In genere, si è portati a credere che quello che non si vede e non si tocca con mano non inquina.
Se si guarda al fumo che esce dalle ciminiere di un impianto industriale, il pensiero va subito alle emissioni di CO2 che si stanno riversando nell’ambiente. Lo stesso se si guardano le automobili, magri qualche motore diesel “vecchio” modello: la mente va subito al confronto con l’auto elettrica, secondo alcuni più “verde” e rispettosa dell’ambiente. E così per l’alimentazione o per l’abbigliamento: alzi la mano chi, gustando un doppio hamburger in un fast food ha mai pensato che quello che si sta mangiando sia tra i cibi maggiori responsabili di emissioni di CO2 (e di consumo di acqua virtuale).
Quando, però, si tratta di qualcosa che non si vede, nessuno pensa che possano essere fonte di emissioni di CO2. Niente di più sbagliato.
Una delle maggiori fonti di emissioni di CO2 è proprio l’invisibile “internet”. Recentemente, la MIT Technology Rewiew, ha ribadito che “L’industria dell’intelligenza artificiale … il processo di deep learning ha un impatto ambientale enorme”. A confermarlo i risultati dello studio “Energy and Policy Considerations for Deep Learning in NLP” condotto da Emma Strubell, Ananya Ganesh e Andrew McCallum dell’università del Massachusetts. Secondo i ricercatori “Il processo può emettere più di 626.000 libbre di anidride carbonica equivalente, quasi cinque volte le emissioni dell’intera vita di un’auto americana media (includendo anche la produzione dell’auto)”.
“Stimare quel che accade, con precisione, è il primo passo per migliorare la situazione. E noi non lo stiamo facendo”, ha dichiarato Yoshua Bengio, esperto informatico vincitore del Premio Turing 2018 per i lavori sull’intelligenza artificiale. Le sue ricerche hanno dimostrato che l’aumento a dismisura dell’uso del digitale e degli algoritmi potrebbero avere conseguenze pesanti per l’ambiente. Solitamente nessuno pensa a quanto gas serra sta emettendo quando usa il computer o un cellulare o quando naviga in rete. “Quantità enormi, con buona probabilità”, ha detto Bengio. “Per averne un’idea e per arrivare a una qualsiasi possibile regolamentazione, bisogna iniziare a misurare”. A cercare di farlo è stato CodeCarbon, un software opensource sviluppato dal Montreal Institute for Learning Algorithms (Mila), assieme a Bcg Gamma, Haverford College e Comet. I risultati ottenuti sono impressionanti: le emissioni di CO2 legate all’uso dei computer, dei cellulari e, in generale, al trasferimento dei dati sarebbero tali da fare di internet il quarto responsabile mondiale di emissioni di CO2 (dopo Cina, Stati Uniti e India). Secondo alcune stime, tra gadget hi-tech, videogiochi, server e algoritmi, il web produrrebbe circa un miliardo e 850 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Complessivamente internet emetterebbe più CO2 di un Paese come il Giappone. Ogni giorno sono decine, centinaia di milioni le persone collegate alla rete per guardare film in streaming. Ebbene, solo questo settore sarebbe responsabile di emissioni di CO2 per circa 300 milioni di tonnellate. Più di un Paese come la Spagna nel suo complesso. Nel Regno Unito, alcuni ricercatori hanno calcolato che basterebbe utilizzare la posta elettronica in modo attento, magari evitando di spedire messaggi inutili, per risparmiare la stessa CO2 che viene emessa da 3.300 macchine diesel.
I maggiori responsabili delle emissioni di CO2 legati all’informatica sarebbero i grossi computer (responsabili di circa il 30 per cento dei consumi). Ma anche l’impatto dei computer da tavolo e dei portatili non è da meno. Ancora una volta sono i numeri a dimostrarlo. Se si pensa ad un elettrodomestico che consuma molta energia (e quindi responsabile di grandi emissioni di CO2) si pensa al frigorifero. Ebbene, mediamente, un frigorifero di classe C+ consuma in un anno quasi duecento kWh. Del suo impatto sull’ambiente il consumatore medio si accorge quando paga per i consumi di energia elettrica. Al contrario, quando si pensa ad un cellulare la semplice ricarica richiede molta meno energia. Questo porta l’utente a non tenere conto del fatto che, oltre alla CO2 emessa per ricaricare il dispositivo, se ne produce molta di più per garantire tutti i servizi connessi alla gestione della rete: dall’hosting dei siti web alle server farm per salvare video, immagini, applicazioni e molto altro. Guardare 10 minuti di un film in alta definizione genera le stesse emissioni di CO2 di tre minuti di un forno elettrico da 2.000W. L’unica differenza è che la prima il consumatore non la paga direttamente. La seconda sì. L’energia consumata per vedere film in streaming viene consumata dal server. Guardare un video in streaming richiederebbe, dal lato del server, circa 1.500 volte l’energia usata dallo smartphone per visualizzarlo.
Nel 2018, a livello mondiale, più del 50% della popolazione era connessa online, il 68% possedeva un telefono cellullare (con percentuali in continua crescita). Google resta il sito più cercato seguito da Facebook e YouTube. Il traffico complessivo di dati sull’intera rete internet supera i 1600 exabytes (1600 miliardi di gigabytes). Nessuno pensa che ogni gigabyte trasmesso comporta un consumo di energia responsabile di circa 7 Kg di emissioni di CO2. Questo dovrebbe farci comprendere quante tonnellate cubiche di anidride carbonica vengono emesse “a causa di internet” e quanto questo numero sia destinato a crescere.
Il problema è che la nostra percezione è distorta dall’idea che la rete internet, in buona parte immateriale, non abbia conseguenza sull’ambiente. Anzi che il suo utilizzo sia più ecologico e più vicino alle tematiche del cambiamento climatico, rispetto ad altri sistemi.
Ma non è così.