A piedi nudi si è sempre a contatto con la terra. A piedi nudi il corpo “sente”i rigurgiti della terra, i diversie vari elementi, le diverse materie di cui è fatta la Natura.I piedi nudi nella sabbia affondano lasciando ormecome testimonianze, come percorsi da lasciare in eredità alle future generazioni, segnandoun cammino di ombre e di luci.Ed è in questa prospettiva che la silloge di Gabriella Vicari deve essere vista, un percorso dove lei stessa s’interroga e si da risposte, dove esprime in versi ciò che sente e che ama trasmettendo al lettore percezioni e sensazioni con la dolcezza e la delicatezza che la distingue senza inutili mielismi.Scriveva Platone: ogni atto per il quale qualcosa passa dal non essereall’esserequella è poesia, cioè è un procedimento in movimento così come tutta la versificazione in “A piedi nudi”è qualcosa che s’impregna nell’animo della poetessa (il non essere)per approdare vera, molto vera, nell’esserecartaceo del libro.
[…] Luce d’argento,
solitario canto,
dell’incanto del mare,
di acqua limpida,
di onda che fluttua,
d’aurora,di notte,
di luna.[…]
Dicevo un movimento, quel procederecome atto di passaggiodalla materia alla forma che si generadentro di noi, dentro il poeta, che è il frutto delle nostre esperienze (Rainer Maria Rilke) e che nella silloge della Vicari così è, carattere che dà alle suepoesiequel senso di veridicità, di sincerità, di autenticità.Argomento che preme su tutti è l’amore per la Natura, quella Physis, che è sostanza, è amore per i propri luoghi, per i propri cieli, il proprio mare con tutto ciò che ne consegue a partire dallo scorrere delle stagioni. […] osservo il pulsare/della natura/che consola e salva[…] oppure […] Ascolta la rugiada/serva del sole/scioglie il segreto/in lacrime lucenti[…] oppure ancora […] Ulivi brillanti/gravidi di frutti maturi/aspettano mansueti/le mani sagge/di anziani risoluti[…] Stagioni che diventano metafore di vita quotidiana, pretesti per innalzare altri inni alla Natura, per divinizzare il proprio sentire, per annunciare nuovi cambiamenti ma anche per esorcizzare ogni attesa. Il poeta sa cos’è l’attesa, il poeta sa attendere, il poeta sa che la pazienza è tutto,così come quando si attende il primo verso. E Gabriella sa che non c’è forzatura alcuna nello scrivere poesie senza che sia essa a bussare alla sua porta.Sa che ogni vissuto deve travalicare la rete dell’infinitoe deve terminare il suo percorso là, dove non è più superficie e dove tutto diventa legge iTrovai la luce/tra le paure/di chi racconta/il domani degli altri.E gli anni che passano ci attraversano come gli invisibili neutrinie noi caramente li mettiamo nella cassaforte della memoria perché non vengano mai cancellati, la vita inesorabile va avanti e tutto quello che è stato diventa nostalgia, dolore di un ritorno, che a volte ci fa gioire, spesso ci intristisce. Ma cos’è un uomo, una donna senza memoria? Niente, il vuoto… e allora rimane una consensuale convivenza, un equilibrio tra l’essere stato e l’essere reale.
Gli anni ci attraversano/il travagliato parto/di un addio senza ritorno./Una strada che si perde/nel nostro occhio incerto/una mano che spezza/la paura e il dolore/una sera che fa buio/nel coraggio del domani.
Ma l’epifania di questo volume la trovo nell’unico dono che Pandora riuscì a custodire nel vaso richiudendolo in tempo: la speranza, quell’Elpis che nella mitologia greca rappresentò la personificazione dello spirito della speranza. E si.
E’ una vera epifania in “A piedi nudi” dove la poetessa non riesce a chiudere in malincholiae ci da spiragli di fiducia, di ottimismo come una forza ad andare avanti.
…e l’ardire di chi sul filo/vive la speranza
….una sera che fa buio/nel coraggio del domani
….un raggio di sole/si scorge da est
….come fiori al tramonto/confidando di rinascere
….vesto di forza e speranza/mi copro di luce che desta.
Questi alcuni versi che danno epilogo ad alcune delle poesie inserite nella silloge che denotano il carattere unico della poetessa Gabriella Vicari, sempre proiettato in avanti, chiaro, limpido, ottimisticoda annoverare trale poetesse bianche, come direbbe René Daumal nel suo libro“La conoscenza di sé”, dove ogni germe della poesia sembra emergere dalla luce e che apre le porte di un mondo,quello dell’unico sole, senza illusione, senza incantesimi, realee che regala all’animo del lettore quel brillìo di un raggio di sole che batte sull’acqua.