Ormai della guerra in Ucraina si parla sempre ma non fa più notizia. I notiziari sono saturi di notizie sulle atrocità (comuni a tutte le guerre). Delle violazioni degli accordi internazionali (anche in questo casi non si sa perpetrate da chi). Delle montagne di dollari e euro in aiuti scaricati nelle casse dell’Ucraina da USA e UE.
Di un aspetto non si è parlato. I media occidentali continuano nella loro campagna mediatica di condanna della Russia (perfino dal punto di vista sportivo, basti pensare che il primo tennista al mondo non compare con il proprio paese di provenienza sui tabelloni del circuito internazionale e che il mitico torneo di Wimbledon è stato cancellato dai punteggi dell’ATP proprio per le pressioni che aveva esercitato in tal senso). Al tempo stesso, però, senza dire niente a nessuno, banche e istituti finanziari continuerebbero a fare affari con la Russia. Addirittura finanziando progetti definiti “carbon bombs”, bombe climatiche. É quanto emerge da alcuni dati raccolti dal database Leave it in the ground initiative (Lingo) diffuso da attivisti ucraini. Secondo gli autori sarebbero più di 400 gli istituti finanziari stranieri finanziatori di società russe. Il tutto per una cifra da capogiro: ben 130 miliardi di dollari (di cui 52 miliardi di dollari di investimenti e 84 miliardi di dollari in crediti). Finanziamenti e esportazione di gas e petrolio, che avrebbero consentito alla Russia di guadagnare ben 93 miliardi di euro nell’ultimo periodo.
Tra i principali finanziatori del settore energetico russo molti istituti americani (ben 154) con circa 23,6 miliardi di dollari. Primo fra tutti, con quasi 10 miliardi tra investimenti e linee di credito, JPMorgan Chase. La banca d’affari americana sarebbe uno dei principali finanziatori dei progetti di estrazione di combustibili fossili in Russia e, di conseguenza (secondo il ragionamento fatto da Lingo), anche della guerra. Anche i paesi arabi non avrebbero rinunciato a investire petrodollari in azioni russe. Anzi, pare che il più grande investimento singolo (15,3 miliardi di dollari verso la Rosneft) provenga dalla Qatar investment authority, un fondo del Qatar.
Anche il Regno Unito non ha rinunciato alla propria fetta di mercato. E mentre il governo parlava di embargo e di condanna della Russia, c’è stato chi ha continuato a fare affari con le società petrolifere russe: sarebbero ben 32 gli istituti finanziari per ben 2,5 miliardi di dollari di investimenti. E poi gruppi finanziari dal Giappone, dalla Norvegia, dalla Svizzera e dai Paesi Bassi. E perfino dall’Italia.
Ma non basta. L’embargo sbattuto sulle prime pagine dei media di tutti paesi europei e americani sarebbe di fatto una mezza bufala. Secondo un’inchiesta della Associated Press, dal 28 febbraio data di inizio ufficiale della guerra, sarebbero state più di 3.600 le spedizioni partite dai porti russi dirette negli USA. “Si tratta di un calo significativo rispetto allo stesso periodo del 2021, quando erano state registrate circa 6.000 spedizioni, ma si parla comunque di un fatturato di oltre 1 miliardo di dollari al mese”, ha sottolineato l’AP. Legname, metalli, gomma e altri prodotti hanno continuato a viaggiare regolarmente tra Russia e USA, in barba all’embargo sbandierato ai quattro venti.
Il commercio con la Russia non si è mai fermato. Nemmeno dopo l’invasione dell’Ucraina.
Il motivo è semplice: vietare le importazioni di determinati articoli probabilmente avrebbe causato più danni agli Stati Uniti che alla Russia. Blanda la giustificazione delle autorità dopo la pubblicazione del rapporto dell’AP: “Il nostro compito è quello di pensare a quali sanzioni hanno il maggior impatto consentendo al commercio globale di funzionare”, ha dichiarato l’ambasciatore Jim O’Brien, capo dell’Ufficio di coordinamento delle sanzioni del Dipartimento di Stato.
Sanzioni e blocchi non servono a nulla (lo dimostrano gli effetti ottenuti sulla Russia e sull’andamento del conflitto). I divieti, negli USA, nell’Unione Europea e nel Regno Unito, servono solo ad avere regole commerciali contorte che confondono acquirenti, venditori e responsabili politici. E favoriscono speculazioni multimiliardarie.
L’amministrazione Biden e quella dell’UE hanno pubblicato elenchi separati di società russe che non possono ricevere esportazioni, ma neanche questi limiti sono stati rispettati: ad esempio, una società russa (che fornisce metallo all’esercito russo per produrre aerei da combattimento come quelli che attualmente sganciano bombe in Ucraina), nonostante fosse inserita in questi elenchi, ha continuato a vendere milioni e milioni di dollari di metallo a imprese americane ed europee. La giustificazione di molti importatori (specie statunitensi) è che non hanno scelta. Ad esempio, nel caso delle importazioni di legno, le foreste di betulle della Russia forniscono un legno duro e resistente che è materia prima di base per i produttori di mobili e pavimenti americani. Per questo container di beni e semilavorati prodotti in Russia continuano ad arrivano nei porti degli Stati Uniti praticamente ogni giorno.
In alcuni casi, gli arrivi sono stati persino incoraggiati dall’amministrazione Biden (come le oltre 100 spedizioni di fertilizzanti arrivate dopo l’invasione). Secondo AP, nei porti USA potrebbe arrivare perfino petrolio: le compagnie energetiche statunitensi continuano a importarlo dal Kazakistan attraverso i porti russi, ben sapendo che, spesso, quel petrolio è mescolato con il combustibile estratto in Russia.
L’economia globale, oggi, è così intrecciata che imporre delle sanzioni comporta i rischi non accettabili. E aumento dei prezzi non tollerabili. Movimenti sui quali è facile speculare.
Quanto sta avvenendo in Europa nel settore del petrolio e delle fonti energetiche potrebbe essere frutto più di speculazioni più che di aumenti dei costi alla fonte. A dimostrarlo sarebbero i dati del TTF, Title Transfer Facility, il mercato all’ingrosso del gas naturale. Tra i più grandi dell’Europa continentale, ha sede nei Paesi Bassi e rappresenta il riferimento per i prezzi del gas in Europa (e, quindi, in Italia). É attraverso questa piattaforma che avviene la compravendita del gas tra i più grandi operatori e trader del settore, produttori e fornitori, che vendono e acquistano il gas naturale per poi rivenderlo ai clienti finali: aziende e utenti domestici. Ebbene, il prezzo di acquisto del gas è collegato all’indice TTF. Nessuno ha detto che questo indice aveva cominciato a salire vertiginosamente già ad aprile 2021. Tra aprile e dicembre 2021, il prezzo del TTF e quello del petrolio era aumentato del 600%! Molti mesi prima dell’inizio della guerra in Ucraina.
Se a questo si aggiungono gli utili stratosferici maturati nell’ultimo periodo dalle maggiori compagnie petrolifere (comprese quelle a compartecipazione dello stato italiano) appare evidente che più che di fenomeni dovuti ad aumenti dei costi delle materie prime si dovrebbe parlare di speculazioni a danno dei consumatori (spesso con il bene placet di chi dovrebbe sorvegliare che ciò non avvenga).
Russia e Stati Uniti non sono mai stati grandi partner commerciali. Sapevano tutti che sanzionare le importazioni non avrebbe prodotto danni rilevanti né all’una né all’altra economia. Diversa la situazione per l’Europa dove le conseguenze sono certamente peggiori. Ma questo non dispiace a chi come gli USA cercano di sostituirsi alla Russia in molti settori. Continuando a speculare sul mercato dei combustibili fossili…