Si ritiene generalmente tramontata l’idea, legata in special modo alla stagione estetica e critica del Romanticismo, secondo la quale l’arte coinciderebbe con l’immediatezza intuitiva, farebbe tutt’uno con la schiettezza e la spontaneità fantastico-sentimentale, e sarebbe tanto maggiormente coinvolgente e riuscita, quanto meno appesantita da ingombranti bardature intellettualistiche, quanto meno subordinata a estrinseche finalità ideologiche, ad astratti presupposti culturalistici.
A ben vedere da sempre la poesia è sublimazione di cultura, frutto di attenta elaborazione stilistico-formale, occasione privilegiata per un confronto ponderato e sollecitante con figure e opere della tradizione storica e letteraria coeva o passata, momento impegnativo di una aemulatio rivolta alla precisazione di un nuovo punto di vista, alla prospettazione di opzioni ideal-problematiche diverse.
Infatti non casualmente la prima sezione della raccolta consiste nel richiamo sistematico a titoli della produzione lirica di Pier Paolo Pasolini menzionati nella loro specificità referenziale, da Le ceneri di Gramsci (1957) a L’usignolo della Chiesa Cattolica (1958), da La religione del mio tempo (1961) a Poesia in forma di rosa (1964) a Trasumanar e organizzar (1971); a Francesco Rossi lo scrittore di Casarsa appare intimamente contraddittorio, diviso fra il rigore della razionalità argomentativa e la passionalità immedesimante, istintivamente e vivamente partecipativa: «…/ In teatro strenuo s’esibisce / il voler che il viscere lacerato, / l’intelletto e il sentire rappresenta. // Vasta delle esistenze la distesa, / il brulicare di vite e passioni / onde il cerebro la tragedia incarna. /…» (A miglior vate le ceneri…).
Soccorrono dei versi compresi nel poemetto eponimo del primo libro pasoliniano rammentato poco sopra: «Mi chiederai tu, morto disadorno, / d’abbandonare questa disperata/passione di essere nel mondo?» (corsivo mio, come sempre in seguito); il nostro autore vi si richiama esplicitamente («…/ Disperata vitalità s’afferma / il valore del personale obiètto, / onde nell’Inferno / si brucia e perde / d’autostrade e di città degradate, / burelle orrende al brulicare ostesse. /…», Trasumanar in forma d’inerte rosa…) e ne fa spunto per un interessante approfondimento della contraddizione alla quale si è fatto cenno: Pasolini è testimone invero vigile («…/ ma nella condizione fuor di speme / s’assedia al proprio tempo il Testimone, / scontrosa erma di corrucciato orgoglio / contro il reo disperdere armonia», La religione del tempo), non nasconde la propria forte vocazione pedagogica: «Smania il Poeta di parlare al mondo, / di raccontare, di offrire se stesso, / a un contesto sociale di valori! // Religioso oscuro cerimoniale, / lugubre cattolico sensuale / per l’ossessione di barocca tinta, / involve ìtere d’Ideologia, / dai riti della tradizione avita, / attraverso la colpa per il vizio, / fino alla scoperta d’agito Vero. /…» (L’usignolo che stonato canta…); nondimeno approda infine a una condizione di disorientamento, di ripiegamento etico-intellettuale, di scacco: «L’abiura scocca come a giovanile / errore, al mondo perso d’ideali, / belle bandiere per sempre vanite. // Rimorde allor l’oratoria all’impegno, / trasumanar organizza l’esistenza, / flusso che non s’arresta al personale / d’occasioni e d’incontri all’abbandono, / polemica riflessa condizione / di qual difficile uman sia salto» (Trasumanar in forma d’inerte rosa…, op. cit.). […].