La Gerusalemme liberata è l’opera più rappresentativa della sua epoca, e della cultura italiana cinquecentesca in particolare, sia per quel che riguarda l’aspetto ideologico e tematico, sia per quel riguarda il versante estetico e formale. Torquato Tasso (1544-1595) dipinge con le parole quel «picciol mondo» guerresco e cavalleresco dominato da un’intensa spiritualità. È il mondo dell’«arme pietose».
Il Cinquecento è un secolo di grandi cambiamenti che si apre nel segno di una crisi profonda, rappresentata dalla Riforma protestante. Il Cinquecento è il secolo delle riforme.
Il 31 ottobre 1517 Martin Lutero, come dottore di teologia, è consapevole delle usurpazioni della Chiesa, per questo sostiene le sue idee e pubblica in latino le sue tesi, affiggendole, in quella «epocale» data, alla porta della chiesa del castello di Wittenberg. Da quel momento, si apre in seno all’Europa un dissidio ben più che dottrinale e teologico, riguardante questioni di fede, ma universale e ideologico riguardante il ben più eterno conflitto fra «libertà e autorità».
Come scrive Francesco De Sanctis, nelle celebri pagine dedicate al Tasso in Storia della letteratura italiana:
«La Riforma avea per bandiera la libertà di coscienza e la competenza della ragione nell’interpretazione della Bibbia e nelle questioni teologiche; il romanismo avea per contrario a fondamento l’autorità infallibile della Chiesa, anzi del papa, e l’ubbidienza passiva, il «credo quia absurdum» […] La Chiesa, anzi il papa si proclama solo e infallibile interprete della verità, e dichiara eretica non questa o quella proposizione solamente, ma la libertà e la ragione, il diritto di esame e di discussione. Da questa lotta esce il concetto moderno della libertà. Presso gli antichi libertà era partecipazione de’ cittadini al governo, nel qual senso è intesa anche dal Machiavelli. Presso i moderni accanto a questa libertà politica è la libertà di coscienza, cioè a dire la libertà di pensare, di scrivere, di parlare, di riunirsi, di discutere, di avere opinione e di divulgarla e pensarla: libertà sostanziale dell’individuo, diritto naturale dell’uomo […] Il concetto opposto fondato sull’onnipotenza della Chiesa o dello Stato è il diritto divino, la teocrazia, il cesarismo, assorbimento dell’individuo nell’essere collettivo, come si chiami, o Chiesa, o stato, o papa, o imperatore».
L’Italia della Controriforma, è un Italia «stanca e scettica»: la tempesta rivoluzionaria e sradicante della Riforma protestante nella nostra penisola non trova quei venti propizi capaci di alimentarla. Questo succede a causa del carattere degli italiani, oscillante fra l’assenso passivo e ipocrita delle classi colte, e la sonnolenza delle plebi, prive di qualsiasi senso e di qualsiasi orgoglio nazionalista.
Ma la febbre rivoluzionaria protestante è in Italia timida anche a causa della presenza forte e minacciosa della Chiesa, pronta ad eradicare qualsiasi traccia, parvenza, o sentore di dissenso (a tal proposito basti semplicemente ricordare i più che noti epiloghi delle vicende che sul finire del secolo XVI e l’inizio del XVII videro protagonisti il nolano Giordano Bruno e il pisano Galileo Galilei).
Il principio divino viene dichiarato inviolabile, un’autorità alla quale adeguarsi, volenti o nolenti, perché da essa, e soltanto da essa, sarebbero scaturiti i princìpi di vita, senso e verità.
Il Cinquecento è dunque il secolo dell’autorità, delle gerarchie e della forma. In campo religioso la Chiesa cattolica stabilisce dottrine e dogmi di fede; in campo linguistico nasce e si forma l’Accademia della Crusca (1583) – la più antica accademia linguistica del mondo – che in un laico e pedantesco concilio tridentino stabilisce i suoi dogmi grammaticali sui biblici esempi di Petrarca e Boccaccio; in campo poetico è questa l’epoca della riscoperta della Poetica di Aristotele, e dunque l’epoca dei dogmi artistici generativi per la creazione di un perfetto monumento poetico.
L’assenza di riflessione teorica precedente a qualsiasi attività o azione umana è insomma impensabile. Il giovane Tasso nasce in quest’epoca fortemente ossequiosa, e ne risente durante la sua formazione. In Tasso, l’attività di artista e di poeta è secondaria a qualsiasi tipo di riflessione teorica sulla poesia «Il Tasso…era già critico prima di essere poeta», scrive ancora il De Sanctis. Questo atteggiamento maniacale verso la forma, proprio del secolo, ci aiuta anche a spiegare certi comportamenti che l’autore ebbe nei lavori di composizione e revisione delle sue opere in generale, e del poema eroico in particolare. Un atteggiamento ossessivo, orientato verso la perfezione.
Alla composizione della Gerusalemme liberata Tasso dedicò tutta la sua vita. L’autore ebbe in sé l’ambizione di dare all’Italia volgare la sua Iliade, la sua Eneide.
A soli sedici anni, il giovane Torquato detto «il Tassino», per distinguerlo da Bernardo suo padre, già celebre poeta, individuò nella materia della I Crociata l’argomento migliore per il proprio esordio poetico. Nacque così un abbozzo di 116 ottave, Il Gierusalemme, opera di un autore carico di freschezza e giovinezza poetica. Lo stile serio ed eroico di queste prime ottave documentano le prime prove di quel registro poetico che Tasso frequenterà per più di trent’anni.
Ma, l’ambizione poetica del giovane autore, in sé, non bastò a sostenere le complesse questioni di stesura di un poema regolare, cioè rispettoso dei precetti indicati dalla Poetica di Aristotele. È per questo motivo che il giovanile progetto fu messo da parte, proprio in corrispondenza dell’arrivo dell’esercito crociato presso la città santa, quando cioè la macchina della narrazione doveva mettersi in moto. Proprio in questo senso bisogna interpretare i contemporanei impegni di scrittura del Rinaldo e dei Discorsi dell’arte poetica.
Se il romanzo cavalleresco del Rinaldo rappresentò per l’autore una sfida per provare il suo istinto creatore in episodi e scene rappresentanti «le donne, i cavalieri, le arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese», i Discorsi rappresentarono invece il luogo in cui Tasso avrebbe dovuto fare scuola di precetti tecnici.
Essi svolgevano un primo approfondimento del patrimonio delle dottrine di Aristotele e in particolare della Poetica, l’opera ormai assunta da decenni come testo di riferimento per la definizione dei generi letterari. Tasso si impegnava qui in una ricerca capace di conciliare felicemente i precetti di marca aristotelica e i bisogni del pubblico moderno, profondamente influenzato dal gusto ariostesco, nella definizione di nuove norme per la composizione di un moderno poema eroico:
«…in quei Discorsi che m’uscirono da le mani essend’io giovinetto, non volli diminuire in alcuna parte la riputazione di quell’autore, ma cercar la verità, e trovar la dritta strada del poetare, da la quale molto hanno traviato i moderni poeti. E benché io non dovessi, per l’età mia giovanile, farmi guida degli altri, nondimeno, vedendo molte strade e calcate da molti, non sapeva quale eleggere; e mi fermai tra me stesso discorrendo in quel modo che fanno i viandanti ove sogliono dividersi le strade, quando non si avvengono a chi gli mostri la migliore. E scrissi i miei Discorsi per ammaestramento di me stesso, i quali sottoposi al giudicio altrui, come coloro che dimandano consiglio».
Con l’arrivo a Ferrara alla corte degli Estensi, Tasso riprese in mano il vecchio abbozzo del poema eroico con l’intento di rinnovarlo e portarlo a termine per soddisfare la sua vocazione di grande poeta e la sua mansione di celebratore della grandezza della famiglia signorile. Dal 1565 cominciò un’intensa attività di scrittura del Gottifredo, che vide il periodo più complesso e impegnativo nel 1575-1576, gli anni della revisione romana. Ma successivamente sopraggiunse la malattia, Tasso fu rinchiuso prima in carcere e poi nell’Ospedale di Sant’Anna. Non riuscì, nelle sue condizioni di egro infermo, ad impedire che la sua opera fosse pubblicata. Così, nel 1581 la Gerusalemme liberata vedeva la luce, nella sua veste integrale, a cura di Angelo Ingegneri. Ma già negli anni precedenti erano comparsi alcuni canti in edizioni pirata. Il successo fu immediato.