“Nella stretta morsa del ragno”, un vero e proprio remake a colori di Danza macabra

Articolo di Gordiano Lupi

Nella stretta morsa del ragno (1971) è un vero e proprio remake a colori di Danza macabra, rispettoso al massimo della trama originale. L’idea è del produttore (“Non avrei mai pensato di dover rifare me stesso”, dice Margheriti), per il regista si tratta di un peccato di vanità, ma il film non delude. Klaus Kinski è un convincente Edgard Allan Poe e proprio per questo la parte iniziale viene allungata, citando il racconto Berenice. “Non racconto storie di fantasmi, ma la gente non mi crede se dico che vivo i miei incubi”, afferma il tormentato scrittore. Un difetto che si nota a distanza di anni è un eccesso di zoomate sui volti dei protagonisti, perniciosa moda anni Settanta. Le scene migliori sono riprese pari pari da Danza macabra, anche se il remake descrive un amore tra i protagonisti più concreto e carnale. Il melodramma horror si fa intenso, oltre a venir dotato di inedite sequenze macabre, come quella del serpente con la testa mozzata. Ritz Ortolani compone una colonna sonora memorabile e le parti di danza a base di valzer sono più lunghe e sfarzose rispetto all’originale. Il rapporto lesbico è reso più esplicito con carezze e baci, senza lasciare intuire tutto come in passato. Nella stretta morsa del ragno è sicuramente più macabro ed erotico di Danza macabra, ma ha meno ritmo e si potevano eliminare alcuni tempi morti. Michèle Mercier non è Barbara Steele, che nella parte della protagonista era molto più convincente. Bravissimo Anthony Franciosa in un ruolo che diventa più intenso. Il remake a colori non piaceva molto a Margheriti che si lamentava di aver dovuto far vedere tutto quel sangue rosso

Nel 1973 Margheriti prende parte a due produzioni finanziate da Carlo Ponti e realizzate a Cinecittà: Il mostro è in tavola… Barone Frankenstein e Dracula cerca sangue di vergine e morì di sete. Si tratta di due film impostati secondo le idee deliranti di Andy Warhol che per l’occasione incontra un altro pazzo scatenato come Paul Morrissey. Margheriti rilascia interviste contrastanti sul suo ruolo in queste pellicole, ma a nostro parere è condivisibile l’opinione di Luigi Cozzi che cita un colloquio personale con il regista per affermare che Margheriti funge soltanto da prestanome, per consentire a Ponti di incassare il finanziamento ministeriale. Ci sembra che quelle due gustose e trasgressive parodie siano lontane anni luce dal modo di fare cinema di Margheriti, regista eclettico e singolare, ma dotato di precisi schemi mentali. Margheriti può aver fatto da coordinatore e supervisore, per guidare l’irrazionalità di una sceneggiatura inesistente, composta da un breve soggetto da discutere sul set giorno dopo giorno. Fabio Giovannini sostiene che “una volta sul set le incombenze di Margheriti aumentano immediatamente” e che “intere sequenze vengono girate da Margheriti, che si dedica anche al lavoro di moviola e di effetti speciali”. I due film sono parodie splatter – erotiche delle saghe prodotte dalla britannica Hammer e anche questo tipo di cinema non ci sembra nelle corde di Margheriti, che odia le commedie. Antonio Bruschini e Antonio Tentori in Operazione paura – I registi del gotico italiano (Punto Zero, 1997) attribuiscono senza mezzi termini queste due pellicole alla vena gotica del regista italiano. Non ci sentiamo di condividere tale impostazione.

Related Articles