finale con Franco che minaccia di uccidere moglie e amante se non gli daranno soddisfazione alimentare a base di burro. Un film nel film che serve a Cicero per sbizzarrirsi con la sua strampalata fantasia è il documentario girato da Franca Valeri. Franco racconta la sua infanzia a base di episodi surreali, finisce inseguito da un cane mastino in aperta campagna, da un coccodrillo nel Tevere, infine viene travolto dalla metropolitana. La comicità è (come sempre in Cicero) da cartone animato, ricorda gli episodi del coyote e lo struzzo della Warner Brother, tutto è possibile, persino le cose più assurde. Franco termina ogni sequenza al grido di: Assassini!. La Valeri è brava nel ruolo della regista cinica disposta a tutto pur di fare ascolto. Nicola Arigliano è il cliente omosessuale che se la dice con la moglie di Franco, ma vorrebbe cambiare la solita pappa e andare a letto pure con il marito, che rifiuta. Si ricorda la battuta: “Tanto siamo parenti. Tu vai a letto con tua moglie. E io che faccio?”. Ultimo tango a Zagarol è un film moderno e godibile, una pellicola da vedere per comprendere un regista atipico come Cicero che va oltre gli schemi classici della commedia sexy.
Bella, ricca, lieve difetto fisico cerca anima gemella è una commedia sicula che chiude un grande 1973, anno importante per il cinema di Cicero. Si tratta di un’interessante commedia sexy nella quale si assiste alla trasformazione transessuale di Marisa Mell. Tra gli attori ci sono anche l’ottimo Carlo Giuffrè, Elena Fiore, Gina Rovere ed Erika Blanc. Il protagonista della commedia è Carlo Giuffrè, che per mantenere la famiglia prima seduce e subito dopo truffa donne con orribili difetti fisici incastrate tramite inserzioni sui giornali. Un bel giorno però si innamora della bella modella Teresa (Marisa Mell) e deruba persino il padre per rifarsi una vita con lei. In questa pellicola ci sono molte sequenze ai limiti del trash. Ricordiamo la lupa mannara che morde Giuffrè nelle parti basse, la macellaia che al tavolino si lascia andare a rumori di ogni tipo, infine la riunione di femministe che vogliono marchiare il culo nudo di Giuffrè. Il protagonista finisce in galera e quando ne esce scopre che Teresa è un transessuale che si è unito sentimentalmente con sua moglie e l’ha messa pure incinta. Il personaggio interpretato da Marisa Mell risente di influenze morbose e lesbiche, pure se tutto è appena accennato e ha la leggerezza della commedia. Mereghetti definisce il film una pochade qualunquista che mescola pruriti erotici alla più corriva satira del femminismo, pure se resta nel panorama del genere tra le farse meno squinternate. In realtà Nando Cicero confeziona un film geniale che insiste sull’assurdo, sul lato mostruoso delle donne incontrate da Giuffrè (pelose, piene di cellulite, orrende…) – un leitmotiv nel cinema comico del regista romano – e che contiene trovate divertenti scritte da Giancarlo Fusco e Alessandro Continenza. Il femminismo è messo alla berlina e alla critica colta non piace per niente, perché lo definisce una farsa sguaiata, volgare e piena di dialoghi repellenti.
Il gatto mammone (1975) è un film importante perché segna l’incontro tra un’attrice non ancora di successo come Gloria Guida e un regista come Cicero che la valorizza e ne decreta il lancio definitivo. “Ricordo con affetto Nando Cicero, un tipo un po’ particolare, un pazzerellone, avrebbe meritato di più”, ha detto la bionda attrice di Merano a Pulici e Gomarasca in un’intervista pubblicata su 99 Donne. Il gatto mammone sfrutta il successo di un attore come Lando Buzzanca che riempie le sale interpretando commedie a base di corna, doppi sensi e situazioni paradossali. Il soggetto del film è di Francesco Longo, la sceneggiatura di Alessandro Continenza e Raimondo Vianello, la fotografia di Alfio Contini, il montaggio di Renato Cinquini. Produce Luciano Martino per Medusa. Il cast completo: Lando Buzzanca, Rossana Podestà, Gloria Guida, Grazia De Marzà, Franco Lantieri, Sofia Lucy, Franco Giacobini, Umberto Spadaro, Tiberio Murgia, Alessandra Vazzoler, Adriana Facchetti e Renzo Marignano. Come ho già detto nel mio Gloria Guida, il sogno biondo di una generazione (Il Foglio Letterario), si tratta del primo film importante interpretato dalla bella meranese, quello che la fa conoscere al grande pubblico. La Guida entra in scena soltanto a metà pellicola, doppiata da Micaela Esdra in un buffo dialetto da campagnola veneta, ma la parte che recita la impone all’attenzione di tutti. “Abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno!” è la battuta cult che la Guida ripete ossessivamente, recitando la parte della ragazza madre sprovveduta che accetta le conseguenze di una situazione paradossale. Il film si avvale di due sceneggiatori d’eccezione come Sandro Continenza e Raimondo Vianello, proponendosi di fondere il filone delle ragazzine sexy con la più tipica commedia all’italiana. Ne viene fuori una pellicola godibile e divertente che si sviluppa sui nodi di una trama quanto meno improbabile. Lollo Mascalucia (Lando Buzzanca) e Rosalia (Rossana Podestà) sono una coppia che non può avere figli. La vicenda si svolge in un paesino dell’entroterra siciliano, un posto popolato da gente pettegola, un paese dove per un uomo non avere eredi è un grave disonore. Rosalia è incolpata di essere sterile e i due ricorrono a ogni rimedio per provvedere. Lollo è tormentato dal ricordo del padre che appare in sogno e pretende un erede. “L’uomo non è uomo se non è padre”, sono le parole che durante un incubo iniziale Lollo ripete ossessivamente. Sogna la moglie incinta con un pancione enorme che esplode mentre i compaesani fuggono e lo evitano come un appestato. Lollo per evitare il disonore dice che non vuole figli e per preparare una scusa credibile acquista una scatola di profilattici ogni settimana. La situazione precipita quando muore il fratello di Lollo insieme a tutta la sua famiglia e lui resta il solo Mascalucia del paese, perciò si sente moralmente costretto a dare continuità alla stirpe, soprattutto un erede che mandi avanti il pastificio di cui è proprietario. Rosalia è una tipica moglie del sud, remissiva e timorata di Dio, che asseconda Lollo in tutte le richieste pur di dargli il sospirato figlio. Accetta pure il consiglio della madre, incontra una famiglia povera trattando l’acquisto di un nascituro, ma Lollo rifiuta con decisione perché il figlio deve essere suo. La moglie e la suocera contattano una vedova che si presta a fare un figlio con Lollo, ma la donna è troppo brutta e il marito desiste. “Con quella là neppure papà ce l’avrebbe fatta”, dice davanti alla tomba del padre. “Se devo fare un figlio con un’altra, voglio sceglierla io!”, conclude. Per questo si reca insieme alla consorte in un convento, qui incontrano Marietta (Gloria Guida) e Lollo subito se ne invaghisce. Lei è una ragazza madre veneta, un siciliano l’ha sedotta e abbandonata, quindi suo figlio è stato adottato. La suora accetta una generosa ricompensa per convincerla ad andare a servizio dai Mascalucia. Marietta viene trattata con ogni riguardo: fa colazione a letto, sceglie i programmi televisivi, mangia in abbondanza, scola fiaschi di vino, legge fotoromanzi. Invece di fare la serva viene trattata come se fosse una figlia, Lollo parla persino in veneto pur di ingraziarsela. A Lollo la ragazza piace parecchio, lo vediamo spiarla mentre si spoglia e resta a seno nudo, quindi si attacca al buco della serratura mentre lei fa la doccia. La sequenza della doccia è molto sexy, forse una delle scene più erotiche dell’intero film e la telecamera indugia a lungo sul sedere bagnato di Gloria Guida. Dopo un dialogo tra Lollo e Marietta che vorrebbe essere chiarificatore, la ragazza equivoca e pensa che la vogliono adottare perché sono senza figli. Sarà la vecchia vedova contattata per mettere al mondo il desiderato figlio a farle capire la verità. Marietta indignata scappa via in una notte di tempesta, ma alla fine ritorna e pronuncia la solita frase: “Abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno”. Prima della decisione di Marietta continua la commedia degli equivoci con Lollo che rientra in casa e scambia prima la vecchia vedova per Marietta e poi addirittura la suocera. La serie dei palpeggiamenti si conclude in entrambi i casi con Lollo che si ritrae schifato. Il padre continua ad apparire nei momenti più imprevisti, tanto che Lollo per strada investe un poliziotto credendolo una visione. Lollo si prepara a fare un figlio con Marietta, ma in casa non ci riesce perché la moglie piange dietro la porta e la suocera prega in compagnia della vecchia vedova. Non è l’ambiente giusto. I due se ne vanno per qualche mese e provano a far l’amore più volte senza che accada niente. Lui scrive alla moglie che si sacrifica tanto, anche cinque volte al giorno, per lui è come un’operazione e soffre più di lei. Ovvio che sono tutte balle. A Lollo la bella cameriera piace e a un certo punto le fa pure una proposta che lei non capisce o finge di non capire (“Abbiamo fatto sessantotto, facciamo…”). Le provano tutte, persino la psicoterapia e il training autogeno ma l’unico risultato è che Lollo si addormenta sopra Marietta. È lei che alla fine gli apre gli occhi: “Possiamo provare in eterno ma non accadrà niente, perché lo sterile sei tu!”. Lollo si sottopone a una serie di esami e scopre la triste verità che lo manda in depressione. Durante un nuovo incubo Lollo vede i compaesani che lo insultano e lo lapidano, pure la moglie e la suocera fanno parte del gruppo. Il padre esce all’orizzonte come un sole che sorge, ma non è soddisfatto come quando Lollo provava ad avere un figlio. Pure lui ha una pietra in mano per colpirlo. Lollo è distrutto ma la soluzione viene da Rosalia. Adesso tocca a lei sacrificarsi, sarà come fare un’operazione chirurgica… “Chi è il chirurgo?” domanda lui. “Questa è l’unica cosa che non saprai mai”, conclude Rosalia. Finale surreale con l’immagine del padre che sorge all’orizzonte ed esibisce un paio di corna verso il figlio che espone il bambino ai compaesani. Il film viene passato spesso sulle reti televisive, ancora oggi conserva la freschezza di quasi trent’anni fa e diverte senza mai cadere nella volgarità. Lando Buzzanca è bravo a recitare la solita parte da maschio latino, Gloria Guida è una perfetta ragazzina ingenua che si fa spiare dalla serratura del bagno mente fa la doccia, Rossana Podestà è una professionista assoluta. Una commedia casalinga degli equivoci con punte di comicità che superano il lato erotico della pellicola. Tanto che non si può ascrivere il film al filone erotico-malizioso del cinema italiano. Siamo in presenza di una semplice commedia, che pure al tempo uscì senza particolari divieti ai minori, e le uniche parti sexy sono le sequenze in cui la Guida compare nuda sotto la doccia. Massimo Bertarelli stronca il film su Il Giornale definendolo una sguaiatissima commedia sociale dello specialista in freddure da caserma Nando Cicero, che mescola i risaputi squallidi doppi sensi sul maschio mandrillo agli implacabili luoghi comuni sulla Sicilia da barzelletta. Marco Giusti su Stracult non è entusiasta, ma promuove il film, anche se ritiene che Cicero resti ingabbiato nella commedia casalinga e non può dare libero sfogo alla consueta inventiva surreale. Paolo Mereghetti nel celebre Dizionario concede una stella e mezza a Il gatto mammone, definendolo una farsa con qualche pretesa di satira di costume, che finisce però nella più prevedibile delle pochade. Secondo lui Cicero sottolinea le componenti più folkloristiche del maschio siciliano, dal mito della paternità alla devozione religiosa, ma poi riduce tutto a barzelletta. A mio parere il film riesce a fare una leggera critica sociale, descrive vizi e difetti di un meridione d’altri tempi ed è ben strutturato sotto l’aspetto della trama e delle parti comiche. Cicero è legato alla storia, deve frenarsi rispetto ad altri soggetti surreali più nelle sue corde, ma alcune trovate paradossali confermano la genialità del regista. Basti pensare alle molte parti oniriche e alla figura del fantasma paterno che tormenta il figlio impotente.