Pietro Germi (Genova, 1914 – Roma, 1974) si diploma al Centro Sperimentale di Roma, prima in recitazione e subito dopo in regia, comincia come assistente di Blasetti (Retroscena), sceneggiatore (L’amore canta, I dieci comandamenti) e aiuto regista. Si afferma come autore interessato a tematiche sociali e viene sempre molto considerato dalla critica più esigente. Tra i registi emergenti del periodo è il meno legato alla tradizione neorealista, perché ama il cinema statunitense contemporaneo, soprattutto il western e i noir di ambientazione metropolitana. Ricordiamo titoli come Il testimone (1946), Gioventù perduta (1947), In nome della legge (1949), Il cammino della speranza (1950), La presidentessa (1952), Il brigante di Tacca del Lupo (1952) e Gelosia (1953). Molte di queste pellicole sono ambientate in Sicilia, parlano di giovani gangster di buona famiglia, mafiosi stile Far West, lotta al brigantaggio e mancanza di uno Stato di diritto. Pietro Germi è un autore sempre indeciso tra attrazione per la modernità e nostalgia del buon tempo passato, che spesso si traduce in moralismo e conservatorismo. Le sue pellicole di maggior successo sono Il ferroviere (1956) e L’uomo di paglia (1958), due opere melodrammatiche che scandagliano la psicologia della gente comune, la vita quotidiana dei ceti popolari fatta di sentimenti e ansie. Il ferroviere racconta le vicissitudini di un operaio troppo amante dell’alcol in preda a un vizio irrinunciabile. L’uomo di paglia è il racconto amaro della passione di un operaio romano per una dattilografa.Germi è regista e interprete principale di due pellicole che conduce senza esitazioni verso un esito drammatico, anche se il rischio del patetico è sempre dietro l’angolo. L’uomo di paglia merita qualche parola in più per la presenza di Franca Bettoja, componente erotica importante anche se il regista non osa oltre un paio di sequenze a base di baci appassionati e una rapida apparizione in sottoveste. Il film racconta le vicissitudini di un uomo che tradisce la moglie con una giovane dattilografa e rischia di distruggere il suo matrimonio. Si tratta di una pellicola sul tradimento, un melodramma che va oltre il neorealismo rosa per alcune implicazioni sociali, perché mostra la vita in fabbrica, le condizioni lavorative del tempo e i problemi della vita quotidiana. Pietro Germi è Andrea, l’uomo di paglia che non sa prendersi responsabilità, ma che cede alle tentazioni, finisce per far del male all’amante (che si suicida), alla moglie (che l’abbandona) e persino al figlio (che crede in lui). Il finale prevede un consolante ritorno a casa della consorte tradita, anche se niente sarà più come prima, ormai entrambi sanno che qualcosa è successo e l’uomo non ha saputo tenere per sé il segreto dell’amante suicida. Un film delicato sul matrimonio, che analizza il complesso rapporto uomo – donna, criticando il superficiale atteggiamento di un uomo poco rispettoso dei sentimenti femminili.
Un film interessante e di non facile collocazione nella sua produzione è Un maledetto imbroglio (1959), una sorta di giallo ispirato a Quer pasticciaccio brutto di via Marulana di Carlo Emilio Gadda che anticipa motivi e situazioni della commedia all’italiana.
Pietro Germi cambia registro quando approda alla commedia grottesca, prendendo di sorpresa pubblico e critica, ma convincendo entrambi. Si tratta delle opere che più interessano nel quadro di questa trattazione, perché anticipano la commedia erotica: Divorzio all’italiana (1961), Sedotta e abbandonata (1964) e Signore & Signori (1966).
Divorzio all’italiana (1961) è interpretato da Marcello Mastroianni, Daniela Rocca, Stefania Sandrelli, Leopoldo Triste, Odoardo Spadaro, Lando Buzzanca e Pietro Tordi. Il film è ambientato in Sicilia dove il barone Fefè Cefalù (Mastroianni) è innamorato della cugina – una giovanissima Stefania Sandrelli – ma deve liberarsi della moglie (Daniela Rocca) spingendola tra le braccia di un vecchio spasimante (Leopoldo Trieste). Il gioco del marito è semplice: uccidere la moglie dopo averla colta in flagranza di tradimento e cavarsela con poco invocando il delitto d’onore. Ricordiamo alcune sequenze oniriche durante le quali il marito immagina i modi più atroci per eliminare la moglie (sabbie mobili, coltellate alle spalle…), ma anche il sogno di un’arringa difensiva che accompagna la macchinazione del delitto d’onore. Mastroianni è perfetto nei panni del marito cornuto che si finge triste e disonorato, mentre aspetta solo il momento giusto per portare a termine il piano. Interessante la citazione de La dolce vita di Federico Fellini – film scandalo del 1960 che tutti corrono a vedere – durante il quale si consuma la fuga della moglie con il suo amante. Il finale è ironico. “La vita comincia a quarant’anni”, pensa Mastroianni mentre bacia la Sandrelli, ma la bella mogliettina sta già facendo piedino a un giovane marinaio. Le sequenze finali sono le sole durante le quali si apprezza Stefania Sandrelli in tutta la sua bellezza, ma solo in bikini.
Pietro Germi gira una commedia che a tratti sfocia nel bozzetto meridionalistico, satirico e farsesco, ricco di luoghi comuni sulla gente del sud e di stereotipi siciliani, ma efficace come denuncia nei confronti di un assurdoarticolo del codice penale come il delitto d’onore. Il film è ottimo, per ricostruzione ambientale, umorismo nero e sceneggiatura perfetta, montaggio serrato, privo di pause e momenti morti. La lavorazione della pellicola presenta aspetti tragici: Daniela Rocca tenta il suicidio durante le riprese perché innamorata di Germi, mentre il regista viene colto da paresi facciale. Marcello Mastroianni interpreta un personaggio eccezionale come il barone siciliano innamorato della cugina sedicenne che per averla non esita a uccidere la moglie. Pare che gli aspetti psicologici del personaggio vengano desunti dalla personalità del regista. Lando Buzzanca si ricorda per un anonimo esordio, ben lontano dal personaggio consueto, ma adatto a interpretare un siculo. Stefania Sandrelli è giovanissima, risplende di una bellezza acerba e ingenua che rappresenta il lato erotico della pellicola. Rita Savagnone doppia sia lei che Daniela Rocca. Divorzio all’italiana vince il premio per la miglior commedia a Cannes, mentre Pietro Germi, Ennio De Concini e Alfredo Giannetti si aggiudicano l’Oscar per la sceneggiatura,. Da notare che il grande successo del film produce una sgangherata parodia come Divorzio alla siciliana (1963), diretto da Enzo Di Gianni e interpretato da Tiberio Murgia, Nino Terzo, Moira Orfei, Gina Rovere, Paolo Carlini, Luigi Pavese, Saro Urzì, Ernesto Calindri, Anna De Padova e Genny Lewis. Elementi di commedia erotica sono dati dalla presenza nel cast della deliziosa Moira Orfei, terza moglie del barone don Fifì (Murgia), noto Barbablù che prima di uccidere lei ci pensa due volte. Il regista ci mette pure una leggera storia di mafia con Nino Terzo nei panni del bandito don Calò e una storia d’amore con “Marisa la giaguara” (Orfei). Di Gianni butta in farsa il tic del barone (occhio e non labbro), ma ironizza pure su gelosia sicula e omertà mafiosa. Molto trash la scena di danza di Moira Orfei.
Sedotta e abbandonata (1964) vede protagonista assoluta Stefania Sandrelli, una siciliana giovane e bella sedotta dal fidanzato della sorella. Il resto del cast comprende Saro Urzì, Lando Buzzanca, Aldo Puglisi, Leopoldo Trieste, Umberto Spadaro, Mimo De Ninno e Oreste Palella. Il film è girato sulla scia del successo di Divorzio all’italiana, in una location siciliana molto simile, seguendo problematiche meridionalistiche e affrontando questa volta il tema del matrimonio riparatore. Infatti vediamo il padre (Saro Urzì) pretendere un matrimonio tra il seduttore e la giovane figlia, cosa che si verificherà secondo tradizione, anche se dopo rifiuti, finti rapimenti e molte insistenze. Il futuro sposo era già promesso a un’altra figlia, ma pur di salvare l’onore familiare il padre approva il matrimonio della ragazza con un barone squattrinato. Una nuova commedia ironica che sfocia nella farsa e in brevi accenni di commedia erotica, soprattutto per merito di una bellissima Sandrelli. La critica parla di “commedia morale scritta con sarcasmo corrucciato per dipingere una Sicilia dominata dal senso dell’onore” (Paolo Mereghetti). Ma anche di “una farsa tragica con qualche vertigine grottesca, una tarantella macabra che accompagna con forzata allegria i funerali della ragione” (E. Giacovelli). Per Morando Morandini si tratta di “un film antimeridionale, di una commedia violenta e congestionata, ai limiti dell’isterismo”. La sceneggiatura è di Pietro Germi, Age, Scarpelli e Luciano Vincenzoni. Il Festival di Cannes premia Saro Urzì e Leopoldo Trieste, mentre si segnala il debutto sul grande schermo del diligente Oreste Palella (il maresciallo). I personaggi che popolano la commedia sono tutti brutti, sporchi e cattivi, come direbbe Nino Manfredi, ma molto efficaci e divertenti.
Vistoil successo della pellicola, Giorgio Bianchi gira Sedotti e bidonati (1964) interpretato dalla coppia comica Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Leopoldo Trieste è il punto di contatto tra i due film, mentre nei ruoli femminili ci sono Mia Genberg e Pia Genberg. Si tratta di una stanca parodia che incassa molto sfruttando il successo dell’originale e la verve comica dei due attori siciliani.
Signore & signori (1966) completa la cosiddetta trilogia barocca di Pietro Germi ed è il modello di riferimento indiscutibile per la futura commedia sexy. Il film è un attacco ironico alle ipocrisie, stigmatizzazione feroce di un Veneto cattolico e perbenista che nasconde molti scheletri negli armadi. Deriva da un’idea del regista che per la sceneggiatura collabora con Age, Scarpelli e Luciano Vincenzoni. Interpreti di lusso: Alberto Lionello, Gigi Ballista, Gastone Moschin, Virna Lisi, Olga Villi, Franco Fabrizi, Nora Ricci, Quinto Parmeggiani, Beba Loncar, Giulio Questi, Gia Sandri, Alberto Rabagliati, Gustavo D’Arpe, Moira Orfei, Elia Guiotto, Patrizia Valturri, Carlo Bagno, Aldo Puglisi, Virgilio Gazzolo, Antonio Acqua, Sergio Fincato e Virgilio Scapin.
Il film è ambientato a Treviso e si compone di tre storie parallele che vedono protagonisti alcuni amici dediti a feste, incontri conviviali, notti brave e soprattutto avventure galanti. Alberto Lionello è un finto impotente che cerca di portarsi a letto Beba Loncar, moglie dell’amico medico Gigi Ballista, confidando proprio a lui la finta patologia. Gastone Moschin è un marito che non sopporta più la moglie bisbetica e intreccia una relazione tempestosa con Virna Lisi, chiacchierata cassiera di un bar del paese. Carlo Bagno è un contadino che accetta una cospicua somma di denaro per non denunciare alcuni ricchi borghesi (Fabrizi, Lionello, Parmeggiani, Guiotto, Questi) che hanno approfittato della figlia (Patrizia Valturri). Ipocrisia, corna, tradimenti, reato di adulterio e di abbandono del tetto coniugale, assenza di una legge sul divorzio, sono soltanto alcuni temi che il registra tratta con tono comico – satirico. Pietro Germi distrugge il mito del Veneto cattolico e baciapile, democristiano e perbenista, mettendo in piazza scandali di paese e vita quotidiana, con taglio grottesco e impietoso. Forse l’unico personaggio positivo del film è interpretato da Gastone Moschin, perché prova un reale sentimento d’amore per la cassiera, ma è troppo pauroso e rientra nelle righe di una monotonia familiare di fronte alle vere difficoltà. Tutti gli altri personaggi sono un coacervo di difetti morali senza speranza di redenzione, persino il contadino che vende la figlia per denaro e la stessa ragazza che si concede agli uomini facoltosi per ottenere in cambio costosi regali. L’accusa al mondo piccolo borghese è più che evidente in numerose frecciate intrise di veleno, persino nei personaggi di contorno che rappresentano l’ordine e la religione, intenti a consigliare comportamenti ipocriti per salvare le apparenze. Il sistema di potere veneto che ruota attorno ai meccanismi democristiani collegati alla chiesa cattolica è ben evidente, tra le righe di una commedia sarcastica. Il film è ispirato a fatti reali, come il caso del processo ad alcuni borghesi che si approfittano di una contadinella, episodio di cronaca provinciale che gli sceneggiatori rielaborano in salsa comica sfruttando le armi della commedia all’italiana. Il film fa scandalo e suscita la reazione furente degli abitanti di Treviso, perfettamente riconoscibile, anche se Germi non la nomina mai e fa in modo di nascondere le targhe delle poche auto. Gli interpreti sono tutti molti bravi e fa piacere vedere come certi personaggi resteranno indelebili nella futura commedia sexy. Gigi Ballista sarà chiamato a replicare la sua interpretazione da ricco borghese vizioso con mille sfaccettature, così come Alberto Lionello interpreterà per tutta la vita il marito a caccia di avventure e Gastone Moschin avrà occasione di reinventare il marito frustrato dalla presenza di una moglie bisbetica. Bene anche le donne, su tutte una Virna Lisi dal taglio drammatico e Beba Loncar, tipica svampita da commedia che frequenterà la futura produzione erotica di baso livello. La pellicola contiene in nuce tutti i temi della commedia sexy che imperverserà sui nostri schermi degli anni Settanta – Ottanta. È una dolce vita ironico – scanzonata che vede protagonisti amici in cerca di avventure tra bar di paese dove si spettegola sul conto degli altri e dancing di periferia. Ricordiamo il tema della gonna che si alza in auto per colpa di una mano furtiva, qui appena accennato, ma che diventerà una costante nella produzione minore. I personaggi sono grotteschi ma non rischiano di diventare macchiette caricaturali: la commessa romantica legge Bolero e sogna, il marito stressato si rifugia in bagno e si mette i tappi nelle orecchie, la moglie cattolica che cerca di riprendersi il marito per sistemare le cose di fronte alla gente, la madre integerrima che rifiuta un figlio fedifrago, i carabinieri che consigliano di tornare a casa e di farsi l’amante senza darlo a vedere, la ragazza di campagna che usa le sue grazie per ottenere favori e i borghesi che si approfittano ma non si prendono mai le loro responsabilità. In definitiva un atto di accusa ironico nei confronti della provincia e dei suoi vizi nascosti, un modo per mettere in piazza l’ipocrisia cattolica e piccolo – borghese con una carrellata di personaggi realistici.
Lo schema narrativo di Signore & signori fa da canovaccio per moltissime commedie sexy degli anni Settanta e Ottanta, che si limiteranno a volgarizzare il discorso di base inserendo riferimenti erotici espliciti e abbondanza di epidermide. Ricordiamo molti lavori di Sergio Martino con protagonista Alberto Lionello in un ruolo simile a quello del finto impotente che vuol farsi la moglie dell’amico. Ma non solo Martino farà riferimento al modello Germi, perché i temi della commedia erotica per oltre quindici anni saranno quelli indicati da Signore & signori. Mariano Laurenti, Michele Massimo Tarantini, Nando Cicero, Sergio Martino e chi più ne ha più ne metta seguiranno il solco tracciato dal grande Pietro Germi, interessandosi più alle bellezze di Gloria Guida, Edwige Fenech, Nadia Cassini che alle problematiche sociali. La commedia sexy modificherà l’oggetto dello scandalo: non più la borghesia cattolica di provincia, ma un eccesso di nudi femminili in primo piano. Nessuno si sognerà mai di contestare i registi della commedia sexy per aver messo alla berlina i vizi della borghesia, al massimo dovranno fronteggiare sit-in di femministe in difesa della donna. Signore & signori vince la Palma d’Oro al Festival di Cannes, ex aequo con Un uomo, una donna (1966) di Claude Lelouch.
Signore & signori fa intuire molte problematiche comiche presenti in Amici miei, soprattutto nel ritratto impietoso di un gruppo di amici vitelloni e dei vizi privati nascosti da pubbliche virtù. L’idea del soggetto di Amici miei (1975) è di Pietro Germi, anche se il film viene realizzato da Mario Monicelli dopo la morte del regista genovese. Gli ultimi film di Germi sono interessanti, ma non raggiungono i livelli della trilogia barocca e si limitano a realizzare dei ritratti fini a se stessi di personaggi avulsi dalla realtà. Alcuni titoli: L’immorale (1967), Serafino (1968), Le castagne sono buone (1970) e Alfredo Alfredo (1972). L’immorale è un lavoro poco riuscito che racconta la storia di un uomo in bilico tra due famiglie, interpretato da Tognazzi e Stefania Sandrelli. Le castagne sono buone insiste su luoghi comuni e vagheggiati ritorni alla vita nei campi, ma non dice molto di nuovo sull’arte del regista. Serafino (1968) è un film abbastanza interessante scritto da Germi insieme a Benvenuti e De Bernardi, basato sul soggetto della canzone omonima di Celentano, colonna sonora della pellicola. Si tratta di una delle migliori interpretazioni di Adriano Celentano nei panni di un giovane pastore abruzzese che viene riformato alla leva militare, torna al paese, vive una serie di avventure con diverse ragazze, soprattutto con la prostituta Asmara (Francesca Romana Coluzzi) e con la cugina Lidia (Ottavia Piccolo), rischia di essere interdetto e raggirato dai parenti quando eredita una fortuna dalla zia (Nerina Montagnani), ma si salva evitando in extremis il matrimonio con la cugina e impalmando l’ex prostituta. Pietro Germi torna sul vecchio discorso del matrimonio come istituzione contronatura, come gabbia dei sentimenti, vagheggiando un ritorno alla vita dei campi, alla natura incontaminata e al libero amore. “Come mai gli uomini prima o poi ci cascano tutti?”, si chiede un esterrefatto protagonista. Adriano Celentano è Serafino, il finto tonto, il pastore ingenuo che non capisce il mondo moderno, ama le sue montagne ed è incapace di pensare agli interessi economici. Un’anima candida in un mondo di lupi, perché i parenti sono l’esatto contrario, vogliono soltanto la roba di verghiana memoria, i soldi e le pecore lasciate dalla vecchia zia. Il film presenta elementi di commedia sexy insoliti per un Adriano Celentano protagonista, che mette in scena alcuni duetti erotici con Francesca Romana Coluzzi e con la giovanissima Ottavia Piccolo. Ricordiamo gli incontri nel granaio con Asmara, ma anche i rapporti furtivi con la cugina Lidia che tenta di circuire il povero pastore. Ottavia Piccolo è una lolita maliziosa che provoca Celentano per accaparrarsi la roba della zia, utilizzando ogni mezzo di seduzione, anche la visione delle gambe dall’alto di un albero mentre il pastore regge la scala. Molto bravi gli altri interpreti: Saro Urzì, Gino Santercole e Luciana Turina. Il film è ambientato nella zona montuosa intorno a Sulmona, in pieno Appennino Abruzzese.
Ai nostri fini è interessante Alfredo Alfredo, interpretato da un giovanissimo Dustin Hoffman, Stefania Sandrelli e Carla Gravina, perché è ricco di momenti erotici ed è quasi un remake attualizzato dell’episodio centrale di Signore & signori. Un timido impiegato di banca (Hoffman) sposa un’affascinante farmacista (Sandrelli) che si trasforma in una megera possessiva e finisce per consolarsi con l’anticonformista Carla Gravina. Un testamento spirituale di Pietro Germi, un canto ironico alla felicità impossibile.
Alfredo Alfredo (1972) è l’ultimo film di Pietro Germi, una commedia erotico – grottesca per comporree un discorso sulla felicità impossibile. La pellicola è sceneggiata da Pietro Germi con la collaborazione di Piero De Bernardi, Leo Benvenuti e Tullio Pinelli. Il cast: Dustin Hoffman, Stefania Sandrelli, Carla Gravina, Duilio Del Prete, Saro Urzì, Danika La Loggia, Clara Colosimo, Vittorio Duse, Ettore Geri, Pier Anna Quaglia, Gianni Rizzo ed Enzo Cannavale. Colonna sonora di Pino Ferrara. Il film è ambientato ad Ascoli Piceno e vede protagonista un grande Dustin Hoffman (doppiato da Ferruccio Amendola) nei panni di Alfredo, un impiegato di banca introverso e imbranato che si innamora di Mariarosa (Stefania Sandrelli), una bella e possessiva farmacista. Alfredo è un uomo perennemente insicuro, amico del brillante Augusto (Del Prete) che lo guida in imprevedibili scorribande erotiche e gite in montagna. Si ritrova sposato con una donna onnipresente, nevrotica, gelosa, che lo isola dal resto del mondo e lo ridicolizza di fronte agli altri. La moglie vorrebbe un figlio ma quando crede di aver raggiunto lo scopo si scopre che è affetta soltanto da gravidanza nervosa. Alfredo ritrova la sua libertà, conosce Carolina (Carla Gravina), una donna anticonformista che lo comprende e finisce per ospitarlo in casa propria. Germi appoggia la causa del divorzio, legge necessaria per risolvere i problemi della difficile convivenza matrimoniale. In ogni caso il protagonista non trova la felicità, perché anche il nuovo matrimonio con Carolina si appresta a diventare un’altra prigione.
Alfredo Alfredo delude la critica contemporanea che lo accusa di prevedibilità e di scarso mordente, alcuni trovano persino da ridire sulla perfetta interpretazione di Dustin Hoffman (definito fuori ruolo), ma il film è da rivalutare. Pietro Germi riprende un tema già affrontato in Signore & signori (1966) e lo aggiorna alle battaglie sul divorzio, esponendo la solita filosofia pessimista e una feroce critica nei confronti della borghesia. La pellicola analizza la crisi del matrimonio e la difficoltà di rapporti tra uomo e donna all’interno della società borghese. Gli attori sono molto bravi, a cominciare dal giovanissimo Dustin Hoffman, che interpreta un eterno insicuro (“Meglio così…” se una relazione finisce) in fuga da ogni responsabilità e dal giudizio della gente. La pellicola scorre come un lungo flashback, un flusso di pensieri a ritroso nel tempo che cominciano proprio il giorno del divorzio. Stefania Sandrelli sprigiona sensualità sin dalle prime sequenze che la fotografano in stivaloni anni Settanta e minigonna, protagonista di intensi momenti erotici scatenati da baci passionali. L’attrice viareggina è fantastica nel ruolo di una moglie arpia che tormenta al telefono e con ogni stratagemma possibile il suo uomo, legandolo a sé in maniera totalizzante. Alfredo finirà per perdere la servitù, gli amici e persino il padre che preferirà isolarsi in campagna piuttosto che vivere in un inferno. Duilio Del Prete è l’amico scanzonato, deciso, risoluto, sempre a caccia di belle donne che alla fine conquista pure la moglie di Alfredo. Carla Gravina completa la commedia erotica con una presenza sensuale altrettanto interessante ed è l’emblema della donna moderna, liberata, anche se pure lei fatica a staccarsi dai legami tradizionali.
Alfredo Alfredo è pura commedia sexy, di alto livello, condita da elementi grotteschi, un discorso politico – sociale e un umorismo beffardo e scanzonato. I baci comici tra la Sandrelli e Hoffman sono un momento esilarante, perché scatenano rapporti selvaggi e disastrosi che si concludono con grida surreali. Il rapporto sessuale in treno, durante il viaggio di nozze, è il momento erotico più esplicito, ma pure qui la malizia e la sensualità vengono annullate dalla comicità grottesca. I rapporti sessuali Hoffman – Gravina sono abbastanza casti ma realizzano l’immagine di un amore normale, tranquillizzante, senza gli eccessi del primo matrimonio. Non è tutto oro quello che luccica, purtroppo. I problemi sono alle porte, perché la famiglia della ragazza non è contenta di un suocero separato, inetto e con uno stipendio modesto. Alla fine i due innamorati decideranno di sposarsi ma con la convinzione interiore che avrebbero fatto meglio a non fare quel passo. La felicità è impossibile, pare affermare il regista.