Era il 29 aprile del 1994 il Papa, Papa Wojtyla, doveva venire in visita pastorale a Catania e a Siracusa. La visita fu fissata dal Vaticano per il 30 aprile. Il Giornale di Sicilia ci convocò, e noi nella stanza dell’allora capo redattore Giovanni Rizzuto partecipammo a quella riunione. Dovevamo decidere la strategia per portare le fotografie in tempo al giornale il giorno dopo. Allora non esisteva il digitale e le pellicole dovevi svilupparle tornando indietro il più velocemente possibile. Poi dovevi stampare le foto e dovevi fisicamente portarle al giornale. Rizzuto con fare perentorio ci disse che noi dovevamo andare a Catania, prendere le prime immagini, rimetterci in macchina e tornare velocemente a Palermo per riuscire a portare in tempo utile le foto. Era un massacro. Dovete sapere che in questi servizi non si guadagnava granché perché noi fotografi eravamo tenuti a distanza, transenne lontanissime e potevi lavorare solo con potenti teleobiettivi. Non avevi molto margine di manovra. Invece i fotografi “papalini” potevano stare praticamente distanti un metro dal Santo Padre e questo mi questo mi disturbava molto.
Perché loro le foto tramite l’agenzia Ansa, le mandavano alle redazioni dei giornali con gli apparecchi delle “telefoto”. Tra gli altri mali i rimborsi della benzina erano così scarsi che volte in questi servizi ci rimettevamo soldi. Però eravamo contrattualizzati e dovevamo obbedire.
Ricordo che io mi arrabbiai moltissimo durante quella riunione e sbottai “ma niente ci può venire a questo Papa? Che so un potente raffreddore qualcosa che gli impedisca di venire a Catania”? Si ruppe il femore quella stessa sera il Papa. Cadde in bagno e si ruppe il femore! Non vi dico quello che successe! Decine di telefonate di chi aveva assistito a quella riunione! Il tenore era sempre e lo stesso “Franco tu devi volermi sempre bene” oppure “Franco lo sai che io sono tuo amico vero?” e via discorrendo. Ovviamente la visita papale fu recuperata e Papa Giovanni Paolo II ci a andò a Catania. Era il 17 settembre di quello stesso anno.
Io non partecipai ad alcuna riunione mi limitai solamente ad obbedire alle direttive che mi impartirono. Andai a Catania col mio socio Michele. Nel palco allestito per la messa c’erano tanti gradini che il Papa salì piano piano e con difficoltà. Io per caso mi accorsi che nel retropalco avevano allestito un piccolo elevatore. A metà cerimonia mi staccai dal gruppo e mi piazzai proprio dietro al palco dove c’era quel piccolo montacarichi. A fine cerimonia mentre tutti si aspettavano che il Papa scendesse le scale, lui monto su quell’ascensore e scese. Me lo ritrovai davanti. A mezzo metro. Ero l’unico fotografo in quella postazione. Lui mi guardò, sorrise e mi allungò la mano. Io misi tutta l’attrezzatura da parte e gliela baciai quella mano. In quel momento, non so come e perchè, io ero sicuro che lui lo sapesse cosa era successo mesi prima in quella stanza del Giornale di Sicilia. Io tutt’ora sono convinto che lui lo sapesse che gli avevo augurato il male, ma ero e sono convinto che lui mi aveva perdonato come solo un Santo sa e può fare!