Quel che resta di questo tempo “traumatizzato”: riflessioni di fine anno

Articolo di Lavinia Alberti

2020. Anche quest’anno volge al termine. Un anno che tutti noi ricorderemo come l’anno dell’inaspettato, dell’inatteso, delle paure, delle angosce, dei traumi, delle distanze, delle mancanze…insomma: l’anno dell’inimmaginabile, delle sfide da superare, in cui tutti noi siamo stati messi a dura prova, chiamati a rinunciare alla nostra routine, ai nostri affetti nella maniera tradizionale, a salvare con i nostri esempi e i nostri comportamenti vite umane di amici, compagni, madri, padri, nonni, figli, fratelli.

Quelli appena trascorsi e che stiamo vivendo sono stati e continuano ad essere mesi di sacrifici estremamente angoscianti, claustrofobici, la cui angoscia non nasce solo dall’idea che a causa del Covid stiamo perdendo momentaneamente la nostra libertà e le nostre abitudini (prima date per scontate), ma anche dal fatto che non ne vediamo una conclusione: un lungo incubo da cui tutti noi vorremmo svegliarci presto. Stiamo vivendo, è vero, qualcosa che difficilmente si ripeterà nella storia. Una pandemia che forse non a caso ci è “capitata” proprio in questa epoca storica. Perché, vi chiederete? Perché credo che ogni evento contenga sempre  (dietro le quinte) una grande lezione, un messaggio che evidentemente in questo caso dovevamo fare nostro, in questo momento, e non in un altro. Prima dell’avvento della pandemia, cosa che ho sempre pensato e percepito, eravamo troppo frenetici e tendevamo a dare tutto per scontato. Non parlo solo dei legami umani, ma anche di certe azioni, di certe libertà e di certi automatismi che consideravamo ovvi.

E’ un tempo questo che definirei “traumatizzato”. Molti di noi infatti hanno perso in queste settimane e in questi mesi parte dei loro cari, senza neppure poterli stringere e vedere per l’ultima volta, e si porteranno dietro questa ferita per lungo tempo. Altri invece si trascineranno determinate paure per molti mesi, forse anni. La paura per esempio di ritornare alla vicinanza di prima (un paradosso!). Questa privazione del quotidiano e del tangibile si sta vivendo e acuendo ancor di più in queste festività natalizie. Penso a tutte quelle persone che per le restrizioni causate dal Covid per la prima volta non si sono potute ricongiungere con la famiglia e con gli amici di sempre, come pure a tutti quegli anziani (e non solo) che sono rimasti in ospedale a causa della malattia, che in questo momento sono lontani dagli affetti stabili perché impegnati a lottare per la loro vita. C’è poi, oltre a quello affettivo, un altro aspetto molto importante da non sottovalutare in questo periodo di emergenza sanitaria ed economica: quello lavorativo. Milioni di persone a causa di questa pandemia hanno perso il lavoro, e chi non l’ha perso sente comunque un grande senso di precarietà, perché il Covid, purtroppo è così, ha cambiato e sta cambiando in parte anche il mercato del lavoro, ridisegnando i mestieri del futuro che forse dopo questo lungo incubo saranno diversi, più orientati alla digitalizzazione e allo smart working.

Da mettere nel conto sono poi, oltre alle diseguaglianze sociali che si sono acuite, i problemi psicologici che questa pandemia ha creato, legati alla paura di immaginare un dopo al termine di tutto questo. Problemi e paure che si possono a mio parere affrontare e gestire dandosi del tempo, allenando noi stessi alla “cura del nostro sguardo sulle cose”, come direbbe il poeta Franco Arminio. Ed è proprio in un momento così buio che dobbiamo tirare fuori questo sguardo, questo approccio alla vita. Perché, nonostante la catastrofe che tutti noi stiamo vivendo, soltanto acquisendo quotidianamente questa fiducia nella vita, questo senso di responsabilità, questa coesione e questa consapevolezza possiamo uscire meglio tutti quanti da questa situazione, e affrontare il nuovo anno che è alle porte. Ecco, a proposito: io comincerò questo 2021 smettendo di rimandare a domani cose che potrei fare oggi. Come? Chiamando ad esempio una persona che non sento da tempo, incoraggiando l’amico che è sfiduciato perché non vede una prospettiva, mettendo in discussione ciò che avevo dato per scontato prima di questa pandemia, creando valore lì dove sono, a partire dal momento presente, perché non c’è cosa più bella che trarre gioia da ogni momento, seppur difficile.

Il mio augurio è che ognuno di voi possa dunque iniziare il nuovo anno con coraggio, e soprattutto fiducia (affidandosi all’impermanenza di questo mondo così complesso). Perché tutto ciò che ci sembra un abisso, che ci spaventa e che abbiamo perso ci torna sempre in altra forma.

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