Quel “soffio di vento a Buenos Aires” nelle pagine di Matteo Femia

Articolo di Francesco Pira

“Un soffio di vento a Buenos Aires. L’epopea di una famiglia tra Friuli, Balcani e Argentina” è l’ultimo libro di Matteo Femia, edito da Qudulibri (2022).

Matteo per me è uno straordinario amico e lo considero un grande professionista, capace di arrivare al cuore delle persone e di offrire sé stesso ai suoi lettori. Ma è stato anche un mio studente all’Università di Trieste e di questo ne sono particolarmente orgoglioso.

Mi ha donato questo suo ultimo lavoro e la sua dedica mi ha commosso: “Scrivere è un’avventura che ho iniziato con te e grazie a te. È un onore con profonda amicizia”. Parole meravigliose che racchiudono il senso del nostro importante legame. Io e Matteo siamo stati coautori del libro-biografia Bruno Pizzul, una voce Nazionale (Lupetti Editore, 2012). Una collaborazione che ci ha resi ancora più uniti e ci ha arricchiti professionalmente.

Matteo, classe 1981, è riuscito a raggiungere innumerevoli traguardi e ha dimostrato il suo desiderio di crescere attraverso nuove esperienze e nuove consapevolezze.

Laureato in Scienze della Comunicazione, è nato da papà calabrese e mamma friulana a Cormons (Gorizia). Vive e lavora in Friuli Venezia Giulia, coronando il suo sogno quello di fare il giornalista.

Ha pubblicato il romanzo “Minimo comun sax tenore” (Eve Edizioni, 2015) e la raccolta di racconti brevi “Il letargo degli orsi a Sarajevo”. “Nove vicende viandanti di uomini e di frontiere” (Qudulibri, 2020) con il quale ha vinto la prima edizione del Premio letterario “Roberto Visintin”. Ha inoltre, ottenuto il Premio letterario “Dolfo Zorzut” con il racconto “L’ultimo passaggio” e ha ricevuto, come giornalista sportivo, il Premio “Simona Cigana”. Innamorato di quei luoghi osmotici complessi e storicamente non banali come il suo Friuli Venezia Giulia e la ex Jugoslavia, è da sempre interessato alle vicende di immigrazione delle sue terre verso il continente latinoamericano. Le terre di frontiera spiegano le diversità presenti nell’animo umano. In questo suo secondo romanzo, le raccoglie in un unico metaforico abbraccio. Cosi come sottolinea l’autore nella sua nota: “Questo libro intende rafforzare quest’identità comune, condivisa, complessa tra due terre e due popoli nelle cui vene scorre spesso lo stesso sangue”.

La trama del libro è davvero interessante e riguarda la saga famigliare dei Vidoni. Protagonisti sono due gemelli, Remo e Tobia. La loro storia non è realmente accaduta, ma le loro vicissitudini sono uguali a quelle di tante famiglie che hanno visto partire ed emigrare i propri cari. Vengono ripresi gli anni della dittatura di Videla e dei desaparecidos, un avvenimento tragico. Quanto accaduto in Argentina tra il 1976 e il 1983 è indescrivibile “La situazione dolorosa dei desaparecidos e simile ai nostri corregionali emigrati in Argentina che sono stati uccisi dalla dittatura. I prigionieri politici venivano uccisi nel peggiore dei modi e con tanta disumanità”, sostiene l’autore.

La quarta di copertina fornisce alcune informazioni per il lettore: “La partita alla televisione gli sembrava […] una perfetta allegoria della sua situazione: il confronto tra terre sorelle, frementi, maledette, in costante contatto l’una con l’altra senza avere mai però la possibilità di toccarsi davvero. Terre che vivevano angosce parallele. Un Friuli ancora ferito dal terremoto. Un’Italia ancora preda del terrorismo, con il cadavere dell’onorevole Aldo Moro ritrovato in via Caetani a Roma poco più di un mese prima. Un’Argentina in cui i desaparecidos aumentavano ogni giorno di più. Erano terre che ingoiavano fratelli, per sputarli poi in un altrove lontano, in posti a volte incomprensibili, a volte sconosciuti. Forze ancestrali dunque si sfidavano su un campo verde rettangolare, mentre l’autunno sudamericano irrobustiva il suo pelo in vista dell’imminente, sempre più gelido inverno”.

Una narrazione chiara e densa di valori che, in modo semplice e chiaro, vuole combattere ogni forma di discriminazione. La società è stata travolta da tanto egoismo e noi abbiamo bisogno di persone come Matteo per comprendere quanto sia necessario riscoprire la vita e che gli uomini, le donne e i bambini non sono numeri che servono a fornire statistiche.

Ho affrontato, in questi anni, diverse ricerche legate al tema dell’immigrazione. Una questione che divide e fa discutere l’opinione pubblica, perché ognuno di noi tende a dimenticare e a perdere la memoria storica.

Come sostiene, Tahar Ben Jelloun, scrittore e saggista marocchino: “Siamo sempre lo straniero di qualcun altro” e dovrebbe essere il punto di partenza su cui meditare.

L’Italia è punto di approdo per tanti migranti. Arrivano bambini senza i loro genitori, donne che sono state violentate in Libia e uomini che sono stati perseguitati. Le storie che le Onlus registrano sono atroci e allucinanti. La dignità dell’uomo viene assolutamente calpestata da aguzzini senza scrupoli. Il conflitto russo-ucraino ha riaperto il dibattito, perché sono tanti gli ucraini che cercano un rifugio nel nostro Paese.

Papa Francesco è intervenuto più volte e nel suo messaggio per la 108ª Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, il 25 settembre 2022, dal titolo: “Costruire il futuro con i migranti e i rifugiati” ha detto: “Costruire il futuro con i migranti e i rifugiati significa anche riconoscere e valorizzare quanto ciascuno di loro può apportare al processo di costruzione” – ha affermato – “Gli stranieri non sono invasori e distruttori. Il loro contributo potrebbe essere assai più grande se valorizzato e sostenuto attraverso programmi mirati”.

Purtroppo, la comunicazione deve combattere con quelle che i sociologi, Guido Gili e Fausto Colombo, definiscono come “operazioni e strategie con cui gli individui cercano di fabbricare false cornici o sfruttare la loro ambiguità”.

Uno sfruttamento che beneficia delle debolezze del sistema informativo. Se infatti il dell’immigrazione copre il 25% dell’offerta disinformazione mentre rappresenta solo il 9% dell’offerta informativa giornalistica il disequilibrio associato alla forza virale del sistema della disinformazione produce conseguenze profonde sui processi di costruzione dell’opinione pubblica.

L’autore di questo libro ci ricorda quanto veicolare la realtà sia indispensabile per evitare la diffusione di fake news. Nella rappresentazione della migrazione dove si assiste alla costante alterazione della realtà. Si realizza così una manipolazione che ha effetti profondi sui modelli culturali e cognitivi degli individui distorcendo i meccanismi di costruzione della fiducia e credibilità. L’accesso ai social ha favorito questo processo, visto che non vi è più controllo sulle notizie, condivise sempre più velocemente e con contenuti personalizzati. La rappresentazione del fenomeno migratorio si innesta in questo processo, diffondendo nei cittadini un sentimento di insicurezza e rifiuto nei confronti dei migranti.

Femia, studioso attento e impegnato, sa che sono stati tanti i casi di matrice xenofoba e razzista e ci aiuta ad avere coraggio per affrontare la paura e gestire le informazioni.

Una sfida di rilevanza globale che deve raggiungere un traguardo indispensabile: uscire dalla dinamica click response, per utilizzare la tecnologia come parte di un processo evolutivo che non genera semplicemente interconnessioni ma è in grado di dare vita a nuovi modelli relazionali in una reale integrazione e nel recupero di quella umanità che sembra ormai perduta.

Grazie Matteo, perché sei riuscito a donarci un libro originale e costruttivo. La tua delicatezza apre al confronto, all’amore e al rispetto per l’altro ed io sono certo che i tuoi lettori ti apprezzeranno cosi come ti apprezzo io, accogliendo il tuo dolce pensiero.

Related Articles