Pastor Vega nasce nel 1940 all’Avana. Nel novembre 1958 entra a far parte dell’accademia Teatro Estudio diretta dai fratelli Vicente e Raquel Revuelta, dove frequenta un corso e dopo due anni si diploma con il massimo dei voti. Partecipa con il Teatro Estudio alle rappresentazioni di drammi come Mundo de Cristal, Tupac Amaru e Madre Coraje. Lavora come attore in diverse pellicole come La decisión, di José Massip, Un día de trabajo e molte altre. Pastor Vega entra nell’ICAIC e lavora molto come assistente regista di cinema, contemporaneamente a un’intensa attività teatrale che prosegue fino al 1961. La sua scelta definitiva è per il cinema. Nel 1964, dopo aver lavorato come attore e assistente regista in diversi documentari e lungometraggi, venne promosso regista di documentari. Nel 1970 gira i primi lungometraggi e fa parte di numerose delegazioni di cineasti cubani come rappresentate dell’attività artistica dell’isola. Nel 1979 fonda il Festival Internazionale del Nuovo Cinema Latinoamericano e ne dirige le prime dodici edizioni. Risulta tra i fondatori della Scuola Internazionale di Cinema e Televisione di San Antonio de los Baños. Dal 1978 al 1987 svolge funzioni di Direttore delle Relazioni Internazionali del’ICAIC. Il suo lungometraggio di fiction più importante è Retrato de Teresa (1979), ben accolto dal pubblico, anche per la tematica inconsueta. Pastor Vega impartisce lezioni e conferenze negli Stati Uniti, Unione Sovietica, Spagna, Italia, Venezuela, Colombia e Brasile. Pubblica molti articoli su riviste nazionali e internazionali. I suoi film vengono esportati in oltre cinquanta paesi. Muore nel 2005.
La prima produzione di Pastor Vega è costituita da documentari di taglio politico – educativo, inseriti nel pieno solco rivoluzionario, ma dopo Retrato de Teresa si dedica ad approfondire il ruolo della donna nella società cubana e realizza alcuni interessanti ritratti femminili portati sullo schermo dalla sua attrice prediletta Daisy Granados.
La canción del turista (1967) è un documentario a colori della durata di 15’ che realizza una visione agiografica della Cuba rivoluzionaria, alludendo al sottosviluppo ereditato dal passato prerivoluzionario. Nel 1969 vince il Primo Festival del Cinema di Campione d’Italia.
¡Viva la Repubblica! (1972) è il primo vero lungometraggio di 100 minuti, un documentario in bianco e nero per raccontare la guerra rivoluzionaria cubana iniziata nel 1868 da Carlos Manuel de Céspedes, sino alla rivoluzione socialista che trionfa nel 1959. Il tono agiografico e propagandistico è evidente: esiste una continuazione logica e inevitabile che lega le guerre per l’indipendenza alla rivoluzione dei barbudos. Soggetto e sceneggiatura sono di Pastor Vega, Víctor Casaus, Julio García Espinosa, Jesús Díaz e Mirita Lores. Il film gode di un’ottima fotografia ed è prezioso da un punto di vista storico per il grande materiale di archivio al quale il regista può avere acceso.
Panamá… un reportaje especial sobre la reunión del Consejo de Seguridad (1973) è un documentario di 37 minuti girato in bianco e nero per raccontare il punto di vista cubano sulla riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che affronta il tema del conflitto tra Stati Uniti e Panama.
La quinta frontera (1974) è un documentario di 82 minuti in bianco e nero che si occupa di quella che la propaganda di regime definisce la neocolonizzazione imperialista nordamericana e l’occupazione della Zona del Canale di Panama, dal secolo XIX. Il regista narra la storia di Panama e racconta le azioni del popolo panamense per riconquistare la propria sovranità nazionale.
Retrato de Teresa (1979) è il primo lungometraggio di fiction a colori che Pastor Vega scrive e sceneggia con la collaborazione di Ambrosio Fornet. La fotografia è di Livio Delgado, il suono di Germinal Hernández, la musica di Carlos Fariñas, il montaggio di Mirita Lores, la direzione artistica di Luis Acosta e la produzione di Evelio Delgado. Produce e distribuisce ICAIC. Interpreti: Daisy Granados, Adolfo Llauradó, Alina Sánchez, Raúl Pomares, Eloísa Álvarez Guedes, Alejandro Lugo, Miguel Benavides, Samuel Claxton, Elsa Gay, Mario Limonta. La pellicola guadagna numerosi riconoscimenti: Selezionato tra i film più significativi dell’anno dalla Stampa Cinematografica Cubana (1979); Miglior Pellicola, Miglior Produzione e Miglior Attrice Protagonista, Festival Nazionale UNEAC di Cinema, Radio e Televisione (1979); Miglior Attrice, Festival del Cinema Ispanoamericano di Huelva (1979); Miglior Pellicola e Miglior Attrice, Festival Internazionale di Mosca (1979); Miglior Pellicola e Miglior Attrice, Festival Internazionale di Cinema di Cartagena de Indias (1980); Premio del Pubblico e Miglior Pellicola, Festival Internazionale di Cinema del Paraguay (1990).
Il tema affrontato dalla pellicola è originale, ma è un problema molto sentito nel periodo storico, a Cuba come nel resto del mondo. Teresa è il simbolo dell’emancipazione femminile, la donna che crede nel lavoro e che non vuole essere soltanto schiava della famiglia e di un marito maschilista. Pastor Vega racconta la crisi affettiva di un matrimonio di estrazione popolare (lei è operaia tessile, lui tecnico di televisori) prodotta dalle aspirazioni femminili che si scontrano con l’intransigenza dell’uomo. Il regista compie un’acuta riflessione sulla grave incidenza del machismo nella società cubana degli anni Settanta, anche se appesantita da eccessi di fede rivoluzionaria e da molta retorica di regime. Il personaggio di Teresa è ben interpretato da Daisy Granados, che caratterizza un’operaia tessile attivista sindacale, dedita al lavoro volontario per un gruppo di ballo, che pensa al marito, alla famiglia, ai tre figli piccoli e deve contrastare i pregiudizio del marito in tema di lavoro femminile. Teresa è determinata a difendere i suoi diritti come donna e non si piega di fronte a niente, mettendo in crisi il matrimonio, ma uscendo vincitrice nella lotta per la vita. Il fotogramma finale che riprende il suo volto in mezzo alla gente la mostra sorridente mentre guarda con fiducia verso l’avvenire. I limiti del film sono un’eccesiva lunghezza – 103 minuti sono molti per le cose da dire – e di conseguenza un montaggio poco serrato, ma anche un personaggio maschile troppo negativo e monodimensionale per essere vero. A un certo punto la storia prende un tono da telenovela con intreccio sentimentale che complica la situazione tra moglie e marito. I figli quasi scompaiono e sembrano ininfluenti nell’economia della vicenda, viene alla ribalta una giovane amante del marito che alla fine va per la sua strada e lascia l’uomo al suo destino. Il maschio è il personaggio perdente, l’elemento negativo della storia, perché non sa adeguare una mentalità d’altri tempi alla vita che cambia. Teresa è il simbolo del mondo nuovo, dove le donne sono uguali agli uomini, lavorano e sono impegnate nel cambiamento sociale. Troppa la retorica rivoluzionaria per assolvere un film che sembra soltanto un’operazione didattica: “Quando l’impossibile diventa possibile ecco la rivoluzione!”. Il regista è bravo in alcuni quadretti familiari come quando riprende la gita domenicale a Parque Lenin e individua i momenti salienti per immortalare una famiglia felice. La madre di Teresa incarna i vecchi pregiudizi del passato: “La donna è donna, l’uomo è uomo. Questa cosa non la può cambiare neppure Fidel”. I vecchi valori negano il divorzio e vogliono la donna sottomessa al volere maschile. Citiamo tra le note positive una bella canzone di Pablo Milanés (Iolanda) che si inserisce in un momento romantico, il ballo della chancleta e la conga messa in scena dal gruppo di ballo dove Teresa svolge lavoro volontario. Resta in bocca un sapore da telenovela didattica che mostra un mondo edulcorato, con una storia di poco spessore che rivela intenzioni educative troppo palesi. In ogni caso la pellicola presenta aspetti positivi, anche se il regista mostra i limiti tipici della prima fiction, soprattutto con la gestione dei personaggi. Nonostante tutto il film ottiene un gran successo di pubblico e di critica perché è una delle prime opere ad affrontare con serietà la questione dell’emancipazione femminile.
Habanera (1984) è una nuova fiction a colori di 103 minuti, scritta e sceneggiata da Ambrosio Fornet, che racconta la storia di Laura, una psichiatra sposata, madre di figli. Il tema ripete il successo di Ritratode Teresa, solo che qui abbiamo un matrimonio che riguarda una classe sociale più alta. I problemi sono simili, perché il mondo professionale contrasta con il mondo degli affetti e mette in crisi il suo matrimonio. Si affronta il problema del divorzio e della convivenza, soprattutto si approfondisce il discorso del ruolo della donna nella società contemporanea. Restano i soliti limiti didattici e un eccesso di retorica rivoluzionaria. L’interprete principale è ancora una volta l’ottima Daisy Granados, che lavora insieme a Miguel Benavides e César Evora. Il film non ottiene il successo del precedente, ma Daisy Granados riceve un premio come miglior interprete femminile al Festival Internazionale di Santarem in Portogallo (1986).
Amor en campo minado (1987) è un lavoro di fiction storica (100’ – col.), basato sull’opera teatrale omonima del drammaturgo Alfredo Dias Gomez. Siamo in Brasile nel 1964. Un intellettuale di sinistra sta per essere arrestato in seguito al colpo di stato contro il presidente Joao Goulart. Il film – di impostazione molto teatrale – riflette la crisi psicologica del protagonista, la fine del suo piccolo mondo e del suo rapporto coniugale. Pastor Vega torna al primo amore e porta il teatro al cinema con buoni risultati drammatici. Interpreti: Daisy Granados (attrice feticcio del regista), Adolfo Llauradó, Omar Valdés e Ana Lilia Rentería. Molto apprezzate e premiate le interpretazioni di Daisy Granados e Adolfo Llauradó – la coppia di Retrato de Teresa – che danno vita a un’altra interessante storia di crisi matrimoniale.
Vidas paralelas (1992) è una fiction di 105 minuti scritta e sceneggiata niente meno che da Zoé Valdés – non ancora dissidente in esilio -, prodotta da ICAIC con la collaborazione della Televisione Spagnola. Interpreti: Orlando Urdaneta, Omar Moynello, Daisy Granados, Isabel Serrano, Isabel Santos, Ana Lillian Rentería. La pellicola non viene molto apprezzata in patria perché presenta alcuni aspetti critici della situazione cubana. Il film racconta le vite parallele di Rubén che vive a Cuba e di Andy, esiliato negli Stati Uniti. I due sono insoddisfatti della loro situazione per motivi opposti e cercano di cambiare il luogo dove vivere ma non ci riescono. La sceneggiatura vince un premio quando è ancora inedita al Festival del Nuovo Cinema Latinoamericano del 1990. La pellicola, invece, esce sotto silenzio, visti i tempi che corrono. Zoé Valdés è già in esilio in Francia e per gli intellettuali critici sono tempi duri.
Las profecías de Amanda (1999) è una fiction di 90 minuti scritta e sceneggiata da Aarón Vega e da Pastor Vega. Torna Dasy Granados, interprete simbolo dei film di Pastor Vega, nei panni della protagonista Amanda, personaggio umile e popolare, che possiede sin da bambina il dono di fare profezie. Ottima la colonna sonora dotata di musica originale scritta e interpretata dal cantautore Carlos Varela. Producono ICAIC, Igeldo Komunicazioa, Alter Producciones Cinematográficas. La fotografia – anonima e senza nerbo – è di Rafael Solís, mentre il montaggio elementare, da documentario televisivo, è curato da Jacqueline Meepiel. Interpreti: Daisy Granados, Laura Ramos, Consuelo Vidal, Herón Vega, Adolfo Llauradó, Marisela Bertti. Daisy Granados vince molti premi come interprete femminile, ma si mette in luce soprattutto l’esordiente Laura Ramos (Amanda da giovane) come attrice non protagonista. Le persone che vivono accanto ad Amanda sono intimorite e interessate da questa capacità, spesso rifiutano di credere, a volte temono le rivelazioni della donna. Per Amanda è un tormento sin da bambina convivere con un dono terribile che le fa conoscere il futuro del prossimo. Il personaggio di Amanda è realmente esistito, la televisione cubana se n’è occupata più volte con documentari e interviste. La pellicola, purtroppo, non presenta alcuna tensione narrativa, risulta frammentaria e noiosa, sospesa tra romanzo e cronaca. Le parti più interessanti riprendono alcune sedute spiritiche nelle quali l’attrice si fa possedere da santi e demoni per conoscere il futuro. Per il resto siamo di fronte a un modesto prodotto televisivo che si ricorda per alcune citazioni da Virgilio Piñera, stridenti con l’argomento da telenovela fantastica. Interessante un discorso progressista nel corso di una interminabile riunione tra scienziati che forse vuole avere valenza metaforica: “La lotta delle idee porta buoni risultati, perché la scienza si nutre di dubbi e bisogna sempre verificare”. La pellicola ha un tono teatrale e televisivo, mentre il suono in presa diretta la infarcisce di rumori di fondo. Pastor Vega non ha nessun guizzo da artista ma gira un freddo documentario su una veggente che amava le canzoni di Lola Flores – “la faraona di Spagna” – ed era diventata così famosa da venir chiamata “la faraona di Cuba”.
Mujeres en el acto (2006) è un film messicano diretto da Gabriel Retes, Lourdes Elizarrarás e Pastor Vega, basato sul’opera teatrale Mujeres en un acto di Ricardo Garibay. Si raccontano storie di donne che per la loro posizione sociale vivono in una bolla di sapone, ma quando questa scoppia, comincia la caduta libera. Pastor Vega dimostra una volta di più la sua predilezione nel raccontare storie al femminile, ricorrendo alla tanto amata Daysi Granados. La pellicola rappresenta un ritorno al primo amore del regista ed esce un anno dopo la sua morte. Interpreti: Daysi Granados, Patricia Reyes Spíndola, Lourdes Elizarrarás, Sofía Sisniega, Gabriela Coppola, Pastor Vega, Gabriel Retes e Hiram Vega.