Noi gangster è un film del 1958 diretto dal grande regista francese Henri Verneuil, che anticipa di un anno La vacca e il prigioniero, interpretato dal solo Fernandel, per sfruttare la grande popolarità ottenuta dalla coppia comica Cervi – Fernadel dopo il successo della serie Don Camillo. Infatti quando i due attori interpretano questa deliziosa commedia girata in bianco e nero con un ritmo travolgente, avevano già recitato nei primi tre capitoli della famosa saga, i primi due diretti dal francese Julien Duvivier e il terzo da Carmine Gallone. Noi gangster esce in Francia come Le Grand Chef e non riscuote molto successo, la pellicola viene sottoposta a un processo di colorazione nel 1992 – con il consenso di Verneuil -, ma è pregna di una comicità spontanea e genuina, che resiste al passare del tempo; più farsa che commedia, ma gradevole, ispirata alle comiche del cinema muto, intrisa di momenti slapstick. Verneuil (anche sceneggiatore insieme Jean Manse) adatta per il cinema un racconto comico di O. Henry (Il riscatto di Capo Rosso) che aveva avuto in precedenza altre due trasposizioni da parte di Yasujirō Ozu (Un bambino che non molla mai, 1929) e di Henri King (La giostra umana, 1952). In breve la storia. Antoine (Fernandel) e Paolo (Cervi) lavorano in un autolavaggio, ma un giorno al secondo viene la grande idea di far soldi organizzando il rapimento di un bambino (Papouf, nella finzione Eric), per poter acquistare una pompa di benzina e mettersi in proprio. Il problema è che la vittima designata – il pargolo di un ricco industriale – è una vera peste e i due malcapitati rapitori restano vittime degli scherzi atroci che il ragazzino è capace di inventare. Il finale è imprevedibile, perché i due inetti gangster decidono di restituire il figlio al genitore (che sapeva tutto e se la rideva da lontano) pagando pure una discreta somma al fine di levarselo di torno. Ma non sarà così facile, perché il pestifero Eric è destinato a tornare ogni domenica e a continuare a tormentare la vita dei due amici. Ci sono alcune differenze tra la versione italiana e quella francese (più lunga), sia in una scena nella sala operatoria dell’ospedale (dove il bambino fa finire ricoverato Paolo dopo averli fatto ruzzolare le scale di casa) sia nel finale quando i due ricevono la notizia del ritorno domenicale della piccola peste. “Oddio, domani è domenica. Io il gangster non lo volevo fare!”, esclama nella versione italiana – forse la più azzeccata – il grande Fernandel doppiato dal bravo Carlo Romano. In questo film Fernandel e Gino Cervi non sono rivali come nella saga Don Camillo, ma la comicità si basa sul loro rapporto sodale, sullo stile di Stan Laurel e Oliver Hardy, ma anche di Totò e Peppino, come di Franco & Ciccio. Fernandel è il mamo, lo sciocco bonaccione, mentre Cervi è colui che si crede furbo (ma così furbo non è), in maniera tale che la comicità sgorga proprio dal rapporto (spesso conflittuale) che si crea tra i due personaggi. Saranno vittime entrambi degli scherzi feroci del bambino – un bravissimo Papouf – ma il bersaglio preferito resterà Cervi, proprio per quel suo atteggiamento da burbero inflessibile, che in ogni caso alla fine è sempre disposto a cedere. Un film girato con cura, fotografato in un vivido bianco e nero, montato con i tempi giusti per renderlo ancora oggi godibile e fresco, senza lungaggini di sorta, ma rapido ed essenziale. Inutile dire che i due comici – con loro non si può affermare mai con certezza chi sia la spalla – la fanno da padroni per tutta la pellicola.
Due parole sul regista di origini turche Henri Verneuil (Terkidag, 1920 – Bagnolet, 2002), noto per aver affrontato tutti i generi cinematografici, dal noir al western, passando per commedia, drammatico, spionaggio, poliziesco, bellico, rosa, road-movie e biografico, senza dimenticare l’avventura, il thriller, il gangster-movie (Noi gangster è una sorta di parodia) e il cinema di denuncia sociale. Forse il solo genere che manca è il cinema dell’orrore, che non era nelle sue corde. Tra le opere migliori: Il serpente (1973), Gli scassinatori (1971) e gli autobiografici Mayrig (1991) e Quella strada chiamata paradiso (1992), interpretati da Omar Sharif e Claudia Cardinale, veri e propri inni alla famiglia e al ricordo delle proprie origini. Vince il Premio César alla carriera nel 1996, insieme a Lauren Bacall.
Regia: Henri Verneuil. Soggetto: O. Henry (Il riscatto di Capo Rosso). Sceneggiatura: Jean Manse, Henry Verneuil. Fotografia: Roger Hubert. Montaggio: Borys Lewin. Musiche: Gérard Calvi. Scenografia: Robert Clavel, Pierre Charron. Produttori: Joseph Bercholtz, Henry Deutschmeister. Casa di Produzione: Franco London Film. Genere: Commedia. Dati Tecnici: B/N (poi colorata). Durata: 89’. Distributore (Italia): Cineriz. Interpreti: Fernandel (Antoine), Gino Cervi (Paolo), Papouf (Eric Jumelin), Jean-Jacques Delbo (Alain Jumelin, padre di Eric), Georges Chamarat (maggiordomo della famiglia Jumelin), Nöelle Norman (Mme Jumelin, madre di Eric), Florence Blot (infermiera che accompagna Eric), Albert Michel (vicino), Dominique Davray (vicina), Héléna Manson (guida del Louvre), Maurice Nasil (detective), Marc Decock (figlio dei vicini), Madeleine Barbulée (signora che ha le visioni), Georges Bever (marito della signora che ha le visioni).