“Nerolio”, il realismo di Aurelio Grimaldi

Articolo di Gordiano Lupi

Regia: Aurelio Grimaldi. Soggetto: Aurelio Grimaldi (liberamente tratto dal suo dramma teatrale Sputerò su mio padre). Sceneggiatura: Aurelio Grimaldi. Fotografia: Maurizio Calvesi. Montaggio: Mauro Bonanni. Musiche: Maria Soldatini. Scenografia: Manuel Gilberti, Stefano Vedovelli. Produzione: Arancia Film. Durata: 81’. Genere: Drammatico. Colore: Bianco e Nero. Interpreti: Marco Cavicchioli (il poeta), Lucia Sardo (la cameriera), Salvatore Lazzaro (Marco), Vincenzo Crivello (Valerio), Piera Degli Esposti (madre di Valerio), Franco Mirabella (Daniele), Maurizio Nicolosi (un ragazzo).

Nerolio è un  film maledetto, per anni rimasto nei magazzini della produzione e non distribuito, rifiutato dal Festival di Venezia (Gillo Pontecorvo e Vincenzo Cerami, i responsabili), osteggiato dalla Fondazione Pasolini (Laura Betti disse che non voleva neppure vederlo), distrutto dalla critica più importante (Gianluigi Rondi), non accettato dai veri amici di Pasolini. Grimaldi si macchia della colpa più grande, di un realismo portato alle estreme conseguenze, del voler dire anche cose scomode e sgradevoli, di un linguaggio crudo e spiazzante, di un’esibizione senza limiti di nudi maschili e della rappresentazione dell’omosessualità.

Non tutto quel che dice il regista è condivisibile, ma non possiamo certo definire Nerolio un film inutile, perché costruisce un ritratto inedito di Pier Paolo Pasolini, che non sarà il ritratto più vero ma è la versione d’autore di Grimaldi, che adatta il suo dramma teatrale Sputerò su mio padre alle esigenze cinematografiche. Il film si può suddividere in tre momenti: il viaggio in Sicilia, Roma e l’incontro con un ragazzo, la morte atroce del poeta. I tre episodi sono accompagnati da una voce fuori campo che recita brani tratti dall’opera di Pasolini, mentre la macchina da presa indugia sui volti, sulla carrozza di seconda classe, sul mare, accompagnando lo spettatore in lunghe panoramiche e poetici piani sequenza.

Vediamo i quartieri popolari di Siracusa, il teatro greco, i giovani che giocano al calcio, gli incontri omosessuali in auto con i ragazzi di vita. La fotografia cupa e spettrale in bianco e nero – realizzata da un ispirato Calvesi – è perfetta per il tema affrontato, così come i brani musicali (originali e classici) sono il giusto leitmotiv della narrazione. Grimaldi scrive e dirige il film più consapevole della sua carriera, dedicando attenzione alla figura di Pasolini, descrivendo il suo rapporto con la sessualità, l’amore, la nudità, la religione … Dio, il sesso e l’arte sono le cose più importanti, dirà Pasolini, ma la sola parola da scrivere in maiuscolo è il sesso. 

Grimaldi descrive il rapporto intenso tra il poeta e un ragazzo che finge di chiedere una tesi su di lui per farsi leggere un manoscritto, raffigurando il mondo d’amore di Pasolini, il rapporto con la madre, l’odio verso i critici che non lo capiscono. Al tempo stesso Grimaldi riesce a sputare sul padre, criticando l’ultimo Pasolini, quello che ha avuto successo e si è imborghesito (la trilogia della vita), l’artista fiacco che (a suo parere) non ha più niente da dire, fino alla follia incomprensibile di Salò.

Grimaldi fa parlare Pasolini di omosessualità, di bisessualità, di accettazione e rivelazione di una diversità come atto d’amore e di coraggio, persino di superiorità, ma anche di socialismo e libertà, affermando che Gesù è stato il primo socialista della storia, contro una Chiesa che reprime e condanna la vita naturale. L’ultimo capitolo è il più duro da digerire per chi non può accettare la morte di Pasolini come episodio terminale di una vita condotta sempre sui limiti del baratro.

Grimaldi condivide la tesi di una morte cercata, della sfida al ragazzo di vita che diventa esecutore materiale di un suicidio praticato per interposta persona. Non è andata così, di questo siamo certi, anche dopo le ultime confessioni di Pelosi, ma resta la tesi di un film girato molto bene, interpretato da attori convincenti, fotografato con stile ed eleganza, sceneggiato senza sbavature.

Nerolio non è un lavoro da dimenticare – come scrisse un poco convincente Rondi – ma da studiare per capire il lato più intimo di un grande intellettuale del Novecento, persino la sua parte più sgradevole e meno accettabile. Girato in 16 giorni a Siracusa, autoprodotto dal regista, intriso di sentimento e di pagine grondanti letteratura, Nerolio è politicamente scorretto, per questo viene rifiutato in Italia.

Il Festival di Locarno lo accoglie con i dovuti onori, riabilitando il regista, tutto ciò non basta a scongiurare l’oblio in patria sottolineato da un divieto ai minori di anni 18 e da una distribuzione carente. Se amate l’opera letteraria e cinematografica di Pier Paolo Pasolini procuratevi il DVD. Non resterete delusi.

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