L’assistente sociale tutto pepe (1981) è scritto e sceneggiato da Stefano e Alessandro Canzio. Gli attori sono Nadia Cassini, Renzo Montagnani, Yorgo Voyagis, Irene Papas, Fiorenzo Fiorentini, Nino Terzo, Gigi Ballista e Sergio Di Pinto. Produce lo stesso Yorgo Voyagis con la Lotus Film, al tempo compagno della bella Cassini. Il film è noto anche con il titolo alternativo (in rima) L’assistente sociale tutta pepe e tutta sale. Tarda commedia sexy, non molto erotica, ma basata di fatto sulle virtù posteriori di Nadia Cassini, protagonista di alcune sequenze ravvicinate in vasca da bagno, durante una prolungata doccia dal taglio originale e ginecologico. Principale leitmotiv della pellicola: il sedere della bella americana, esibito in bicicletta, in parti oniriche ambientate in piscina e in una sequenza notturna sulla spiaggia di Ostia. Cicero confeziona una pellicola dignitosa, utilizza Nadia Cassini con l’accento americano, nei panni di un’improbabile assistente sociale impiegata per aiutare gli abitanti d’una periferia degradata. Il budget è modesto, quasi irrisorio, ma la bravura di Renzo Montagnani, Nino Terzo e Fiorenzo Fiorentini supplisce ai troppi buchi di sceneggiatura e a tante certe situazioni prive di senso logico. Nadia Cassini cerca di redimere quattro ladruncoli dal cuore tenero, ma nel frattempo sogna di diventare una famosa showgirl (un film nel film è basato su spezzoni di spettacoli mal fotografati della bella soubrette) e di farsi sposare da un ricco americano. Molte sequenze surreali in puro stile Cicero e parecchia comicità slapstick che ricordano il cinema muto e la poetica dell’assurdo. Nadia Cassini sogna addirittura di essere la moglie di Jimmy Carter e parla con l’immagine del Presidente che si sporge da un quadro. Nino Terzo si fa notare per la caratteristica tartagliata e per i consueti ragionamenti del sedere, visto che produce scoregge a comando di inaudita violenza. Terzo si guadagna da vivere piangendo a pagamento ai funerali e nel sogno è addirittura il figlio di Carter. Renzo Montagnani è il sindaco – capoccia del gruppo di ladruncoli ispirato a I soliti ignoti e vorrebbe tanto far fuori una nonna invadente. Fiorenzo Fiorentini è un finto prete che insegna ai bambini l’arte dello scippo; Yorgo Voyagis è Bel Amì, il bello della situazione che fa innamorare la Cassini e alla fine convola a giuste nozze. Irene Papas è una presenza surreale, una sorta di fata buona che arriva dal mare a bordo di una canoa e decide di aiutare il popolo dei diseredati. Cicero preme l’acceleratore sul grottesco per nascondere carenze produttive e mancanza di denaro. Non fa certo cinema raffinato, come sempre, ma corporale e viscerale, lasciando liberi gli attori di realizzare rumori di scena. Ambientazione quasi pasoliniana, sul lungomare cadente di Ostia, tra baracche, casette di pescatori e spiagge abbandonate. Ultimo film di Gigi Ballista, attore quasi sempre calato nel ruolo del cummenda milanese, per l’occasione alto prelato in cerca di una preziosa reliquia. La pellicola è stata poco vista per colpa di una pessima distribuzione, passava spesso sui canali del circuito satellitare Sky e sul digitale AB Channel, adesso si può vedere – di tanto in tanto – su Cine 34 e sui canali tematici Mediaset. Non così male come dice la critica alta, tutto sommato divertente, imperdibile per i fan di Cicero e della Cassini.
W la foca! (1982) è il film di culto girato da Nando Cicero, ma anche di Lory Del Santo che per la prima volta in carriera è protagonista assoluta. Ne dobbiamo parlare diffusamente. La storia si riassume in breve perché non è la cosa più importante di una pochade surreale e strampalata. Andrea è una giovane e bella infermiera veneta che arriva a Roma in cerca di fortuna. Viene assunta dal dottor Patacchiola (un esilarante Bombolo) nella sua clinica privata, ma entra a far parte anche di una famiglia il cui menage non è dei più tranquilli. Il dottore è un medico assatanato che – come dice sua moglie – ha preso la laurea per sollevare le gonne alle belle figliole. La moglie del dottore (un’affascinante Dagmar Lassander) è una ninfomane mai sazia di incornare il marito con chiunque le capiti a tiro. La figlia (una sottoutilizzata Michela Miti) è una perversa mangiatrice di uomini che finisce sempre tra le braccia del primo venuto. Il nonno (un bravo Riccardo Billi) è allupato e porcellone come un ventenne, mentre il figlio è un povero ritardato che a diciotto anni frequenta ancora le elementari e fa scherzi idioti ai genitori. Il quadro lo completa una foca che la bella Del Santo vince a un concorso fotografico: doveva essere una pelliccia di foca ma la ditta preferisce inviare una foca viva e a scuoiarla ci pensi pure il vincitore. Infine Andrea tenta la carta della televisione, ma durante un provino viene notata da una grassona proprietaria di una clinica per ricchi obesi che le offre un posto da direttrice. Al di là di una trama scontata sono le trovate comiche da barzelletta movie a rendere interessante W la foca!, film che a causa del titolo subisce un’infinità di guai giudiziari. La censura impone il divieto ai minori di diciotto anni – sia in primo che in secondo grado (e non se ne vede il motivo) – e la decurtazione del titolo originale che doveva essere W la foca… che Dio la benedoca! pensato apposta per parafrasare il detto popolare. Non solo. Una volta uscito, il film viene sequestrato da un pretore di un paesino vicino Roma e dal pretore di Torino. Nando Cicero rischia la galera e il film sparisce di circolazione per molto tempo, tanto è vero che in sala W la foca! l’hanno visto in pochi. Il merito della riscoperta della pellicola, sguaiata quanto si vuole ma al tempo stesso originale, va dato a Sergio Germani che l’ha difesa in tempi non sospetti e a Marco Giusti che l’ha voluta al Festival di Venezia 2004 nella retrospettiva italiana dedicata al cinema di serie B. Tarantino ne rimane entusiasta e il film di Cicero ottiene una giusta riabilitazione che ne consente la messa in circolazione nella collana Home Video da edicola della Federal Video. Vediamo di citare le cose migliori di un film prodotto e voluto da Galliano Juso, scritto e sceneggiato dal solito Francesco Milizia insieme a Stefano Sudrié e al regista. Molto buona la musica di Detto Mariano, ripetitiva ma orecchiabile. Lory Del Santo si mostra nuda per buona parte della pellicola, comincia alla grande vestita di rosso, calze nere e reggicalze sexy mentre saluta il fidanzato alla stazione. Moana Pozzi interpreta la parte della passeggera senza biglietto nello stesso scompartimento della Del Santo che paga in natura ai vari capotreno che le chiedono il documento di viaggio. Mitico lo scambio di battute dopo che la bella Pozzi è rientrata nello scompartimento tutta scompigliata e con la camicetta di fuori. Del Santo: “Ma lei dove va?”. Pozzi: “A Reggio Calabria… se mi regge il culo!”. Volgare quanto si vuole ma spontaneo e in linea con la migliore tradizione della commedia scollacciata. Moana Pozzi non ha ancora cominciato a fare cinema porno e nelle poche sequenze in cui la vediamo sulla scena se la cava con grande professionalità. Lory Del Santo arriva a Roma e si cambia le calze sul taxi sconvolgendo un allibito Enio Drovandi che rischia di finire fuori strada. Enzo Andronico fa una breve comparsata come esibizionista messo in fuga da una ninfomane. Il meglio arriva con l’ingresso in scena di Bombolo, un medico fuori dalle regole che a ogni donna che vede grida: “La facci spogliare!”. Fa spogliare anche la bella moglie di un paziente pur di vederla nuda e poi ascolta la malattia del malcapitato. Paziente: “Quando faccio l’amore con mia moglie una volta sento freddo e una volta sento caldo. Come mai?”. Bombolo: “Per forza! Se ne fa una a Natale e una a Ferragosto…”. Arriva Lory Del Santo e Bombolo le tasta il sedere in continuazione. “Lei è assunta!”. “No, io sono Andrea” replica. “No, lei è assunta!” e le tasta di nuovo il posteriore. Si capisce subito che il dottor Patacchiola tutto fa con le pazienti fuorché curarle. Tra una palpata e l’altra Bombolo porta la Del Santo in visita per le stanze dell’ambulatorio, apre una porta dove c’è un letto e sopra sua moglie che scopa con un uomo. “Quella è mia moglie. E quello sopra sono io”, dice. La moglie del dottore è una sensuale Dagmar Lassander che contende il ruolo di protagonista sexy alla Del Santo ed è più spigliata di lei nei ruoli erotici. Il film è girato in presa diretta, la Lassander parla con accento austriaco, così come la Del Santo utilizza la sua voce che non è il massimo della perfetta dizione. Bombolo prosegue con le battutacce in romanesco, con quella comicità fisica che strappa il sorriso solo a guardarlo e infine presenta la figlia porca Michela Miti avvinghiata a uno dei suoi tanti ragazzi. Bombolo: “E quello chi è?”. Miti: “Non lo so. Mamma mi dice sempre di non parlare con gli sconosciuti”. La Del Santo ci delizia con uno spogliarello in bagno e con una doccia che prevede un nudo integrale, il nonno sporcaccione le infila le dita dentro e subito si sente male. Una famiglia assurda accoglie la Del Santo che si mette a fare infermiera e cameriera assistendo senza poter fare niente a tutte le stranezze che accadono. Da Hong Kong arriva la pillola della potenza virile e Bombolo la vuol provare subito con la Del Santo, peccato che un’eccezionale erezione venga subito azzerata da un fischio dell’infermiera. Il figlio del dottore è un ritardato e il padre cerca di farlo scopare con Domenica, infermiera di colore, ma non ci riesce. Una parte divertente è quella in cui il dottore, la moglie, il nonno e la figlia si giocano una tonnellata di piatti da lavare con il gioco del “chi parla per primo”. Arriva un amico della figlia e approfitta del silenzio imposto per scopare prima la Del Santo e poi la Lassander dopo toccamenti vari. Bombolo esplode solo quando il ragazzo chiede la vasellina. “I piatti li lavo io, se no questo c’inchiappetta a tutti e due!”. Altre sequenze sexy sono quelle tra la Del Santo e i muratori che stanno ristrutturando un palazzo di fronte. Victor Cavallo è l’imbianchino che strabuzza gli occhi davanti ai frequenti spogliarelli e subito dopo è protagonista di una sequenza surreale. Cavallo getta il suo pene lunghissimo dalla finestra e lo fa strisciare come un serpente sino alla casa della ragazza, una vecchia che passa finisce per caderci sopra, infine transita una schiacciasassi che produce l’effetto comico finale. Una nuova doccia della Del Santo a seno nudo e con il sedere bene in vista prelude all’arrivo della foca che è parte integrante del film. Si tratta di un’otaria, come ha detto Nando Cicero, perché le foche non si muovono, non hanno zampe, ed è la prima volta che una foca viene utilizzata in un set cinematografico. La parte surreale comincia con l’ingresso in scena della foca vinta dalla Del Santo che dovrebbe farne una pelliccia e invece la utilizza come animale da compagnia. La Del Santo e la foca girano per Roma con l’animale in carrozzina e lei che sculetta con una gonna di pelle attillata. “Hai visto che foca!”, dice un passante. E il cane di rimando: “Che Dio la benedoca!”. Si gioca sul surreale puro perché l’uomo è cieco e il suo cane non può certo parlare, infine c’è il sottinteso “foca – fica” rivolto all’animale e alla ragazza. Un siparietto comico lo recita pure uno schizzatissimo Jimmy Il Fenomeno che si prende a schiaffi con la moglie per aver guardato la foca della Del Santo. Eccellente Franco Bracardi nei panni di un mendicante assatanato e male in arnese che rivolto alla foca dice: “Pare il figlio di Maurizio Costanzo!”. E pensare che dopo quel film la gran parte della carriera di Bracardi (scomparso da poco tempo) è stata a fianco di Costanzo… La Del Santo entra in un bar e chiede il latte per la sua foca, qui incontra uno stupito De Pinto che non comprende come può fare e scommette con lei. Non ha capito che si tratta di un animale. La foca sconvolge la (si fa per dire) quiete familiare di casa Patacchiola e il livello di barzelletta movie del film aumenta vertiginosamente. Citiamo Michela Miti che dice al fidanzato: “Ho le dita dei piedi allargate perché da piccola le tenevo tanto nel fango”. Poi i due vanno in camera, il fidanzato si dà da fare e infine si sente una voce: “Ma ci sei caduta pure con il culo in quel fango?”. Volgarissima ma efficace. La pochade raggiunge il culmine nella parte che si svolge in albergo. Il fidanzato giunge a Roma per vedere la Del Santo e cerca di portarla con sé a fare l’amore. L’albergo è un casino generale, scopa pure il portiere e non gradisce essere disturbato, Bombolo se la fa con una sadomasochista, ma poi finisce nel letto della moglie (non sa che è lei) che tutti dicono sia una ninfomane che non rifiuta nessuno. Lo scambio di camere è un momento tipico della commedia all’italiana. Alla fine i due fidanzati vanno a far l’amore nel parco dove incontrano Bracardi che non ce la fa a dormire perché loro fanno confusione. La parte che vede la foca malata è ricca di puro umorismo surreale e vengono utilizzate una foca finta e un gigantesco termometro.
Le foche vere erano due e venivano usate a turno ma si doveva stare attenti perché mordevano. La foca ammalata si mette a cacare ghiaccioli e produce gelide correnti d’aria a forza di scoregge, tutto questo perché il figlio scemo le ha fatto mangiare fagioli. Mica male come trovata! Martufello entra in scena per un paio di battute con la Del Santo. “Lei non può avere la residenza. C’ha un culo fuori dal comune!”. In un cinema a luci rosse proiettano Veronique la moglie porno e la Del Santo ci va con il fidanzato, ma è oggetto di attenzioni da parte di uno sporcaccione, invece il suo ragazzo viene riconosciuto da uno spettatore che lo scambia per un amico. Molto sguaiata anche la parte successiva quando il fidanzato insegna alla Del Santo l’arte della fellatio. “Fa’ come se fosse un gelato”. A lei piace e dopo la prima volta vorrebbe continuare. “Non ho più gelato”, dice il ragazzo. Bracardi sbuca da un cespuglio e grida: “Gelati! Sorbetti!”. Il film prosegue così, senza una vera trama, collezionando una trovata geniale dietro l’altra e toccando vette di umorismo surreale mai viste nei precedenti film di Cicero. La Del Santo esce per le vie di Roma con la pelliccia della padrona di casa e con i suoi gioielli ma un finto principe la porta con sé in un luogo appartato dove la fa spogliare e la deruba di tutto. La Del Santo resta in slip, reggiseno e calze nere, però non viene violentata come invece credeva. In compenso passa Bracardi con una bicicletta e la riporta verso Roma dando vita a una scena mitica. “La sente la canna? La sente bene?”, dice il mendicante e poi canta Romagna mia. “Sì, certo che la sento”, risponde lei. Fatta un po’ di strada Bracardi confessa: “Come se sente su ‘sta canna? Ma non s’è accorta che questa è una bicicletta da donna?”. La Del Santo scende, finisce in mezzo alle prostitute che battono e viene scambiata per una di loro da un reggimento di bersaglieri che deve soddisfare per intero. A casa intanto c’è Dagmar Lassander che si fa scopare da un nero dotato di un membro così lungo che lui è fuori dalla finestra e lei si è messa a pecorina sulla porta di camera. Bombolo interrompe il rapporto sul più bello con una randellata sul pene dell’uomo. La Del Santo intanto sogna di essere seminuda e legata a un albero mentre Bracardi la violenta. Dopo l’incubo c’è una surreale partita a tennis tra Bombolo e la Del Santo con la pallina che finisce due volte in bocca al dottore e infine gli schiaccia le palle. C’è ancora il tempo per vedere Michela Miti attaccata al fidanzato perché hanno usato la colla al posto della vasellina e un cinese che li porta in ospedale al reparto “inculabili”. Victor Cavallo è così irretito dalla Del Santo che la porta da un amico regista televisivo per fare un provino, ma la foca combina un caos e lei se ne gira per gli studi nuda a caccia delle mutande. Un cameraman inquadra la Del Santo e manda in onda il suo culo che entra nelle case degli italiani. Il commento di Bombolo che vede sparire la faccia del politico ma sente ancora le sue parole è esilarante: “Questi politici hanno sempre la solita faccia…”. Una dietologa cicciona vede la Del Santo e pensa che sia la persona che possa mandare avanti la sua clinica per ricchi obesi. Si termina in piena bagarre con tutti i malati che corrono dietro al sedere della Del Santo seminuda, ma nel gruppo ci sono pure Bombolo e il nero incazzatissimo che vuole fargli pagare lo scherzo della martellata sul pene. Il film finisce così, come ogni pochade che si rispetti, con un bell’inseguimento che strappa ancora una volta il sorriso. La pellicola è girata nella città di Roma, per gli interni vengono utilizzati gli Studi Elios ed è un lavoro in piena sintonia con la produzione di Nando Cicero. La comicità è di grana grossa. le gag sono spesso surreali e da cartone animato, ma le trovate geniali e originali conferiscono al film un posto particolare nel quadro delle commedie sexy. W la foca! giunge nelle sale proprio quando la farsa scorreggiona è al tramonto e non riesce a rinverdirne i fasti soprattutto per le traversie giudiziarie che ne bloccano la distribuzione. Sergio Germani afferma che per W la foca! si può parlare di un A qualcuno piace caldo del cinema basso. Il film è divertente, è un capolavoro trash che ha come punto di forza una rappresentazione volutamente scorretta della realtà. Cicero ci sguazza a piene mani e ci mette dentro il nero, il frocio, le ninfomani, l’esibizionista, il marito cornuto, la fidanzata ingenua ma un po’ troia, il mendicante guardone, una vera foca che sconvolge una famiglia… Il film viene sequestrato soprattutto per il titolo irriverente e ammiccante, ma il suo discorso comico è ancora oggi genuino e valido soprattutto per il doppio senso “fica – foca”. Nando Cicero, a suo tempo intervistato al giardino zoologico di Roma davanti alla vasca delle foche, disse: “Io c’ho fatto un film sulle foche e n’antro po’ andavo ar gabbio. La foca è il simbolo di qualcosa di proibito e in Italia al tempo magari si propagandavano i culi di tutti ma non si poteva parlare di foca. I produttori e i distributori mi lasciarono solo e la censura vietò il film ai minori di diciotto anni e poi due pretori lo sequestrarono su tutto il territorio nazionale. Attentato al comune senso del pudore per aver detto: W la foca! Ma io almeno rientravo nella normalità. Pensate che uno dei giudici che mi condannò fu poi arrestato per aver violentato la moglie di un recluso. Invece il presidente della commissione censura lo vidi mentre ammazzava i gatti con il Mercedes. Io mi avvicinai, abbassai il finestrino e gli tirai uno scaracchio che non vi dico…”.
Nando Cicero comincia la sua attività cinematografica come attore ma poi non è molto portato e non ha tanto tempo per lavorare, pensa troppo alla… foca. Comincia a fare il regista e si dedica soprattutto alla commedia ma non tanto alla commedia all’italiana classica quanto alla pochade e alla comicità surreale che è un suo tratto d’autore. W la foca! è il suo capolavoro e presenta una fisicità eccessiva dei corpi che però non sconfina mai nel cattivo gusto ma contribuisce a realizzare proprio il tipo di storia surreale che si voleva fare. Moana Pozzi, Michela Miti, Lory Del Santo e Dagmar Lassander fanno vedere molto, soprattutto la Del Santo, ma siamo sempre nei limiti della commedia scollacciata e non si sconfina mai nell’erotico puro. Riccardo Billi, al suo ultimo film, sta male ma cerca di non darlo a vedere ed è molto bravo, come è eccellente Bombolo, una vera forza della natura. In questo film ci sono diverse generazioni di attori che hanno fatto la commedia sexy e si può dire che W la
foca! realizza una specie di summa generazionale di interpreti. La critica alta non ha mai accettato (e in parte non accetta) che le cose divertenti possano essere geniali. Niente di più falso, perché W la foca! è un film straordinario e bene ha fatto Marco Giusti a proporlo in retrospettiva a Venezia, provocando il voluto scandalo della critica benpensante. Lory Del Santo ama molto questo film che le ha dato la notorietà ed è consapevole che se ancora oggi si parla di lei è solo per merito di W la foca! “Me lo propose Galliano Juso, un piccolo produttore che faceva film geniali, fuori dai grandi giri ma che avevano una loro dignità. Juso mi ha sempre affascinato per la sua grassezza e morbidezza, il regista era un tipo molto simpatico e io il film lo feci volentieri. Mi dicevano sempre che dovevo ingrassare per essere un vero sex symbol. C’era una foca vera in casa e faceva un casino bestiale, era ammaestrata ma non bastava, mordeva ed era curioso lavorare con quell’animale sul set. W la foca! non resterà nel master dei film italiani da ricordare, ma è una pellicola comica che ha la sua dignità. Il titolo era forte ma all’epoca funzionavano questi titoli come Culo e camicia con Pozzetto e Montesano. Il film non era volgare e non aveva niente di particolarmente spinto. Non sono andata a Venezia perché quando me lo hanno detto ho pensato a una cosa tipo Scherzi a parte. Il mio rimpianto nel mondo del cinema è quello di non essere stata abbastanza utilizzata per ruoli comici dove potevo andare bene. C’erano già altre sex symbol molto abbondanti come la Fenech, però io potevo fare le parti di quella che non capiva e della ingenua che faceva scaturire situazioni comiche. Ma mi rifarò. C’è ancora tempo”.