Occorre riflettere (seriamente) sul tema delle carceri

Articolo di Massimo Rossi

A Sofia con immenso amore

(la difesa dei più fragili è una missione)

La riflessione di questi giorni del nostro Presidente della Repubblica è un segnale alto e determinante nella più ampia questione carceraria è un monito che va ascoltato e condiviso.

In estate è, ormai, un mantra ossessivo quello delle grida di aiuto dei detenuti che soffrono in luoghi per lo più inadeguati e non confacenti al vivere umano.

Sono grida più che giustificate, ma puntualmente disattese sia da governi progressisti sia da governi conservatori.

La verità è che il ragionare seriamente, e non a “spot”, come fanno organismi forensi, unici ad impegnarsi almeno ad evidenziare l’enorme problema in atto da decenni, non risolve il profondo disagio in cui vivono migliaia di persone detenute.

Riteniamo, però, che il tema non possa e non debba essere affrontato in modo superficiale ed occasionale (es. con una amnistia come si sente paventare e preannunciare), ma in maniera approfondita e competente magari urtando anche la suscettibilità di taluno.

La politica è scelta e la scelta implica soggetti che approvano e soggetti che dissentono.

Tutto questo è nel naturale e logico procedere delle cose e più esattamente nel sistema bilanciato di una democrazia matura.

  1. Oggi perché il carcere?

Prima di tutto, si deve rispondere a questa domanda che in apparenza potrebbe sembrare banale o, addirittura, priva di un senso reale.

Invece, riteniamo che sia il cuore giuridico, etico, filosofico e culturale del problema che intendiamo mettere a fuoco.

I sistemi giudiziari (tutti) hanno trovato come “rimedio” al comportamento posto in essere dal reo quello di isolarlo dalla società civile per un dato tempo (o per sempre nei casi più gravi).

L’isolamento avrebbe portato il reo in un luogo chiuso nel quale non c’era rischio di reiterazione del comportamento a tutela della società tutta.

Se poi il comportamento è ritenuto molto grave tale contesto ed isolamento inizia già nella fase pre-processule, ovvero, nella fase cautelare (di qui, le misure cautelari).

La filosofia che sostiene l’esigenza del carcere è quella di isolare il reo in quanto soggetto che ha possibilità di commettere nuovamente il reato o aggravarlo e nel contempo tutelare i diritti della collettività.

Con la pena definitiva il reo viene incarcerato perché la detenzione con un percorso (che, vedremo, allo stato non esiste) dovrebbe recuperare il reo e renderlo pronto ad un nuovo inserimento nella realtà sociale (art. 27 Cost.).

Quindi, il carcere è una pena per i detenuti che punta alla loro rieducazione e nel contempo al loro contenimento.

Se così è, e pare che sia così, viste le norme ordinarie e quelle di rango costituzionale, va da se che il detenuto è un soggetto che nel momento in cui entra nel circuito penitenziario è sotto la “protezione” e la “tutela” dello Stato.

Protezione e tutela sotto il profilo sia psicologico e sia fisico.

Il carcere ha un ruolo rieducativo solo se il reo prende consapevolezza della antigiuridicità e lesività del comportamento da costui posto in essere e segue un percorso risocializzante ed effettivo.

In difetto, è tempo buttato via o peggio è tempo in cui il detenuto consolida l’idea che la detenzione sia stata un evento subìto.

  • Quali le conseguenze della detenzione e l’obbligo di tutela e protezione dello Stato nei confronti dei detenuti?

Qui, veniamo ad un tema molto importante che spesso la massa confonde e qualche politico, pure.

Il detenuto è e resta una persona che è titolare di diritti soggettivi e di diritti costituzionali garantiti.

Il detenuto non può subire violazioni della sua persona e non può subire pressioni psicologiche di alcun tipo nel tempo della detenzione.

Tali eventuali comportamenti nei confronti del detenuto devono essere perseguiti ed il detenuto messo in sicurezza rispetto a tali comportamenti (si veda il reato di tortura – art. 613-bis c.p.).

Tutto ciò è essenziale per comprendere il valore della persona detenuta che non può e non deve essere trattata violando i suoi diritti soggettivi ed i diritti costituzionali riconosciuti ed inviolabili.

Detta in parole molto povere, ma comprensibili: il detenuto è persona e rimane tale e mai “oggetto” (termine brutto ma che fa rendere l’idea del concetto).

La detenzione deve essere umana e tutelare l’umanità del condannato.

Alla base – peraltro – di questo ragionamento troviamo la ragione stessa della rieducazione e del rinserimento sociale che è possibile solo con uno stato di detenzione umano e soggettivamente orientato.

Tutto questo – lo diciamo subito – nel nostro sistema carcerario è molto raro da trovarsi e da verificarsi.

Non vogliamo sostenere che sia inesistente, ma poco ci manca.

C) Quali sono le condizioni reali delle carceri in Italia?

La realtà carceraria in Italia (salvo delle lodevoli e rare eccezioni) è disastrosa.

Lo è sotto il profilo degli edifici che sono fatiscenti e non manotenuti, lo è sotto il profilo della capienza degli istituti stessi, sempre di gran lunga superata nei valori massimi, lo è sotto il profilo delle guardie carcerarie (polizia penitenziaria) che sono sempre in sotto numero e costretti a turni supplementari estenuanti, lo è sotto il profilo della carenza o totale mancanza delle strutture educative, formative e ricreative all’interno degli istituti di pena.

I detenuti – per lo più stranieri – sono tenuti come “sardine in scatola” senza alcuna attività e senza alcun futuro.

Ma così, ovviamente, non si rieduca, così si incattivisce la persona e si rende la persona ostile rispetto al sistema ed al mondo esterno.

Le carceri devono essere completamente ripensate come struttura fisica, come spazi interni e come presenza di educatori e personale non penitenziario.

Il carcere non può e non deve essere un luogo dove il detenuto viene buttato senza un futuro, ma un luogo nel quale attraverso gli strumenti della struttura medesima si attua quel percorso rieducativo necessario e doveroso.

Si deve, sicuramente, partire dai punti sopra indicati con un progetto valido e con l’impiego di fondi.

Poter rieducare e poter reinserire soggetti rieducati nella società significa avere raggiunto il traguardo indicato dalla Costituzione e si tratta di salvare vite (quelle dei detenuti e quelle delle future e potenziali vittime).

La necessità di ciò è cogente e deve essere fatto un lavoro adesso (il Dott. Nordio, in tal senso, si sta muovendo molto bene, D.L. 4/7/24 n. 92 che sarà presto convertito in legge ma non basta, occorre organicità).

Non si può più attendere ed i fondi del PNRR, tanto decantati, devono essere impiegati anche in questa direzione (il Ministro dott. Carlo Nordio lo sta facendo).

  • La presenza numerosa di soggetti in misura cautelare.

Le carceri ospitano detenuti definitivi, sui quali faremo delle considerazioni più avanti e dei detenuti in misura cautelare.

Le misure cautelari sono quelle disposizioni che l’ordinamento prevede in casi specifici ed in condizioni normatizzate.

Nel nostro sistema, in grande parte, si abbonda in misure cautelari (spesso contro politici, come non ricordare la stagione di MANI PULITE) e si fa un uso delle stesse smodato anche in presenza di reati non violenti e di soggetti non socialmente pericolosi.

Non vogliamo criticare provvedimenti giudiziali che le applicano, ma è indubbio che le misure cautelari sono, oltremodo, sovrabbondanti ed anticipano pene che poi, in molti casi, non vengono neppure applicate; aprendo le strade a indennizzi per ingiusta detenzione che paga la collettività (milioni e milioni ogni anno).

Questi si chiamano “errori giudiziari” commessi dai magistrati ma che paga la collettività.

Se è legittimo applicare misure cautelari in casi di grave violenza e reati contro la persona (tra l’altro è proprio in questi reati che i magistrati sono parchi) è molto meno spiegabile applicare le stesse in casi quali quelli dei reati contro al PA (dove al contrario le misure abbondano e bollano l’individuo in modo definitivo nella sua funzione politica con un evidente violazione dell’equilibrio dei poteri).

In questi casi, basterebbe l’interdizione ed al più i domiciliari (che sono sempre una misura cautelare personale restrittiva).

La presenza di troppi soggetti in misura cautelare nelle carceri non è responsabilità né dei PM né dei GIP che svolgono il loro lavoro seguendo le norme, ma di in sistema processuale che non consente una definizione del processo in tempi ragionevoli e brevi (al contrario di quanto recita la Costituzione).

Le ragioni di tale dilatazione dei tempi del processo sono molteplici:

a) troppo pochi magistrati, b) troppo pochi cancellieri, c) una non corretta applicazione dei sistemi informatici (anche perché il penale non è stato fornito), d) una messe di fattispecie di reato che andrebbero riviste ed abrogate.

Insomma, il processo penale assomiglia molto ad un imbuto che capta una serie molto ampia di reati, ma che ha una forte strozzatura nella definizione delle responsabilità e del processo.

È ovvio che così facendo chi è attinto da misure cautelari in carcere rischia di passare una buona parte della pena (se mai sarà camminata) prima della sua definizione con sentenza definitiva.

I soggetti meno abbienti e stranieri, in generale, hanno un elevato grado di probabilità che ciò accada loro.

Non abbiamo la soluzione “in tasca”, ma tentiamo di suggerire qualcosa, speriamo, di utile.

In primo luogo, un massiccio aumento di magistrati (qualificati e preparati, magari anche presi tra le fila degli avvocati, con esperienza ultra ventennale), un massiccio aumento di cancellieri per i Tribunali e segretari per la Procura scegliendo, gli stessi, in particolare in base alle competenze informatiche, informatizzare seriamente i sistemi e non farlo in modo approssimativo, fornire le pec ufficiali per ogni Tribunale e Procura della Repubblica d’Italia ad ogni Ordine Forense, un elenco che abbia valore di legge (e non che si debba sempre fare ricorso a ricerche del momento ed all’intuito occasionale), depenalizzazione ed attuazione di un sistema di recupero delle sanzioni amministrative efficace, munire tutti i cittadini Italiani di una pec (gratuita per i primi due anni e poi a € 10,00 all’anno) risparmiando sulle notifiche di tutti gli atti civili e penali (atti di esecuzione e quanto altro), per i cittadini stranieri rendere noto, dopo la prima notifica che ogni altra notifica sarà fatta all’Ambasciata o Consolato del loro Paese e che devono essere loro ad informarsi (il processo non può non celebrarsi perché lo straniero si rende irreperibile per sua scelta), applicazione quando è possibile di sistemi di rilevazione del soggetto (braccialetti elettronici o quanto altro sia utile), in modo tale che lo stesso sia sempre monitorato.

Tutto questo velocizzerebbe il sistema e consentirebbe una detenzione per le misure cautelari in carcere molto sporadica, se non, addirittura, eccezionale.

La detenzione cautelare deve essere una eccezione riservata solo ai soggetti pericolosi socialmente e che sono accusati di reati gravi o gravissimi contro la persona, lo Stato e le sue Istituzioni, la collettività, la salute pubblica dei cittadini, reati contro il patrimonio naturale, culturale e paesaggistico, reati contro l’ambiente.

Come è noto la misura cautelare di per se limita il diritto di difesa e ciò può essere legittimo, ma solo in una relazione di bilanciamento d’interessi.

  • La presenza numerosa di detenuti stranieri: situazione, conseguenze e rimedi possibili.

La presenza di detenuti stranieri (in misura cautelare o in via definitiva) reclusi nelle nostre carceri deve essere risolta una volta per tutte; ha costi elevati e non ha giustificazione alcuna.

Nell’assoluto rispetto delle leggi nazionali e di quelle internazionali bisogna assolutamente pensare a dislocare i detenuti stranieri (anche appartenenti alla UE) nei loro paesi d’origine, dove sconteranno la pena inflitta dai Tribunali Italiani.

Sicuramente per quelli definitivi non vi sono problemi particolari a meno che nel loro Paese non vi siano condizioni di rischio effettivo per la loro vita ed incolumità.

La dislocazione nelle carceri del Paese di provenienza con trattati ad hoc consentirebbe uno svuotamento dei nostri istituti di pena, un alleggerimento per la Polizia Penitenziaria ed un risparmio economico non indifferente.

Ribadiamo nel rispetto delle leggi interne ed internazionali, ma non è possibile pensare di tenere nei nostri istituti, alle spese del nostro Stato e della collettività italiana, soggetti che poi devono essere espulsi (altro rimedio troppo poco praticato).

L’espulsione è un altro strumento che deve essere attuato ogni qual volta sia possibile con schedatura (brutta parola ma utile strumento che anche in Paesi occidentali e democratici esiste quali gli USA e la Gran Bretagna) dei soggetti e, quindi, con un reale controllo in caso di un nuovo ingresso (ovviamente vietato e clandestino) nel nostro Paese.

Appare intollerabile ed insostenibile quanto oggi viene fatto su i provvedimenti di espulsione.

Sono provvedimenti giudiziali soggetti ad impugnazioni, ma quando diventano definitivi il soggetto deve essere individuato ed espulso senza se e senza ma (e prima monitorato); la realtà è che si dilegua ed evapora.

Quindi, una riforma che porti (quando è possibile) ad una espiazione della pena nei Paesi d’origine è in atto doveroso e risponde a necessità logistiche e giuridiche, oltre che economiche.

  • Una nuova edilizia carceraria è possibile e assolutamente necessaria.

Posto tutto quanto sopra espresso in termini di concrete riforme e rimedi (non abbiamo la presunzione di avere risolto tutti i problemi, ma certo così non si può andare avanti) bisognerà mettere mano ad una ristrutturazione della edilizia carceraria.

Posto che con i braccialetti elettronici, la depenalizzazione, la dislocazione nei Paesi di origine dei detenuti definitivi, attuazione di lavori socialmente utili che devono essere fatti svolgere dai detenuti meno pericolosi, il c.d. sovraffollamento si dovrebbe ridimensionare (molto è stato fatto dal Governo Meloni e dal dicastero guidato da Nordio), occorre, però, pensare a carceri che inglobino e siano più umane e siano:

  1. luoghi di studio, b) luoghi di svago, c) luoghi di impegno lavorativo, d) luoghi di incontro con le famiglie, e) reale possibilità di trovare una collocazione lavorativa dopo un percorso carcerario.

Luoghi di detenzione dove attuare ed attivare sistemi di videosorveglianza totale, riducendo il contatto detenuto/polizia penitenziaria che dovrebbe essere adibita, massimamente, ad un controllo generale dell’istituto, luoghi dove educatori e figure professionali facciano sistema ed inglobino i detenuti in un progetto globale di recupero ed insegnamento.

Luoghi di detenzione e di formazione con “premi” in termini di pena anche sotto il profilo del profitto e dell’impegno del detenuto.

Tutto ciò consentirebbe una educazione interna alla struttura ed una crescita partecipata del detenuto che sarebbe duratura.

Una compenetrazione tra edilizia da un lato e gestione dei detenuti partecipata dall’altro per una detenzione finalizzata concretamente alla attuazione dell’art. 27 Cost.

  • Un alternativa al carcere è possibile ed è possibile una umanizzazione della pena.

Ulteriore sistema di alleggerimento del carico numerico carcerario è dettato dal fatto che per i detenuti con pena detentiva (anche parte di una principale) non superiore a anni 3 (se non si tratta di reati ostativi) potrebbero essere collocati ai domiciliari o in libertà con un programma di lavori socialmente utili ed un braccialetto elettronico che individui la geo-localizzazione del soggetto in tempo reale.

Tale sistema consentirebbe, con certezza, una elevata diminuzione dei soggetti che affollano le carceri.

Al tempo stesso le pene per i reati che prevedono nel minimo pena di mesi 6-12 devono prevedere già sanzioni sostitutive sempre con progetti socialmente utili e di rieducazione (ma questo è già in grande parte attuale).

In tal senso ha operato la riforma Cartabia, ma tale impostazione per i reati minori deve essere incentivata.

Si avrebbe un doppio vantaggio non proprio di poco conto: carceri più vivibili e soggetti impegnati nel sociale a vario titolo che andrebbero a restituire un po’ di quello che hanno tolto alla società ed alla collettività ed una forte diminuzione del carico economico per il Paese.

Conclusioni

La situazione carceraria non deve essere affrontata con provvedimenti sporadici, ma come tutte le cose complesse, con un progetto normativo, edilizio, di supporto socio-sanitario (psichiatrico-psicologico) e di tipo culturale di sistema e sistemico.

Le riforme strutturali devono essere condivise anche con i rappresentanti della Polizia Penitenziaria che vivono a stretto contatto, tutti i giorni, con i detenuti.

Le carceri, infine, non devono accogliere (come accade oggi) malati psichiatrici (il fallimento delle REMS è evidente a tutti) o piccoli malviventi per reati bagatellari o poco più, ma devono avere al loro interno grandi criminali e soggetti pericolosi per la società (terroristi, mafiosi, omicidi, stragisti, soggetti che attentano allo Stato e alle sue Istituzioni,  soggetti ce hanno commesso sequestri, violenze sessuali ecc… ecc…).

Le carceri, al tempo stesso, devono essere ambienti, per quanto, è possibile (non sempre lo è) nei quali si arrivi al reinserimento sociale dell’individuo.

In casi, però, di c.d. grandi criminali (si veda il caso Izzo) non si può rimettere in libertà persone così pericolose: unica soluzione è l’ergastolo a vita e senza “sconti di alcun genere”.

Sull’ergastolo volutamente non siamo entrati perché è un argomento che da solo merita una riflessione molto ampia, ma riteniamo che nella legalità e nel rispetto dei diritti della persona l’ergastolo appare una pena non solo fondata sulla legalità, ma assolutamente necessaria con riferimento a certi reati ed a certi soggetti e così è legittimo l’ergastolo ostativo per mafiosi e soggetti altamente pericolosi per la società e l’integrità dello Stato.

Su quest’ultimo si sono sperticati numerosi commenti di “garantisti” a senso unico, ma lo strumento non solo appare idoneo, ma appare assolutamente necessario in presenza di una criminalità quale quella mafiosa (in senso generale) che risponde a logiche di violenza (da un lato) e di comando mafioso (dall’altro) che oltrepassa le sbarre di una cella o le porte di un carcere (in vario modo).

Al contrario per il 95% dei soggetti che oggi popolano le nostre carceri ci auguriamo presto di porre mano a riforme che risultino, veramente, in linea con quanto espresso dal diritto costituzionale.

L’attuale Ministro della Giustizia con il D.L. n. 92/2024 ha inciso molto fortemente e questo non può che essere valutato con estremo favore, ma va fatto molto di più e di più sistematico.

L’anello debole dei soggetti psichiatrici e del loro grave danno ad essere sottoposti a detenzione deve essere risolto con la attuazione delle REMS nel più breve tempo possibile.

Le carceri non devono essere un mondo a parte e la reclusione in carcere non può essere solo riservata ai derelitti ed ai meno tutelati.

Occorrono norme che guardino ad una risocializzazione ed introduzione del reo con gradualità di nuovo nella società, occorrono persone preparate e formate (in una formazione continua), occorrono effettive occasioni di reinserimento in particolare lavorativo e familiare.

Occorre effettività oltre alle norme migliori del mondo attuate nel modo peggiore possibile.

Related Articles