Mariano Laurenti è tra gli artefici del lancio cinematografico italiano di Edwige Fenech che diventa una protagonista indiscussa dell’antesignano della commedia scollacciata: il decamerotico. Vanno ricondotti a questo sottogenere tutti quei film che prendono le mosse dal Decameron (1971) di Pier Paolo Pasolini ma che si differenziano per una maggior attenzione ai temi erotici e farseschi. Mariano Laurenti gira La bella Antonia prima monica e poi dimonia e il fondamentale Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda. Il Decameron di Pasolini è il modello colto di riferimento al quale si ispirano tanti registi che si dedicano al sottogenere, tanto che solo nel 1972esconobentrentadue film decamerotici. La moda si affievolisce presto e dura solo tre anni, alla fine del 1975 già non si parla più di decamerotico. Altri generi popolari come lo spaghetti-western e il poliziottesco durano molto di più, ma quello che affretta la fine del decamerotico è proprio la nascita della commedia sexy e scollacciata ambientata in tempi moderni.
Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda (1972) deve la sua fortuna a un titolo volgarissimo che promette molto più di quanto mantiene. Lo stesso film con un titolo normale non avrebbe prodotto lo scalpore che fece al tempo e forse neppure la riabilitazione da parte di Walter Veltroni. Quel gran pezzo dell’Ubalda … è scritto e sceneggiato da Tito Carpi, Luciano Martino e Carlo Veo, la fotografia è di Tino Santoni, il montaggio di Giuliana Attenni, le scenografie e i costumi sono di Antonio Visone e Oscar Carboni, le musiche di Bruno Nicolai. Produce Luciano Martino, il compagno della Fenech, per Lea Film. Ottimo il cast composto da Edwige Fenech nei panni della mitica Ubalda, Pippo Franco (Olimpo), Karin Schubert (Fiamma), Umberto D’Orsi (Oderisi), Gabriella Giorgelli, Carla Mancini e Pino Ferrara. Il film è inserito tra i decamerotici ma lo schema narrativo è insolito perché non c’è una voce narrante e manca la suddivisione in novelle o episodi. Si tratta di una normalissima storia di corna con protagonista un giovane Pippo Franco, al massimo della forma nei panni dello scalcagnato soldato Olimpo. Umberto D’Orsi è una spalla eccellente nei panni del mugnaio Oderisi. Olimpio torna dalla guerra assetato e con una voglia tremenda di far l’amore, la sua armatura è così mal ridotta che cade a pezzi e quando si getta sotto una fontana pare un soldato di latta che zampilla dai fori che si ritrova addosso. Passa di là un frate (l’ottimo Pino Ferrara che sarà una costante del film), Olimpo tenta di rapinarlo ma rimedia solo una randellata, subito dopo i due diventano amici e mangiano insieme una gallina rubata. Siccome siamo in un decamerotico è buona regola che il frate non sia insensibile ai piaceri della carne, quindi lo vediamo di nuovo randellare Pippo Franco per farsela al posto suo con una stupenda Gabriella Giorgelli, nuda e disponibile in un pagliaio. Olimpo deve restare con la voglia anche a casa, visto che la moglie Fiamma ha promesso due settimane di castità a San Fruttuoso per ringraziarlo di aver protetto il marito. Intanto però se la spassa con diversi amanti nascosti dentro bauli, tini, armadi e perfino sotto il letto. Olimpo le aveva messo la cintura di castità (leitmotiv della pellicola) ma non serve a niente perché Fiamma ha fatto più copie delle chiavi che ha consegnato a tutti i suoi amanti. Tra l’altro il ritorno di Olimpo è accolto nell’indifferenza generale, persino il cane si limita a pisciargli addosso, la moglie si fa il bagno e la governante lo disprezza. Karin Schubert è doppiata ma è brava nel recitare una parte comico-erotica maliziosa da moglie infedele, la sua bellezza in seguito la farà diventare diva del porno. A proposito di battute comiche questa prima parte ne è piena e sono tutte di Pippo Franco in romanesco, che prima rivolto al frate dice: “Vie’ un po’ qua che te mando a trova’ lo principale tuo che sta’ in Paradiso!”, poi alla moglie che si nega: “Manco uno peccatuccio svertino?” e infine al santo: “Fruttuoso, vie’ qua che te devo di’ una cosa: ma vaffanculo … va’!”. A questo punto comincia la sfida tra lui e il mugnaio Oderisi che ha da poco sposato la bella Ubalda, definita dalla moglie di Olimpo “una santa donna”. Edwige Fenech entra in scena alla grande per smentire le parole di Fiamma e la vediamo in una bella sequenza erotica mentre incorna il marito con un amante truccato da pettinatrice. Il mugnaio Oderisi parla un livornese di provincia molto buffo ed è gelosissimo della moglie, ma Ubalda se la fa lo stesso con tutti quelli che capitano a tiro. Ci prova pure il medico, nonostante il marito le studi tutte per non lasciarli soli, vorrebbe addirittura ascoltare lui il cuore e dopo riferire al medico perché teme che possa toccarle il seno. Fortuna che il dottore è vecchio e non ce la fa. “Con lei non basterebbe un mese” conclude Ubalda scoraggiata. Olimpo vede Ubalda e si invaghisce di lei, non ce la fa a staccarle gli occhi di dosso, ma il mugnaio se ne rende conto e tra i due finisce in rissa. Nella scena ci sono diversi primi piani sul seno della Fenech e subito dopo viene inquadrato pure il suo sedere oggetto del desiderio. Qui si innesta la famosa sequenza onirica con Pippo Franco che sogna Edwige Fenech mentre corre libera in un prato con il seno al vento, vestita di un velo bianco e con le mutandine chiuse dalla cintura di castità. C’è una musica suadente e sono belli i primi piani dei due attori (soprattutto della Fenech) con Olimpo che sogna di fare l’amore. Nel frattempo la moglie mette trappole per topi nel letto per non essere insidiata e Pippo Franco si lascia andare: “Una trappola pe’ li sorci? Ma almeno me potevi fa’ arriva’ ar formaggio!”. Olimpo prova a travestirsi da pittore e si finge omosessuale per convincere Oderisi a farlo salire in camera con Ubalda e dipingerla nuda. Qui abbiamo altre sequenze piccanti con la Fenech che si mostra senza veli. I garzoni del mugnaio spiano la scena da una scala e lo spettatore vede le nudità della Fenech tramite gli occhi di chi spia e si immedesima in una scena ricca di voyeurismo. La cintura di castità di Ubalda complica le cose, Oderisi si insospettisce e fa irruzione nella stanza dopo che ha visto il finto pittore senza la barba. Il marito tradito smaschera Olimpo che cade dalla finestra insieme ai garzoni e durante la fuga si imbatte di nuovo nel frate che lo riempie ancora di legnate. Mitica la battuta di Olimpo: “A fratacchio’, sei sempre su’ ’a strada mia, nun ce passi mai pe’ vaffanculo?”, che (come tutte le altre) regge solo perché a dirla è Pippo Franco. Siccome il frate “quando non mena magna” (per dirla con Pippo Franco), i due finiscono a mangiare insieme e il frate ha pure un’avventura con una servetta alla quale deve spiegare il senso del peccato perché possa sfuggirlo meglio. Oderisi finisce alla gogna, perché ha confuso il vero pittore mandato dal duca a dipingere Ubalda con Olimpo e lo ha preso a botte. Pippo Franco ci prova ancora e indossa l’armatura cavalcando un asino per conquistare la Fenech che intanto se la spassa con un giovane amante. Pure in questa scena l’attrice si mostra con generosità, pur senza nudità integrale. La battuta del comico è legata ai tempi di un Carosello che per mezzo di un pugno corazzato pubblicizzava “Petrus, l’amarissimo che fa benissimo”. Pippo Franco si definisce: “il durissimo che fa benissimo”, mentre bussa con la sua armatura alla camera di Ubalda. Al grido di “Non è lo marito mio!”, esce l’amante dal nascondiglio, lo colpisce con una mazza ferrata e si libera del corpo gettandolo in un pozzo nero. Stessa sorte capita a Oderisi che, tornato a casa e venuto a sapere della storia di Olimpo, decide di vendicarsi e di andare anche lui a letto con sua moglie. Oderisi si veste con l’armatura di Olimpo, ma Fiamma lo scopre e chiama il suo amante che lo stende con un colpo di randello e getta il corpo nel pozzo nero. Tra lo sterco e i rifiuti i due nemici si ritrovano (“Stamo tutt’e due nella merda” dice Pippo Franco) e stringono un patto di alleanza per scambiarsi le mogli, ma neppure questa cosa va a buon fine e a godere delle grazie delle belle spose è il solito fratacchione di passaggio. Alla fine Olimpo acquista una nuova cintura di castità dal fabbro Mastro Deodato che gli mostra gli ultimi ritrovati (“Perché li avevate persi?” chiede Pippo Franco). Questa cintura è una specie di ghigliottina per piselli, sembra che lasci via libera ma quando l’arnese è entrato lo affetta senza pietà. Si dà il caso che Odorisi acquista la stessa cintura per Ubalda e pure lui la fa indossare alla moglie. Quando il patto per scambiarsi le consorti va a buon fine nella notte si ode un doppio grido di dolore: i due nemici si sono tirati a vicenda uno scherzo mancino. Finiscono a cantare in chiesa nel coro delle voci bianche capitanato dal fratacchione impenitente. Le mogli sorridono e attendono solo di concedersi ancora ai giovani amanti in attesa.
Il film è importante perché anticipa molti elementi tipici della futura commedia sexy, come quella con i ragazzi che si arrampicano su di una scala per spiare la Fenech che si spoglia, e le mescola con altre tipiche del decamerotico (frati che seducono ragazze e simili). Molte le scene sexy con la Fenech svestita e su tutte va citata una sensuale corsa nuda per i prati, ma pure le belle comprimarie non sono da meno. Per Mereghetti il film è degno di una sola stella e il critico milanese lo definisce un titolo leggendario per un caposaldo del softcore nostrano, che trabocca di volgarità e stupidità a ogni fotogramma. Per la produzione fu un successo perché costò sessanta milioni di lire e ne incassò settecento. Sul set ci furono alcune gelosie tra la bionda Karin Schubert e la mora Edwige Fenech, l’una diceva male dell’altra ed entrambe sostenevano di essere trascurate dal regista. La Fenech aveva un bubbone post operatorio sul naso che si era appena rifatta e allora veniva usata la Schubert per tutte le scene dove si doveva coprire il profilo della bella franco-algerina. Una pessima imitazione di questo film esce nel 1975 a firma di Luciano Dandolo che dirige Quant’è bella la Bernarda tutta nera, tutta calda. Pure gli attori sono poco noti e per niente in parte: Mario Brega, Mariangela Giordano e Claudia Bianchi. Il film è uno stanco decamerotico che rappresenta il canto del cigno di un genere tutto italiano che ha dato pure buoni prodotti. Nei primi anni Novanta, dopo la rivalutazione di Veltroni, c’è un tentativo di remake da parte di Galliano Juso e di Enrico Ghezzi con l’improbabile titolo Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta rinuda e tutta ricalda. Se ne parla molto ma non se ne fa di niente. Il produttore Luciano Martino realizza Chiavi in mano (1996), un pessimo remake girato dallo stesso Mariano Laurenti. La scelta degli attori si dimostra infelice e contribuisce all’insuccesso del film. Martufello e Vastano non hanno la simpatia di Pippo Franco e di Umberto D’Orsi, così come Angela Cavagna e Cinzia Roccaforte fanno rimpiangere Edwige Fenech e Karin Schubert. La bellezza non basta. Sono passati venticinque anni, non è facile rifare un film così datato e legato al gusto di un’epoca. Cinzia Roccaforte (attrice cara a Tinto Brass) nei panni di Ubalda si prodiga nel remake della corsa nuda sul prato, ma non fa lo stesso effetto di Edwige Fenech. Lo stesso Laurenti confessa che fare quel film è stato un errore perché i giovani non hanno più la bramosia che avevano un tempo di vedere certe scene erotiche.