Dopo lo sfruttamento dei lavoratori per la costruzione delle infrastrutture per i mondiali di calcio in Qatar e le presunte pressioni per accaparrarsi l’evento, un altro paese arabo è finito sotto il mirino dei media. L’Arabia Sadita lodata da alcuni politici italiani che l’hanno presentata come il paese del nuovo rinascimento, secondo il rapporto “Bloodshed and Lies: Mohammed bin Salman’s Kingdom of Executions”, pubblicato da Reprieve ed ESOHR, sarebbe tutt’altro che nuovo dal punto di vista dei diritti umani. Sotto accusa in particolare il settore delle esecuzioni capitali: “Il tasso di esecuzioni in Arabia Saudita è quasi raddoppiato da quando il re Salman e suo figlio Mohammed bin Salman (MBS)sono saliti al potere nel 2015”. Tra il 2010 e il 2021 sarebbero state almeno 1.243 le esecuzioni capitali (ma si teme che il numero reale possa essere molto più alto) e numerose le violazioni dei diritti umani. Secondo gli autori del rapporto, “i 6 anni più sanguinosi delle esecuzioni nella storia recente dell’Arabia Saudita sono avvenuti tutti sotto la guida di Mohammed bin Salman e del re Salman (2015, 2016, 2017, 2018, 2019 e 2022)”. Dal 2015 al 2022 (ovvero da quando è salito al potere re Salman) ci sarebbero state una media di 129,5 esecuzioni all’anno, con un aumento dell’82%”. Sette i reati che hanno portato ad una condanna a morte tra il 2010 e il 2021: omicidio, traffico di stupefacenti (compreso il contrabbando), reati sessuali, formazione o appartenenza a gruppi criminali organizzati, sequestro o sequestro fittizio accompagnato da aggressione, furto con scasso o rapina, sedizione, tradimento e reati contro la sicurezza dello Stato e, infine, “stregoneria”. Da sottolineare che, fatta eccezione per l’omicidio, i restanti sei tipi di reati non rientrano tra i “reati più gravi” ai sensi del diritto internazionale e, quindi, non dovrebbero portare alla pena di morte. Nel giugno 2020, un membro del Consiglio della Shura, l’organo legislativo dell’Arabia Saudita, ha sottolineato la necessità di un nuovo codice penale che definisse chiaramente i crimini e la loro punizione (altrimenti lasciati alla discrezionalità dei giudici) e ha proposto di limitare l’ambito di applicazione della pena di morte ai soli casi di omicidio intenzionale. Nel 2021, il principe ereditario Mohammed bin Salman ha annunciato la propria volontà di scrivere un nuovo codice penale. Al momento della stesura del rapporto, però, questo codice penale non è stato ancora promulgato.
Altro tema delicato è l’età delle vittime delle esecuzioni. Nelle scorsee settimane se ne è apralto a proposito dell’Iran, ma anche in Arabia Saudita ci sarebbero stati casi analoghi. L’Arabia Saudita ha ripetutamente affermato di non applicare la pena di morte ai minori o a seguito di reati commessi da minori. L’Arabia Saudita ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del Fanciullo (“CRC”). Ad aprile 2020 un nuovo regio decreto avrebbe “abolito… le condanne a morte discrezionali sui minorenni, comprese quelle riguardanti persone che non avevano compiuto 18 anni al momento della commissione del reato, compresi i condannati a morte per terrorismo”. Nel settembre 2016, una delegazione dell’Arabia Saudita ha dichiarato al Comitato delle Nazioni Unite sui Diritti dell’Infanzia che “non vi è alcuna applicazione della pena di morte sui minori”.
I dati riportati nel rapporto appena pubblicato dimostrerebbero il contrario.
L’applicazione del regio decreto rimane incerta, dato che secondo gli autori del rapporto non sarebbe stato ancora pubblicato o emanato come legge. L’imposizione della pena di morte a un soggetto minorenne al momento del presunto reato sarebbe vietata dal diritto internazionale consuetudinario. Il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite ha affermato che chiunque avesse meno di 18 anni al momento del presunto reato non potrà mai affrontare la pena di morte per quel reato, indipendentemente dalla loro età al momento della condanna o al tempo previsto per l’esecuzione della pena”. Nell’agosto 2018, l’Arabia Saudita ha promulgato la legge sui minori, che disciplina il trattamento dei minori nel sistema di giustizia penale. La Legge sui Minori prevede che se un minore di età superiore ai 15 anni commette un reato punibile con la morte, la pena è sostituita con la reclusione non superiore a 10 anni. La pena di morte resta per un’ampia gamma di reati in tre categorie della legge islamica: qisas (retributivo), had (obbligatorio) e ta’zir (discrezionale). Le disposizioni di legge su hudud e qisas sostengono che una persona condannata a morte obbligatoria è esclusa dall’applicazione della legge e può, quindi, essere condannata a morte e giustiziata. I dati riportati dai ricercatori confermano che l’Arabia Saudita avrebbe continuato a condannare a morte e a giustiziare persone che erano minorenni quando hanno commesso il reato di ci erano accusati. dal 2010, sarebbero almeno 15 le persone giustiziate per reati commessi quando avevano meno di 18 anni. Undici di queste esecuzioni sarebbero state eseguite dopo il 2015, quando re Salman è salito al trono. Sette sono state eseguite dopo il 2017, ovvero dopo la nomina del principe ereditario. Solo nel 2019 sarebbero state sei le esecuzioni di persone imputati per reati commessi quando erano minorenni. Molti minorenni sono attualmente a rischio di condanna a morte: il numero esatto non è noto.
Esemplare il caso di Abdullah al-Howaiti. Nato il 18 luglio 2002, è stato condannato a morte due volte, entrambe dopo l’annuncio del regio decreto del 2020, nonostante avesse solo 14 anni al momento del presunto reato. Nel 2017, quando aveva 14 anni, Abdullah è stato arrestato insieme al fratello mentre era a casa. Portato nella prigione di Tabouk, è stato tenuto in isolamento per quattro mesi. Abdullah è stato torturato fino a quando ha confessato di aver partecipato ad una rapina in una gioielleria durante la quale era rimasto ucciso un agente di polizia. Nel diario di Abdullah, scritto a mano durante i suoi quattro mesi di detenzione, sono descritte le sue proteste per dichiararsi innocente. La sua confessione è stata estorta con la tortura. Durante il processo, iniziato nel 2017, i difensori del ragazzo hanno fornito alla corte prove certe della sua età al momento del reato, del fatto che il ragazzo era stato torturato per estorcergli una confessione e della sua innocenza. I giudici del tribunale penale di Tabouk, tuttavia, pur ammettendo che Abdullah aveva solo 14 anni al momento del presunto reato (la data di nascita di Abdullah appare sulla sentenza), a ottobre 2019, hanno emesso la condanna a morte “sotto hudud”. Abdullah ha presentato ricorso alla Corte d’Appello. Ma a gennaio 2021 la Corte d’Appello di Tabouk ha confermato la condanna a morte. A novembre 2021, la Corte Suprema dell’Arabia Saudita ha annullato la condanna di Abdullah e rimesso tutto al tribunale di primo grado per l’esame del caso. Il Pubblico Ministero ha nuovamente chiesto la pena di morte nel nuovo processo di Abdullah e il 2 marzo 2022, il tribunale penale di Tabouk ha condannato a morte Abdullah per la seconda volta. Solo l’intervento del Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sul caso e sulla detenzione arbitraria dl giovane ha fermato l’esecuzione: è stato emesso un parere con il quale è stata dichiarata illegale la detenzione di Abdullah. Nel rapporto si parla di “allarme” per l’età di Abdullah al momento dell’arresto e di “grave preoccupazione” per le torture subite dal minore. Il gruppo di lavoro delle NU si è dichiarato “profondamente turbato” per l’imposizione della pena di morte in palese violazione dell’articolo 37 della CRC e ha concluso che Abdullah dovrebbe essere immediatamente rilasciato (anzi, che dovrebbe essergli concesso un risarcimento).
Il caso di Abdullah è l’eccezione che conferma la regola: nell’ultimo periodo, sono stati 15 i minorenni giustiziati in seguito a condanne a morte “discrezionali”. Due sono stati giustiziati in seguito a condanne a morte “obbligatorie”. Nonostante le affermazioni e le lodi di essere esempio di un “nuovo rinascimento”, i dati del rapporto appena pubblicato confermano che l’Arabia Saudita continua a utilizzare sistemi medievali e a giustiziare imputati minorenni (almeno fino a giugno 2021). In palese violazione degli accordi e trattati internazionali che ha ratificato e sbandierato.