Nel 2019, subito dopo aver lanciato il piano di attuazione sul già discusso reddito di cittadinanza, il governo decise di dotarsi di seimila professionisti, psicologi, giuristi, economisti e molti altri per aiutare i centri per l’impiego a gestire una massa di lavoro, specie in alcune regioni, insostenibile. Al bando pubblico parteciparono 78.788 persone, ma non per seimila posti: si decise di ridurre il numero degli esperti a tremila, praticamente la metà. I candidati (tutti laureati e con voti molto alti: il voto di laurea costituiva uno dei primi criteri di screening) vennero sottoposti ad una selezione durissima, nella quale dovettero dimostrare di sapersi districare tra settori che andavano dall’informatica ai modelli e strumenti di intervento di politica del lavoro, dalla disciplina sui contratti di lavoro al sistema di istruzione e formazione, dalla regolamentazione del mercato del lavoro all’economia aziendale e molto altro ancora.
Dopo un ritardo dovuto ai problemi legati alla definizione delle caratteristiche di un sistema del tutto nuovo, i professionisti selezionati, che qualcuno definì Navigator (ai tempi, un vanto ora quasi un dispregiativo), hanno cominciato a operare presso i centri dell’impiego del territorio. Un lavoro tutt’altro che semplice: analizzare i dati forniti loro dall’azienda centrale e dai centri dell’impiego non è stato affatto facile. Ciò nonostante, per mesi, i Navigator hanno svolto un grande lavoro per contattare i beneficiari del reddito di cittadinanza loro assegnati, per verificare le loro qualifiche e comprendere che tipo di lavoro potevano (e volevano) svolgere sul territorio.
Ma non solo. Uno dei principali compiti dei Navigator dovrebbe essere verificare la presenza delle condizioni per l’immediata disponibilità al lavoro o, per far aderire i loro beneficiari a percorsi personalizzati di accompagnamento all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale.
In una prima fase del progetto, i Navigator sono stati costretti non solo a trovare lavoro per queste persone, ma a farlo presso aziende sul loro territorio. Ma non ci vuole molto per capire che, dove si trovano più beneficiari del reddito di cittadinanza, è proprio dove minore è l’offerta di posti di lavoro. E dove ci sono meno imprese pronte ad assumere. É stato chiaro sin da subito che non sarebbe stato semplice trovare un lavoro a milioni di persone.
Se questo era difficile prima, nel 2020, a causa della pandemia, è diventato quasi impossibile: sul territorio dove risiede la maggior parte dei beneficiari del reddito di cittadinanza, trovare imprese disposte ad assumere nuovo personale è diventato difficilissimo. Se in Italia, l’offerta di posti di lavoro è crollata, al Sud (dove risiedono la maggior parte dei percettori del reddito di cittadinanza) la situazione è ben più grave: molte aziende sono state costrette a chiudere definitivamente o a mettere i propri dipendenti in cassa integrazione (quale azienda potrebbe assumere nuovo personale mentre è costretta a fare salti mortali per non chiudere?). Per i Navigator, trovare posti di lavoro per i beneficiari di RdC è diventato più difficile che trovare un ago in un pagliaio.
Ma non basta. I pochi posti disponibili a volte sono rimasti vacanti a causa del fatto che (sebbene con le dovute eccezioni) molti dei beneficiari non presentano professionalità che soddisfano le offerte (molti non hanno neanche un titolo di scuola media o una qualifica facilmente spendibile sul mercato del lavoro). E anche la disponibilità di molte amministrazioni comunali di utilizzare i beneficiari del reddito di cittadinanza per progetti di utilità collettiva, i cosiddetti PUC, è stata nettamente inferiore alle aspettative (anche qui con alcune eccezioni).
A complicare questa situazione, la campagna mediatica (e politica) senza precedenti lanciata contro la figura dei Navigator. Alcuni media, forse in cerca di scoop, si sono precipitati presso i centri per l’impiego gridando a squarciagola che loro non erano presenti. Dimenticando che a causa del lockdown anche i dipendenti erano costretti a lavorare in smart working (un eufemismo per dire che sono rimasti chiusi al pubblico o con operatività ridotta). I Navigator, invece, hanno continuato a lavorare anche in remoto (lo dimostrano le centinaia di telefonate fatte da ciascuno ai beneficiari dei loro servizi e alle imprese nel tentativo di trovare, nonostante tutto, spazi per inserire qualcuno). Un’attività che ha richiesto un lavoro da “investigatori” dato che i dati a loro disposizione spesso si sono rivelati obsoleti o relativi a imprese non più esistenti o che, nel frattempo, avevano cambiato nome, sede o gestione. Un lavoro certosino documentato e comprovato dalle decine e decine di rapporti che ciascun Navigator ha dovuto fornire ad Anpal Servizi (e, di conseguenza, alle autorità competenti). Ma, di questo, i media e quanti continuano ad attaccare i Navigator, hanno fatto finta di non sapere nulla. Al contrario la campagna mediatica contro di loro non si è mai fermata. Molti personaggi politici hanno preferito rivolgere accuse infondate e attacchi al limite del ricorso legale contro questi professionisti.
Lo hanno fatto così ostinatamente da far pensare che, forse, si è trattato di un modo per nascondere altri problemi. Perchè nessuno ha parlato dei livelli di povertà che, in Italia, continua ad aumentare (lo dice l’indice di Gini)? O dei sussidi a pioggia concessi dal governo, che non sono bastati ad evitare che centinaia di migliaia di imprese chiudessero definitivamente (senza che nessuno politico spiegasse agli italiani chi e come dovrà ripagare i prestiti di centinaia di miliardi di Euro ricevuti dalla BCE)? Di questi temi pochi hanno parlato. Così come non si è preferito non parlare di altre spese che pure gravano sulle casse dello stato (e molto più di quanto non siano costati i Navigator). A cominciare dai miliardi di Euro destinati all’acquisto dei tanto criticati aerei da guerra F35 (armi comprate da un paese che si professa pacifista!). O delle sanzioni che i cittadini stanno pagando a causa della incapacità delle pubbliche amministrazioni di ottemperare ad alcuni degli obblighi previsti dall’UE (come quelli per la gestione dei rifiuti e delle acque le cui sanzioni milionarie sono calcolate dall’UE non su base annua, ma con cadenza “giornaliera”!). Per non parlare del taglio degli stipendi per i parlamentari, promesso da anni e mai attuato. Di questi e di molte altri argomenti, i politici hanno preferito non parlare. E i media hanno deciso di non fare loro domande o di condurre “inchieste giornalistiche” (salvo rare e sparute eccezioni).
Mentre su di loro venivano riversati vagoni di fango (si veda il video allegato disponibile su YouTube), i Navigator hanno continuato a lavorare. I numeri, quelli ufficiali, parlano di una realtà completamente diversa da quella sbandierata. Oltre 700mila beneficiari di reddito di cittadinanza convocati (e contattati più e più volte per cercare di trovare loro un lavoro o almeno un percorso di riqualificazione professionale). Un lavoro di censimento certosino e di verifica dello stato attuale delle cose che nessun ente statale, finora, aveva fatto. Un impegno che, nonostante il lockdown, ha portato oltre 337mila persone a sottoscrivere un patto per il lavoro e a predisporre quasi 180mila piani personalizzati di accompagnamento al lavoro. Centinaia di migliaia le imprese contattate delle quali ben oltre 111mila hanno espresso opportunità occupazionali.
Un lavoro massacrante che ha permesso a decine e decine di migliaia di persone di trovare un lavoro (e allo Stato di risparmiare tanti soldi non dovendo più corrispondere loro il reddito di cittadinanza).
Sono questi i numeri dei Navigator. Quelli ufficiali. Quelli veri. Il resto è solo spazzatura che qualcuno, per motivi che non hanno niente a che vedere con la realtà (è bene ricordarlo ancora una volta), ha scaricato addosso a questi professionisti.
E senza che nessuno, neanche quelli che per primi avevano pensato a questa figura, scendesse in campo per prenderne le difese.
Foto: ilsole24ore