Passeggiando tra Pigneto e Piazzale Prenestino incontri luoghi che non ti aspetti come il vecchio Cinema Avorio in via Macerata, un locale d’essai inesorabilmente chiuso; poco più avanti vedi la casa d’un giovane Lucio Battisti, ottavo piano, numero 35 del Prenestino, a pochi passi da un’orribile strada sopraelevata. Dicono che in quel palazzo viva una delle prime fidanzate di Lucio e che lei lo ricordi strimpellare le note di Acqua azzurra acqua chiara. Poco distante scorgi l’abitazione filmica di Alberto Sordi, padre omicida del borghese piccolo piccolo di Monicelli; più avanti l’antica sala L’Aquila, edificata nel 1930, oggi multisala ma la struttura è quella del passato. Tutto profuma di celluloide in questo ex quartiere operaio, si rivedono storici film e antichi set, come Roma città aperta, immagini Rossellini che al numero 15 di via Montecuccoli gira la scena con Anna Magnani che corre dietro alla camionetta e viene falciata da una raffica di mitra. Pasolini rievoca la sequenza di dolore ne La religione del mio tempo: Quasi emblema, ormai, l’urlo della Magnani / sotto le ciocche disordinatamente assolute, / risuona nelle disperate panoramiche, / e nelle occhiaie vive e mute / si addensa il senso della tragedia. / È lì che si dissolve e si mutila / il presente, e assorda il canto / degli aedi. Al Pigneto, in quel palazzo storico per il cinema, ha vissuto Roberto Sardelli, un Don Milani di borgata, l’angelo dei baraccati, che insegnava a leggere e ascrivere a chi viveva nei poveri tuguri dell’Acquedotto Felice. Un altro motivo per visitare il quartiere e ricordare, ché tra le chiese del Pigneto, covo di comunisti e socialisti, nel 1913 costruirono la parrocchia di Sant’Elena, quindi nel 1950 tirarono su San Leone Magno, in memoria del papa che fermò Attila, per bloccare Stalin e fermare un’emorragia di voti comunisti. Il Pigneto e i suoi morti, i tanti eroi, da Angelo Galafati, ucciso alle Fosse Ardeatine nel 1943 per aver nascosto in casa alcuni partigiani, a Mario Moderni, reduce della Grande Guerra; senza dimenticare Ferdinando Persiani, deportato il 4 gennaio del 1944, giustiziato nel castello di Artheim, dalle parti di Mauthausen. Se ti spingi in via Fanfulla da Lodi, al numero 50 trovi quel che resta del barretto di Accattone, niente più che una cantina adattata a set cinematografico, adesso casa privata. Non è il Bar Necci (fondato nel 1924, in tempi recenti rinnovato) il bar di Accattone, anche se il proprietario sfrutta la poca conoscenza dei turisti e addobba il locale con fotografie pasoliniane e un murale che ritrae il poeta in vesti da calciatore. Mo’ sto bene, c’è scritto sulla maglia, sono le ultime parole di Accattone prima di morire. E in via Ettore Giovenale c’è ancora la casa di Accattone, elegante palazzina con targa che ricorda il film, giardino di limoni, odore intenso di rossa buganvillea e profumato rincospermo, il falso gelsomino.
Vicolo dell’Accattone, adesso è il suo nome, in ricordo d’un film che Fellini non comprese e che solo Alfredo Bini portò al cinema. Tra San Lorenzo, Pigneto e Torpignattara lo senti ancora il fragore delle bombe durante i fatti di Roma città aperta, la liberazione dopo dolore e morte per le strade d’una distrutta capitale. Passeggi per via di Torpignattara al numero 18, ricordi che c’era la Trattoria L’Aquila d’Oro, detta dei tre scalini (ci sono ancora), dove Pasolini apprese il dialetto delle borgate da Sergio Citti, una lingua strana che non era romanesco ma un parlato popolare imbastardito con napoletano e calabrese, la lingua di Ragazzi di vita e Una vita violenta. Adesso è un ristorante cinese, magari sarebbe giusto metterci una targa, così, per ricordare, visto che accanto c’è una pasticceria da tempi antichi e la proprietaria rammenta l’esistenza del locale. En passant ci son tracce di Luchino Visconti, ché al Pigneto intravedi il palazzo dove girò Bellissima con Anna Magnani e Walter Chiari, la storia di una mamma che scommette il suo futuro sul fatto che la figlia diventi Miss Italia. C’è ancora la casa di Citti, tra via dell’Acqua Bullicante e via della Marranella; intravedi il bar della pugnalata di Ragazzi di vita, in via largo Bartolomeo Perestrello, adesso uno dei tanti punti vendita di rosticceria cinese. E ti ricordi che il Riccetto lavorava al mercatino là davanti, che c’è ancora, mentre tutt’intorno immagini la baraccopoli, persino la marrana, adesso fagocitata dal cemento. Il cinema Impero in via dell’Acqua Bullicante con le immagini ritratte di Pasolini, Sergio e Franco Citti, Mario Monicelli, Anna Magnani, ma del cinema Impero resta un palazzo, usato per ben altri scopi. Al 215 di via Galeazzo Alessi c’è il murale più bello in assoluto, tra i tanti che ricordano il poeta cosparsi per le strade del Pigneto. La caduta, di Nicola Verlato, rappresenta Pasolini che precipita come in un girone infernale tra i suoi ragazzi di vita, sotto ci son la madre Susanna ed Ezra Pound, che lo attendono con grande tenerezza. Ma tutto il Pigneto è un gran murale fatto da giovani artisti, segno di lotta e speranza nel futuro, schizzano donne che sembrano la Callas e la Magnani, avvolte in fili di tristezza, occhi di Pasolini, immagini che esplodono da case diroccate sulle strade e da palazzi moderni intrisi di colore. Resta il tempo per vedere La Certosa, dare uno sguardo al covo della Banda Pepe partigiana, mangiare da Bedda e Mary in trattoria, avvolto tra i sapori d’una volta, da tante immagini che riflettono il passato. Non sarebbe stato possibile scrivere il racconto senza le colte spiegazioni di Francesco Sirleto, docente di letteratura italiana e studioso di Pier Paolo Pasolini.