Una nuova presentazione in grande stile di una misura di politica estera da parte del governo Meloni. E una nuova (potenziale) gaffe.
Qualche mese fa, fece discutere la decisione del governo di spedire in Albania i richiedenti asilo arrivati nelle acque territoriali italiane. Una misura per settimane coperta dal mistero che alla fine si dimostrò discutibile prima ancora di essere realizzata. Pochi i posti per i migranti (tremila, a rotazione, a fronte di oltre centomila migranti in Italia) e molti i costi. Ma soprattutto un rischio concreto di commettere gravi violazioni dei diritti umani.
Ora ci riprova. Forse per distrarre l’attenzione da ciò che avviene all’interno dei confini nazionali, forse per vantarsi davanti alla von der Leyern, è stata lanciata una nuova misura destinata all’estero. Questa volta in Africa, dove di dovrebbe realizzare il nuovo “Piano Mattei”. La Meloni ha “presentato” il progetto del governo con un vertice Italia-Africa in pompa magna nell’aula del Parlamento. Un progetto tante volte annunciato, ma senza mai fornire dettagli. Ora, con la conversione in legge del decreto che ne definisce struttura di missione e governance, le idee dovrebbero essere più chiare. Il condizionale è d’obbligo. c’è stato chi ha accusato il “nuovo” Piano di essere una nuova forma di colonizzazione. A confermarlo la presenza alla manifestazione di alcune grosse aziende partecipate dello Stato come Eni, Snam e Terna (e altre).
Sulla carta il Piano Mattei per l’Africa del governo Meloni dovrebbe basarsi su cinque settori. Il più importante – che sorpresa! – è quello dell’Energia. Obiettivo primario rendere l’Italia un “hub energetico, un vero e proprio ponte tra l’Europa e l’Africa”. In altre parole, potenziare lo sfruttamento delle risorse di alcuni Paesi africani per produrre energia da “importare” in Italia. Ma per farlo servono diverse risorse locali. Ecco quindi, l’Acqua, il secondo settore: è prevista la perforazione di pozzi e investimenti sulle reti di distribuzione e (forse) qualche azione di sensibilizzazione sull’uso di acqua potabile. Ma non basta. Non tutta la manodopera può essere importata dall’Europa o dall’Italia. E allora, altro settore fondamentale sono l’istruzione e la Formazione: è previsto l’avvio di corsi professionali e di formazione in linea con i “fabbisogni del mercato del lavoro” anche grazie alla collaborazione con le imprese italiane. Parlare di formazione in un continente dove meno del 40% delle ragazze nell’Africa sub-sahariana completa la scuola secondaria inferiore (dati ONU in occasione della Giornata mondiale dell’Educazione celebrata pochi giorni fa) dimostra che forse il vero obiettivo non è “educare”, ma formare manodopera da impiegare nelle aziende che parteciperanno al Piano. Altro settore del Piano Mattei è l’Agricoltura. Qui la questione si fa delicata. Da un lato si parla di diminuire i tassi di malnutrizione. Dall’altro, però, si torna a parlare di energia sostenendo lo sviluppo dei bio-carburanti non fossili. “In questo quadro si ritengono fondamentali lo sviluppo dell’agricoltura familiare, la salvaguardia del patrimonio forestale e il contrasto e l’adattamento ai cambiamenti climatici tramite un’agricoltura integrata”, ha detto il governo nel documento di presentazione. Ultimo settore del Piano, la Salute.
Cinque settori, cinque “pilastri” che dovrebbero essere realizzati nei prossimi quattro anni. “Dovrebbero” perché, in realtà, anche su questo non c’è alcuna certezza. Il tutto con un costo non indifferente per le tasche degli italiani. Il “Piano Mattei può contare su una dotazione iniziale di oltre 5,5 miliardi di euro tra crediti operazioni a dono e garanzie”, ha spiegato Giorgia Meloni alla conferenza Italia-Africa. Ancora una volta poche certezze. Ad essere noti finora sarebbero solo i costi di “gestione” del Piano, contenuti nel decreto approvato dal governo e convertito in legge dal Parlamento: 8,4 milioni di euro fino al 2026, circa 2,8 ogni anno. “Certo, non basta – ha dichiarato la Meloni – per questo vogliamo coinvolgere le istituzioni internazionali e altri Stati donatori”. “Donatori”? Anche su questo poche le certezze: chi sarebbero questi Stati “donatori”?
L’aspetto più importante di tutto il nuovo Piano Mattei però sarebbe è che, a quanto emerge dalla dichiarazione del delegato dell’Unione Africana, il governo avrebbe fatto i conti senza l’os(pi)te.
A sottolinearlo, durante la manifestazione, è stato il presidente della Commissione dell’Unione Africana, Moussa Faki, che non ha usato mezzi termini. Dure le critiche al governo italiano per la “mancata consultazione” al momento di elaborare il piano. “Non è una scatola chiusa, ma una piattaforma programmatica aperta alla condivisione”, si è precipitata a giustificarsi la premier.
Ci sarebbe però un altro problema. Alcuni hanno notato l’assenza di alcuni Paesi. Tra questi, prima di tutto la Nigeria. Si tratta di un’assenza importante. Non solo perché si tratta di uno dei più grandi Paesi al mondo per numero di abitanti: in Nigeria vive oltre un miliardo di africani, circa un sesto dell’intera popolazione del continente. La Nigeria è considerata la grande “bomba demografica” dei prossimi anni secondo le previsioni di molti esperti. Ma soprattutto per il fatto che il presidente nigeriano, Bola Tinubu, avrebbe preferito andare in “vacanza” in Francia invece che partecipare all’incontro organizzato dalla Meloni. Un gesto politicamente importante. Tinubu, chiamato “Jagaban” (“leader dei guerrieri” dai suoi sostenitori, dagli oppositori è chiamato il “padrino”. DI certo anche a causa della sua capacità di pesare politicamente e di mettere insieme partiti all’opposizione. Attivo da molti anni, nel 2015 salì al potere battendo il partito allora al governo il PDP. Un evento più unico che raro in Nigeria come in molti altri Paesi africani dove è raro che gli “incumbent” vengano sconfitti. Lui lo ha fatto. Pare anche grazie agli accordi con le persone giuste. Un aspetto che chi vuole fare affari in Africa non dovrebbe trascurare.