Il 30 novembre, alla Commissione europea è stata presentata un proposta di nuovo regolamento sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio che prevede, tra l’altro, di ridurre l’utilizzo di imballaggi, mettendo al bando tutti i tipi di packaging presenti sul mercato europeo e imponendone nuovi “riciclabili in modo economicamente sostenibile”. Questo significherà, se la proposta verrà approvata, cambiare le abitudini della maggior parte dei consumatori europei: dire addio alle versioni monouso di molti prodotti, dalle bustine di zucchero e dolcificanti ai condimenti monouso (come Ketchup, Maionese e altre salse) fino ai mini flaconi di shampoo, bagnoschiuma e altri prodotti per l’igiene negli hotel e a molti prodotti surgelati. Entro il 2030, il 20% delle bevande e dei cibi da asporto dovrebbe essere servito in imballaggi riutilizzabili o usando i contenitori portati dai clienti (percentuale che dovrebbe raggiungere l’80% nel 2040).
Una vera rivoluzione pensata per ridurre l’uso della plastica. Di ridurre l’uso del packaging si era già parlato poco prima della pandemia. Poi, con la diffusione del virus, ci si era resi conto che chiedere di non utilizzare sistemi per garantire l’igiene di certi prodotti, in quel momento, era impossibile. Ora, terminata l’emergenza (ammesso che sia così), si è tornati alla carica. Ma non per tutti i rifiuti di imballaggio. Solo per quelli monouso.
Un cambiamento radicale: non potendo agire su altri prodotti monouso (si pensi al packaging per siringhe o cerotti o altro), si è pensato di agire pesantemente sul settore degli “imballaggi non necessari o evitabili [che] non dovrebbero poter essere messi sul mercato”. L’allegato 5 della proposta presentata alla Commissione riporta un elenco di imballaggi che verrebbero messi al bando. Se approvato, il nuovo regolamento colpirebbe soprattutto il cosiddetto settore Horeca (hotellerie-restaurant-café). In molti bar italiani le bevande non potranno più essere servite in contenitori di plastica. I consumatori dovrebbero dire addio anche a vassoi, piatti e tazze usa e getta, borse, pellicole e scatole. Diventerebbero fuorilegge anche bustine, vaschette, scatole monoporzioni o quelle utilizzate per condimenti, conserve, salse e altro.
Un cambiamento radicale che stravolgerebbe i regolamenti introdotti dalla stessa Commissione europea nel 2004 e recepiti dall’Italia con il decreto legislativo n. 51/2004 del 20 febbraio 2004, per lo zucchero e i dolcificanti nei bar. La norma prevede il divieto dello zucchero sfuso nei locali pubblici: “lo zucchero di fabbrica e lo zucchero bianco possono essere posti in vendita o somministrati solo se preconfezionati”. La motivazione era ed è garantire il rispetto di elevati livelli di igiene. Una decisione che venne attaccata accusata di essere causare uno spreco alimentare ed economico non indifferenti. Allora Aldo Cursano, vice presidente vicario di Fipe, dichiarò “non ci sono ad oggi evidenze che dimostrino che l’uso delle tradizionali zuccheriere comporti rischi sul piano della sicurezza alimentare”. Ora per la Commissione questa “igiene” potrebbe non essere più necessaria. Un passo indietro per tornare ai prodotti sfusi o a packaging diverso.
Non è la prima volta che avviene una cosa simile. Nelle scorse settimane, il nuovo governo ha fatto marcia indietro sull’uso del contante ed è stata aumentato il tetto per l’uso del denaro contante. La riduzione della circolazione del contante era stata seguita da mille polemiche. Ma i governi (con l’aiuto di molti dei partiti oggi al governo che poi avevano autorizzato restrizioni ulteriori durante le successive legislature) non avevano voluto sentire ragioni. Ora, gli stessi partiti hanno deciso di fare marcia indietro. Anzi il nuovo governo è andato oltre: ha eliminato l’obbligo di avere a disposizione il POS per pagamenti inferiori ad una certa cifra.
Si tratta di decisioni che dovrebbero far riflettere. Su quali basi teoriche si basano le decisioni prese dai governi? E, di conseguenza, queste scelte sono davvero utili per risolvere i problemi? Ad esempio, la limitazione all’uso del contante è stata stata sempre presentata come strumento per limitare evasione ed elusione fiscale. La prima, in particolare, ammonterebbe ad una percentuale intorno al 5% del PIL annuo dell’Italia (lo stesso Presidente Mattarella ha lanciato un accorato appello). Eppure, secondo molti economisti, il vero problema dell’Italia, oltre agli sprechi, sarebbe un altro: il debito. Ma di questo non ha parlato nessuno. Così come nessuno ha detto nulla dei problemi che ha causato l’obbligo per i negozi di munirsi di POS che ora potrebbe essere inutile.
Stessa cosa per le limitazioni all’uso della plastica. L’ONU ha definito l’inquinamento da plastica il più pericoloso in assoluto. Ma il maggiore inquinamento non deriverebbe dal consumo al dettaglio ma da quello dell’industria. Ogni anno, dalle industrie vengono scaricati nel Mediterraneo quasi 40 milioni di tonnellate di materie plastiche insieme ad altre sostanze inquinanti. Secondo Liberidallaplastica, le imprese non investono nella gestione dei rifiuti che producono e utilizzano esclusivamente plastica vergine, per risparmiare sui costi del processo produttivo. Pesanti le responsabilità anche di comunità locali e governi, che non riuscirebbero a organizzare la raccolta differenziata dei rifiuti. Nel bacino del mar Mediterraneo, in Paesi come l’Italia, la Francia o la Turchia, residenti e turisti, scaricano in mare circa 24 milioni di tonnellate di plastica, e la raccolta differenziata non viene svolta correttamente. Varie ricerche hanno scoperto che sono i sacchetti in polietilene (le classiche buste della spesa), a provocare maggiori danni all’ambiente. Subito seguite dalla bottiglie di plastica. Il loro uso è diffusissimo in Italia, specie per il commercio di acqua potabile. Ebbene, qualche tempo fa, la Gabanelli riportò alcuni dati su questo settore: sarebbero 11 miliardi ogni anno le bottiglie di plastica utilizzate, equivalenti 370 mila tonnellate di plastica. Solo per l’acqua. Accanirsi sulle confezioni monouso creerà problemi a hotel, bar ristoranti e molti altri esercizi: li costringerà a dotarsi di nuovi dispositivi monouso. Ma non risolverà il problema. Lo stesso vale per le industrie alimentari come quelle dei gelati o delle merendine saranno danneggiate: anche queste, in teoria, utilizzano tonnellate di plastica monouso. E anche per loro varrebbero le limitazioni introdotte dal nuovo regolamento. Lo stesso per i supermercati: ad essere messe al bando dovrebbero essere anche le confezioni monouso per frutta e verdura fresca che pesano meno di 1,5 chilogrammi. A meno che non si dimostri che l’imballaggio in questione è necessario per evitare, ad esempio, perdita di acqua o rischi microbiologici. In altre parole che il prodotto si rovini.
La paura è che il nuovo regolamento possa scatenare una corsa alla ricerca di scuse le più disparate per non rispettare i limiti imposti. Ma soprattutto che questi limiti, come ha dimostrato la COP27 appena conclusasi, non serviranno a salvare il pianeta dall’aumento delle emissioni di CO2 e dalle sue conseguenze.