Si torna a parlare di acciaio (ma per una volta non c’entra solo l’ILVA).
Federacciai, la Federazione delle imprese siderurgiche italiane, ha firmato un protocollo d’intesa con il gruppo francese EDF e gli italiani Edison, Ansaldo Energia e Ansaldo Nucleare. Obiettivo dell’accordo sarebbe fare dell’Italia “la prima nazione in Europa e nel mondo a produrre acciaio “green” grazie a un mix energetico che include il nucleare”.
In Italia, non uno ma ben due referendum popolari hanno detto no all’energia nucleare: il primo nel 1987 e il secondo nel 2011.
Nonostante la chiara volontà popolare, il governo ha deciso di fare di testa propria e tornare a parlare di energia prodotta da centrali nucleari. Il governo Meloni ha infatti approvato il Piano Nazionale Energia Clima (PNIEC) che prevede di coprire con il nucleare l’11% del mix energetico nazionale entro il 2050.
Una decisione sbandierata dal governo che ha parlato della possibilità di fare dell’Italia un paese leader nella produzione di acciaio “sostenibile”, di “green steel”. Chiaro il riferimento non alla riduzione dei consumi energetici in assoluto ma al ricorso al nucleare come fonte energetica.
Il punto è che l’energia nucleare è verde solo per ciò che riguarda le minori emissioni di CO2. Per il resto definire green il nucleare è tutta un’altra storia.
Contro la proposta del governo sono molte le associazioni che hanno reagito duramente. In un comunicato Greenpeace Italia, Kyoto Club, Legambiente, Transport&Environmen e Wwf Italia hanno evidenziato come l’inserimento nel Pniec del nucleare sia “totalmente irrazionale”. Una decisione che non sarebbe giustifica proprio dal tanto sbandierato spirito ambientalista. Secondo le associazioni ambientaliste, infatti, comporterebbe “rilevanti rischi ambientali”. Per non parlare del fatto che la “apertura alle tecnologie nucleari fissili, che in realtà nulla hanno di nuovo (ad iniziare dai fallimentari Small modular reactor), dopo che in Italia ben due referendum si sono espressi in senso contrario, avrebbe comunque tempi ben più lunghi di quelli dettati dalla traiettoria della transizione”.
Il punto è che sono molti gli studi che lo confermano: ad oggi, le uniche fonti energetiche green sarebbero quelle l’energia solare (termica e fotovoltaica) e l’eolica (sebbene in entrambi i casi ci siano già delle critiche sull’impatto ambientale degli impianti). Alcune ricerche indicano che il nucleare, anche quello di ultima generazione, non è affatto conveniente come viene sbandierato da molti politici. Pochi giorni fa, anche il governo della Scozia ha confermato che è più vantaggioso ricorrere a eolico e solare invece che produrre energia ricorrendo ai tanto sbandierati mini reattori nucleari di “ultima generazione”. Alla base della dichiarazione del governo scozzese ci sarebbero le ricerche condotte a novembre 2023 dal Dipartimento per la sicurezza energetica e net zero (DESNZ), Spesa per il nucleare e le alternative rinnovabili: rilascio EIR – gov.scot (www.gov.scot) dalle quali emerge che, a conti fatti, i costi di generazione dell’eolico offshore, dell’eolico onshore e del solare su larga scala sono molto più bassi rispetto a quelli del nucleare. Anche l’Agenzia internazionale dell’energia avrebbe confermato che, nel continente europeo, il ricorso alle energie rinnovabili continuerà ad essere più conveniente rispetto al nucleare.
L’impatto sull’ambiente dei reattori nucleari era e resta elevato. Anzi, secondo un rapporto della Stanford University e della University of British Columbia, i mini reattori nucleari produrrebbero molte più scorie radioattive rispetto alle centrali convenzionali. Nuclear waste from small modular reactors | PNAS Scorie per le quali, tra l’altro, l’Italia non è ancora riuscita a individuare un adeguato luogo di deposito.
Ecco, è questa l’altra faccia della medaglia: vero che il ricorso all’energia nucleare potrebbe (in parte) ridurre le emissioni di CO2 ma lascerebbe sulle spalle degli italiani il problema della gestione delle centrali e delle scorie. E per un tempo lunghissimo. Tutto questo per cosa? Per sbandierare a Bruxelles di aver fatto dell’Italia un nuovo polo della siderurgia? In realtà, in tutti i paesi europei questo settore è da anni in crisi, non solo per i costi elevatissimi, ma anche per la concorrenza che arriva da alcuni paesi extracomunitari (senza contare i danni all’ambiente e alla salute dei cittadini). In Europa, la produzione di acciaio è in calo. Metà della forza lavoro è in cassa inteegraizone o a orario ridotto. Una situazione che a lungo è stata nascosta. Ma che nel 2020, è venuta a galla con l’European steel action day, organizzato da industriAll Europe. Cercare di salvare il settore della siderurgia è un accanimento terapeutico: in Italia si regalano miliardi di euro per salvare alcune imprese del settore colpevoli di danni incalcolabili alla salute dei decine di migliaia di persone, ma nel resto d’Europa si continuano a chiudere le imprese del settore. Basti pensare che nell’ultimo periodo, in Europa questo settore ha perso 90 mila posti di lavoro. Nello stesso periodo, mentre la produzione di acciaio in Europa diminuiva, nel resto del mondo è aumentata. Oggi la quota di produzione UE di acciaio è inferiore al 10% del totale mondiale. Anche colossi dell’acciaio come ThyssenKrupp, hanno manifestato l’intenzione di disfarsi di tutti gli asset siderurgici del Gruppo (compresa l’Ast di Terni). E così il colosso indiano Tata Steel che ha parlato di smembrare le proprie attività siderurgiche in Europa, chiudendo impianti e tagliando migliaia di posti di lavoro, per sopravvivere alle difficili condizioni di mercato.
In questa situazione cosa fa il governo? Senza tenere in alcuna considerazione la volontà dei cittadini, pensa a rilanciare un settore in crisi e in perdita e che causa danni enormi sulla salute delle persone che vivono vicino agli insediamenti produttivi. Per non parlare del fatto che l’utilizzo del nucleare per il settore siderurgico potrebbe essere solo una scusa: la decisione del governo di inserire nel Piano nazionale integrato energia e clima inviato a Bruxelles dal ministero dell’Ambiente, prevede di produrre fino a 8GW entro il 2050 per coprire l’11% della richiesta nazionale, ma anche di aumentare questa quota fino al 22%. Ma la domanda di energia da parte del settore siderurgico in Italia non richiede il 20% dell’energia. La decisione del governo quindi potrebbe non avere nulla a che vedere con la fornitura di energia ad un settore produttivo in crisi, ma un cambio di rotta verso il nucleare. In barba alla volontà dei cittadini.
Con il nuovo piano il governo ha deciso di risolvere solo uno dei problemi del settore siderurgico. Senza pensare alle conseguenze di questa decisione. Non ultima la scelta di non rispettare la volontà popolare.