“Non sposate le mie figlie”, commedia non politicamente corretta ma riuscita

Articolo di Gordiano Lupi

Il titolo italiano Non sposate le mie figlie rende molto meno dell’originale francese Qu’est-ce qu’on a fai au Bon Dieu? (Che cos’ho fatto al buon Dio?), mentre il sequel rimarca Qu’est-ce qu’on a encore fait au bon Dieu? (Che cos’ho fatto ancora al buon Dio?). Commedia francese delle migliori, tendente al farsesco, divertente e originale come poche, soprattutto perché non politicamente corretta. Christian Clavier e Chantal Lauby sono i tradizionalisti coniugi Verneuil, che vivono in provincia e devono vedere le loro tre figlie sposare rispettivamente un ebreo, un algerino e un cinese. Non è finita, perché nel corso del primo film l’ultima figlia sposerà un nero, con tutti gli equivoci del caso tra genitori, sia il nero che il bianco razzisti nell’anima. Il divertimento è assicurato, perché ogni attore recita battute e subisce apprezzamenti ironici legati alla propria appartenenza razziale, con grande sfoggio di luoghi comuni  e pregiudizi, francesi come italiani. Non manca un prete di campagna che spesso ride in faccia ai coniugi Verneuil – cattolici tradizionalisti – che non riescono a celebrare un matrimonio in chiesa, uno sposalizio normale, come loro lo definiscono.

Il secondo film è un po’ più fiacco, arriva cinque anni dopo, sull’onda del successo della prima pellicola e inserisce la sola variabile mancante: una figlia omosessuale che vuol sposare una donna. In questo caso non è una Verneuil (le figlie sono finite), ma la figlia dei generi africani, con il padre che accetta il fatto compiuto solo dopo aver rischiato l’infarto. Ben tipizzati i personaggi, anche se spesso caricaturali, da una figlia depressa cronica che dipinge croste immonde, a un cinese affarista, passando per un ebreo del tutto incapace di gestire l’economia, un nero che tenta di fare l’attore e un musulmano in perenne lite con l’israeliano. I coniugi Verneuil sono irresistibili, soprattutto il padre (Clavier) con le sue battute di un razzismo involontario e di un’ironia spiazzante. La madre (Lauby) è una cattolica in crisi depressiva, tradizionalista come il marito, perché nel secondo film, di ritorno dal giro del mondo, si abbuffa di vino e formaggio francese per riprendersi dallo choc subito. Incasso del primo film stratosferico, il migliore del 2014, tra i dieci migliori incassi francesi della storia, a dimostrazione che il politicamente scorretto paga. In Italia il sequel è uscito nel 2019, mentre entrambe le pellicole sono state presentare da Rai Uno, a giugno 2021, in due serate che hanno fatto registrare ottimi ascolti.

Regia: Philippe de Chauveron. Soggetto e Sceneggiatura: Philippe de Chauveron,
Gay Laurent. Fotografia: Vincent Mathias (2014), Stephan Leparc (2019). Montaggio: Sandro Lavezzi. Musiche: Marc Chouarain. Produttore: Roman Rojtman. Casa di produzione: Les Films du 24. Distribuzione Italia: 01 Distribution. Durata:  (2014) 97’; (2019) 99’. Genere: Commedia. Interpreti: Christian Clavier (Claude Verneuil), Chantal Lauby (Marie Verneuil), Ary Abittan  (David Benichou), Frédéric Chau (Chao Ling), Frédérique Bel (Isabelle Verneuil), Elodie Fontan (Laure Verneuil), Medi Sadoun (Rachid Benassem), Noom Diawara (Charles Koffi), Pascal N’Zonzi (André Koffi), Julia Piaton (Odile Verneuil), Émilie Caen (Ségolène Verneuil), Salimata Kamate (Madeleine Koffi), Tatiana Rojo (Viviane Koffi), Élie Semoun (lo psicologo).

Related Articles