Quella volta che parlai d’invidia con Jovanotti e Carboni

Articolo di Francesco Pira

Proprio qualche giorno fa un amico mi ha segnalato un video postato su Facebook nell’archivio di Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, di una mia intervista per la tv nazionale Video Music a Jova e a Luca Carboni dove abbiamo parlato di competizione e invidia. Era uno stralcio di un mio servizio per la trasmissione Metropolis. Eravamo molto giovani erano gli anni 90. Eravamo tre ragazzi pieni di buona volontà e con tanta strada da fare.

In quell’intervista chiesi a Jovanotti e a Luca Carboni quale fosse il loro punto di vista su un argomento su cui molto spesso si evita di parlare: l’invidia.

Jovanotti mi rispose senza esitazioni: “non sono mai stato invidioso,  l’invidia è qualcosa che non mi appartiene” . Luca Carboni, invece, mi disse che aveva scritto un brano sull’invidia, cogliendo gli aspetti positivi. “Amo lo stimolo alla competizione, ma non per superare gli altri, ma per migliorare se stessi” – replicò.

Spesso si ripete la frase: “se l’invidia fosse febbre”… in questo periodo di Covid 19 ne sarebbero cadute tante teste…

L’invidia come può essere definita? Sicuramente è un sentimento non sano, uno stato d’animo per cui, in relazione a un bene o una qualità posseduta da un altro, si prova dispiacere e astio, per non avere noi quel bene o quella qualità. E a volte il risentimento è tale da desiderare il male di colui che la possiede. L’ invidia di per sé è una emozione negativa, è quel “colpo al cuore” che si prova quando si viene a sapere che un altro ci ha superato, una vera e propria sofferenza che nasce da un confronto perdente, in un campo che è ritenuto importante per la persona invidiosa, e può diventare un sentimento duraturo, evolvere cioè in uno stato di malessere, di malumore e di malevolenza perpetua verso la persona invidiata.

Tutti conoscono l’invidia, perché tutti l’hanno provata anche se nessuno ha mai provato a confessarla. Viene sempre negata di fronte all’ evidenza, e spesso viene giustificata come ira o gelosia, perché tutti sanno che è una emozione meschina. La più infida e la più nascosta. Ha in sé due elementi disonorevoli: l’ammissione di sentirsi inferiore e il tentativo di danneggiare l’altro senza gareggiare a viso aperto, ma in modo subdolo, vile e sotterraneo, con una ostilità negata, mascherata da commenti denigratori nel tentativo ossessivo di privare la persona invidiata proprio di ciò che la rende invidiabile.

L’invidia è dolorosa per chi la prova, ma è anche potenzialmente pericolosa per gli altri, dal momento che implica ostilità, è socialmente distruttiva, minaccia lo status quo e mette in dubbio la correttezza professionale, la legittimità delle scelte e la credibilità della persona invidiata. L’ invidia è velenosa per chi la vive, per chi la esprime cercando di sopraffare il senso di inadeguatezza, ed autoconvincendosi che il successo dell’altro non sia meritato, che si sia in possesso di qualità migliori, e che le stesse non si sono potute esprimere per situazioni svantaggiose causate dall’ altro.

Nessuno mai ammette l’invidia, sia per non rendere evidente la propria posizione inferiore, sia per non essere riconosciuto come uno che “parla solo per invidia”, ma è bene sottolineare che all’ invidia è collegato anche un piacere, ovvero la soddisfazione che si prova davanti alle disgrazie altrui.

L’invidioso in genere lancia tre messaggi: sono inferiore, ti sono ostile e potrei anche farti del male. Per questo l’ invidia è distruttiva, richiede uno spreco di energie fisiche e mentali, minaccia la salute psicologica dell’ invidioso, che diventa instabile e aggressivo, reagisce aspramente agli eventi ostili, ed attribuisce il suo insuccesso alla sfortuna, invidiando ancora di più i risultati positivi del rivale. Oggi l’ invidia è diventata il peccato capitale più diffuso dell’ era dei social, soprattutto tra i giovani, ed è più intensa per la facilità con cui ci si addentra alle foto e commenti degli altri postati su Instagram o su Facebook, alle esperienze positive che non si possono realizzare e che scatenano le reazioni più disparate, sempre negative, come il desiderio di essere al posto di quella persona, se non addirittura desiderare che si ammali o sperare che muoia. L’invidia comunque è un sentimento che divora chi lo nutre, uomini e donne, e chi la prova non riesce ad instaurare reazioni positive con gli altri, restando bloccato in sentimenti come il risentimento, l’astio e la vergogna, con un senso di insicurezza che si approfondisce e che porta al crollo della fiducia in sé stessi. Come ha scritto giustamente Zigmunt Bauman, sociologo e filosofo polacco uno dei più grandi pensatori “Chi è insicuro tende a cercare febbrilmente un bersaglio su cui scaricare l’ansia accumulata e a ristabilire la perduta fiducia in sé stesso cercando di placare quel senso di impotenza che è offensivo, spaventoso e umiliante”.

Allora, forse, sarebbe meglio imparare a credere in se stessi e a lavorare sulle proprie insicurezze. E quindi hanno ragione Jovanotti e Carboni…meglio non essere invidiosi.

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