Il biopic è un genere molto difficile da affrontare, lo sa bene Mario Martone che nel suo nuovo film Qui rido io decide di utilizzare una struttura ad affresco. La vita del commediografo Eduardo Scarpetta è stata un insieme di episodi sul palco come nel privato che meglio descrivono l’animo di un grande artista. Agli inizi del novecento Scarpetta era al massimo della sua popolarità e il regista decide di partire da una decade che ha visto l’esplosione creativa per approfondire il personaggio.
In Qui rido io sono presenti tutti gli elementi della personalità di un uomo capace di sfidare D’Annunzio scrivendo una variazione su un lavoro del Vate. Attore per indole Scarpetta ha fatto di se stesso uno spettacolo che passa dalla sua numerosa prole per arrivare al profondo bisogno di un incessante applauso. Tony Servillo, nel ruolo del protagonista, riesce a variare la sua recitazione sul palco e quella privata fatta di tradizioni e innovazioni. La compagnia che il maestro mette insieme è il primo gruppo di attori che esula dalla maschera classica raccontando la vita di tutti i giorni con l’abilità di unire alle risa una profonda riflessione. Il risultato è una pellicola di palcoscenico, dove i fischi si uniscono ai trionfi in una sorta di ponte ideale verso quel teatro che Scarpetta ha saputo rinnovare trasformandolo in tradizione.
Martone accompagna la scena con una regia garbata che lascia spazio all’istrionismo di Servillo e alla continuità di uno spettacolo senza la parola “fine” com’è stata la vita di Scarpetta. Un film popolare che sarebbe riduttivo ridurre in un solo genere, in grado riflette su quanto il comico sia dramma visto da un’altra angolazione. Nel film si respira la curiosità umana di un autore che è diventato tutto e ha creato un universo fatto di personaggi in grado di condizionare la realtà.