Parlare di pace e riarmare l’Europa. Il sociologo professore Francesco Pira: «Viviamo nell’era dei conflitti continui, ma abbiamo bisogno di serenità»

Articolo di Pietro Salvatore Reina

Ottanta anni fa, tra la fine di aprile e l’inizio di maggio, si concludeva la Seconda guerra mondiale. Un conflitto che ha provocato più di 60 milioni di morti. Città, strade, ospedali, scuole, monumenti bombardati, rasi al suolo. Nel nostro Paese, dopo la conclusione della guerra, si è avviato un processo di ricostruzione. A capo di quest’opera di ricostruzione il politico Alcide De Gasperi ma anche i “padri” e le “madri” dell’Assemblea Costituente che scrissero ottanta anni fa la nostra Costituzione.

Dopo 80 anni come si può affermare: «800 miliardi per riarmare l’Europa?»

I miliardi dovrebbero servire ed essere spesi, o meglio, investiti in istruzione, nella sanità, nella ricerca, nelle politiche sociali, nel lavoro.

In questo spazio di pensiero, pongo al professore Francesco Pira, associato di Sociologia dell’Università di Messina, saggista, giornalista ed autore di libri di successo, un quesito su cui è giusto interrogarsi.

D.: Perché stiamo vivendo un periodo di declino, di abbandono di valori?

R.: I Grandi della Terra devono capire quanto sia importante il dialogo per poter raggiungere l’obiettivo della pace. La guerra è devastante e l’odio continua a prendere il sopravvento. Fame, povertà e discriminazioni ci allontanano dalla pace.

Ognuno di noi deve impegnarsi per favorire la pace, anche nella quotidianità, e Papa Francesco ci ricorda che “siamo tutti fratelli e sorelle e gli sforzi per promuovere la riconciliazione, l’armonia e la pace varranno sempre la pena del nostro tempo e dei nostri sforzi”.

La pace è un bene comune, globale ed è un bisogno universale. Una sfida inarrestabile verso l’unica meta da raggiungere. Uomini e donne che, insieme, veicolano messaggi di pace e sperano che il loro grido venga ascoltato da una parte all’altra del mondo. Un mondo di pace è ancora possibile e non dobbiamo perdere la speranza.

Cosi come ha scritto il grande scrittore Lev Tolstoj: «Come una candela accende un’altra e così si trovano accese migliaia di candele, così un cuore accende un altro e così si accendono migliaia di cuori» e solo il vero amore potrà invertire la rotta che la nostra società ha intrapreso.

D.: I social network che ruolo possono avere nei processi di pace?

R.: Utilizzare i social network per veicolare un messaggio di pace diventa fondamentale. Si parla molto spesso di “slacktivism”. Questa parola è nata dall’unione di due parole “slacker” (fannullone) e “activism” (attivismo) e riguarda tutte quelle azioni che facciamo sui social (mettere like, condividere, postare video e immagini, inserire hashtag e molto altro ancora) che rappresentano una forma di partecipazione attiva, ma non risulta essere veramente rivoluzionaria. L’ambivalenza dello “slacktivism” assume due accezioni diverse: veicola informazioni velocemente e raggiunge un enorme numero di utenti e crea l’illusione di una piena realizzazione sociale, scoraggiando gesti più importanti e più impegnativi come ad esempio la partecipazione alle associazioni di volontariato.

Le atrocità reali sono difficili da condividere e non riescono ad ottenere la stessa viralità. Uomini, donne e giovani che hanno voluto esprimere il loro “No” alla guerra. In questo caso, secondo me, non importa l’origine dell’immagine.

Si è tanto discusso anche sui profitti delle piattaforme. Sicuramente, le piattaforme sono società per azioni che hanno bisogno di accontentare gli azionisti e gli investitori. Cercano di conquistare un ruolo di primo piano anche nel mercato dell’e-commerce. Qualcuno è convinto che ci sia chi guadagna anche sui messaggi di pace e probabilmente è proprio cosi.

D.: Un declino che sta svuotando di valori le nostre stesse istituzioni nazionali ed europee?

R.: I padri costituenti volevano un Europa dei Popoli e non un’Europa degli Stati. E’ diventata un’Europa di alcuni Stati, o meglio in cui comandano alcuni Stati. Il declino nasce da questo. Se non si riesce ad andare oltre gli egoismi e i nazionalismi il problema non può essere l’esercito.

Si parla tanto di pace, ma ci sono persone che poi continuano a fornire armi, a comprare armi e a dire si alle lobby delle armi. Un gioco delle parti che non tiene conto di quanto sia essenziale salvaguardare il dono della vita e salvaguardare la nostra umanità. C’è molto cattivismo e la disinformazione viene sfruttata come arma di guerra, per far sparire la verità e suscitare paura.

L’opinione pubblica viene manipolata e si è sviluppato il potere del controllo mentale che avviene attraverso la virtualità ci accarezza benevolmente e ci suggerisce ciò che ritiene conveniente. Questa tipologia di comunicazione ha come caratteristica quella di accrescere l’insicurezza e la paura nella popolazione.

La guerra e il numero delle uccisioni quotidiane sono inaccettabili. Tutto il mondo merita la pace e i bambini e i giovani devono continuare a sorridere.

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