La cosa più terribile era il silenzio. Il silenzio che avvolge un luogo del delitto è particolare. Se lo hai percepito almeno una volta nelle tua vita non lo potrai più scordare. Quel silenzio è tangibile, lo puoi quasi toccare, come quando al buio scosti una tenda trasparente per affacciarti alla finestra.
Permea tutta la scena ed è interrotto, a volte, dal gracchiare breve e stizzoso delle radio installate sui mezzi di polizia e carabinieri.
Per una sorta di legge non scritta, e forse anche perché davanti alla morte tutti abbiamo paura, gli attori della tragedia che aggirano in quel luogo parlano poco, di malavoglia e a bassa voce. Spesso non parlano proprio. Come quando in classe da studenti ci facevamo piccoli piccoli tra i banchi per non essere notati dal professore. Nel luogo dell’omicidio nessuno si fa notare. Tutti sanno perfettamente cosa fare e si capiscono guardandosi negli occhi. Ognuno per quello che è il suo ruolo.
E non parlo solo degli investigatori, mi riferisco anche ai giornalisti, ai fotografi, ai cineoperatori, ai necrofori e finanche ai curiosi che si assiepano dietro le fettucce di plastica bianche e rosse che delimitano il perimetro della scena. E’ allora che obbedendo a queste regole cerchi velocemente di capire qual è lo scatto che ti servirà prendere per portarlo in redazione al tuo giornale. Ti ritrovi a fare una vera e propria scansione della scena, ti sposti dal lato migliore secondo la tua visuale e scatti.
Con calma e senza metterti in mostra. Pochi scatti, perché anche il “click” dell’otturatore deve adeguarsi a quello che è l’imperativo. Non farsi notare. Fare silenzio! Secondi che diventano presto minuti fino a trasformarsi in ore. Tutto per uno scatto. Lo scatto. E speri sempre che nella scena non arrivino i parenti del morto. Loro sono gli unici che possono non sottostare alla regola del silenzio. Quello è il momento più straziante a cui si possa assistere in un delitto. Le urla di chi ha appreso pochi istanti prima di aver perso un caro.
Quelle grida le senti da lontano, arrivano sempre da lontano e le identifichi subito. Lacerano quel silenzio come un coltello lacera un lenzuolo di cotone. Te lo senti sulla schiena quel coltello, ti vengono i brividi. Puoi avere fotografato mille delitti, non potrai mai abituarti a quelle urla. Belluine a volte, musicali in qualche caso, ripetitive come litanie, ma sempre e comunque drammatiche. Il silenzio spezzato da quelle urla di dolore, che arrivano senza preavviso. Dura poco, per fortuna. Anche i parenti dopo poco si adeguano e come d’incanto torna, pesante il silenzio. E alla fine anche loro, attori a pieno titolo, sanno cosa fare. Chiudersi nel loro silenzio.