Resistenza e Costituzione

Articolo di Salvatore Distefano

Il prossimo 25 Aprile, Festa della Liberazione, ricorderemo la fine della Seconda guerra mondiale, la sconfitta del nazifascismo e l’inizio di una nuova fase della storia dell’umanità. Le iniziative dei prossimi giorni serviranno a riaprire una riflessione essenziale per il nostro Paese, quella riferita alla Resistenza e all’Italia del secondo dopoguerra. E come avviene sovente si fa un uso non sempre corretto della Storia per dare forza alle posizioni di chi sostiene un determinato schieramento politico; anzi, si abusa della disciplina e si utilizzano arbitrariamente concetti e giudizi storiografici. Tutto ciò dopo anni di dibattito sulla «fine della Storia» e l’affermarsi di un luogo comune che ritiene la storia una disciplina svuotata di ogni attrattiva; e come se non bastasse, la sovrapposizione sempre più frequente tra storia, romanzo e fiction scardina presso le nuove generazioni il significato della storia come scienza e rende il confine tra il vero e il verisimile, e perfino il falso, invisibile o irrilevante; peraltro, occorre contrastare fermamente qualsiasi forma di “revisionismo” e di “negazionismo storico”. E proprio per evitare rischi di questo genere, vediamo perché è così importante festeggiare il 25 Aprile, la Festa della Liberazione dal nazifascismo (1945).

Difendere la Repubblica democratica e antifascista nata dalla Resistenza è diventato un tratto essenziale dell’azione politica e culturale democratica perché con essa è nata una nuova Italia dopo la vergogna del fascismo. E l’antifascismo, al di là delle ideologie dei partiti, è stato il fenomeno politico e culturale più importante nell’Italia del secondo dopoguerra. Un’Italia che aveva avviato una trasformazione progressiva delle basi economiche e sociali, nella quale finalmente il mondo del lavoro potesse avere un ruolo centrale, superando così la politica antioperaia del ventennio, ma anche il conservatorismo prefascista che aveva escluso dalla vita del Paese le grandi masse popolari.

Peraltro, in Italia è invalsa negli ultimi decenni una moda: sminuire la ferocia del nazifascismo, paragonandolo ad una villeggiatura della quale i prigionieri politici antifascisti dovrebbero essere grati al duce, e per paradosso vengono denigrati i partigiani, e con loro la Resistenza antifascista, cioè chi ha portato la pace, la libertà e la democrazia. Dobbiamo valorizzare il sacrificio e la lungimiranza di coloro che si opposero al fascismo sin dal suo primo sorgere, nei drammatici anni Venti subito dopo la Prima guerra mondiale, e continuarono la lotta durante la dittatura feroce, dopo le ‘leggi fascistissime’, pagando con il carcere duro o con l’esilio la scelta di non piegarsi al regime. E qui è giusto ricordare, tra gli altri, il sacrificio di Matteotti, di Gramsci, dei fratelli Rosselli.

L’8 settembre del ’43 iniziò la Resistenza, la guerra di Liberazione che i partigiani, uniti con gli Alleati, portarono avanti fino al 25 aprile del 1945 con l’obiettivo di risollevare l’Italia dal fango e dalla vergogna nella quale l’aveva gettata il regime mussoliniano, che irresponsabilmente aveva trascinato il nostro Paese nella guerra voluta dal nazismo. Ma non contenti di ciò i fascisti, anche dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia e la firma dell’armistizio (Cassibile, Siracusa), continuarono a stare dalla parte della barbarie dei nazisti seguendoli nella loro folle azione di sterminio e di annientamento.

Per responsabilità del fascismo, l’Italia era precipitata, e continuava a precipitare nel baratro della guerra, della miseria, dello sfruttamento. Solo l’azione unitaria e di massa del popolo italiano avrebbe potuto, come in effetti poi accadde, salvare il nostro Paese da una catastrofe.

La Resistenza, dunque, come punto alto della storia italiana (una delle quattro R: Rinascimento, Risorgimento, Resistenza, Repubblica) perché ha visto il protagonismo dell’intero popolo italiano, che umiliato dal ventennio fascista e dalla Seconda guerra mondiale, seppe trovare la forza materiale e morale per riscattarsi e risorgere. Peraltro, nel nostro Paese non era mai venuta meno l’attività antifascista, che con grande sacrificio le forze democratiche e di sinistra avevano portato avanti contro il totalitarismo fascista. Le formazioni partigiane testimoniavano, non a parole, la critica che il popolo italiano aveva sviluppato negli anni della tirannide fascista; e con la loro forza organizzativa, con i loro ideali, con il loro sacrificio dimostravano l’esistenza di un’altra Italia. Di quell’Italia che non voleva tornare allo stato liberale prefascista frutto di una borghesia che pur di non allargare le basi dello stato alle grandi masse popolari, rappresentate in quel contesto dai socialisti e dai cattolici, fece una rapida virata a destra e preferì distruggere l’ansimante stato liberale piuttosto che dare riconoscimento politico e sociale alle classi subalterne.

La Resistenza, pertanto, si richiamò al Risorgimento per l’alto valore politico e morale, ma seppe andare oltre lo stesso Risorgimento vista la partecipazione di massa, gli interessi sociali che mise in campo, gli ideali del lavoro, della tutela dei diritti individuali e collettivi, della solidarietà, della pace, della libertà di pensiero e d’espressione, dell’autonomia della scienza e della cultura, dell’uguaglianza e della giustizia sociale.

Gli ideali dell’antifascismo e della Resistenza, trasfusi in gran parte nella Costituzione della Repubblica, hanno concorso alla formazione di una coscienza civile che ha costituito il più saldo cemento dell’identità e dell’unità nazionale.

Ancora: la Resistenza rappresentò una novità senza precedenti nel rapporto masse−istituzioni e preparò la rinascita – o per alcuni la nascita – dei partiti di massa che hanno avuto un ruolo essenziale nella vita politica del Paese, anche se negli ultimi anni la vita dei partiti è stata piuttosto controversa. In quel torno di tempo si venne a creare tra le forze organizzate – gli uomini, le donne e i giovani di diverso orientamento – una dialettica tesa al confronto, che in qualche occasione assunse toni aspri, di posizioni politico−ideali molto diverse, ma che trovarono il modo di dialogare. Le grandi correnti politico−culturali che avevano segnato la storia italiana, quella cattolica, quella marxista, quella liberale, trovarono la sintesi alta tra le diverse ispirazioni e orientamenti, dando basi fondanti moderne e democratiche, e consentendo di avviare un processo di trasformazione sociale capace di superare la società classista ed elitaria del passato. Da queste diverse istanze, ben radicate nella vita del Paese, ci fu la nascita di uno ‘stato di diritto sociale’, la novità più rilevante rispecchiata e contemplata dall’ordinamento repubblicano.

Forze con matrici ideologiche e storiche lontane, in grado però di avvicinarsi, di dialogare, di traguardare l’immediato e il particolare, riuscendo a produrre risultati di dimensione epocale: la Repubblica, l’Assemblea costituente, la Costituzione.

Ecco, la Costituzione si fonda sul legame inscindibile tra democrazia e antifascismo, perché stabilisce la rottura tra l’Italia del secondo dopoguerra e il suo passato, simboleggiato dal fascismo e dalla tradizione liberal−moderata dello Statuto albertino.

Ebbene, una Costituzione così avanzata e democratica ha suscitato da qualche anno la reazione scomposta e inconsulta delle forze che la osteggiano perché vorrebbero tornare all’Italia dei privilegi, del censo, dei lavoratori ridotti a umili servitori; da forze che non vedono l’ora di rompere l’unità del Paese per tornare alla fine dell’universalismo e della pari dignità, alla cancellazione dei diritti collettivi, alla soppressione dei contratti nazionali. Tutto ciò condito con elementi di razzismo, di intolleranza, di oscurantismo, a volte di puro integralismo.

Per questo 25 Aprile vorrei suggerire la (ri)lettura di un bellissimo libro che anni fa è stato alla base della crescita umana, culturale, civile e politica delle nuove generazioni. Non per caso nel 1973, ma la prima edizione era stata pubblicata nel 1945, Franco Antonicelli nella presentazione ai lettori scriveva:<<Questo non è un libro, è stato detto, ma un’azione: l’ultima azione di 112 condannati a morte i quali conclusero la loro parte di lotta nei seicento giorni della Resistenza italiana comunicando ai famigliari o ai compagni un’estrema notizia di sé, un addio, un mandato, un sigillo ideale. Ed è un’azione che ne apre un’altra, che si trasferisce dai morenti ai superstiti, con la sua eccezionale elevatezza morale, con il suo complesso significato politico e storico, col peso stesso, grave, dolente, delle sue sofferenze umane. Meditate, queste lettere non possono essere comprese nel loro infinito valore, e comprese, non possono non chiarire i nostri giudizi e migliorare i nostri animi>>.

Centodieci partigiani e patrioti vengono catturati dai tedeschi e dai fascisti repubblichini e già sanno che saranno uccisi dai plotoni di esecuzione e dai torturatori. E prima di morire scrivono ai familiari: alla madre, alla sposa, all’amata, ai compagni di studio, di lavoro, di vita. Sono espressione di vari ceti sociali hanno vissuto esperienze diverse, sono stati fatti prigionieri in luoghi e in condizioni più disparate. Tutti vivono, per la prima e l’ultima volta, l’atroce esperienza di << un tempo breve eppure spaventosamente lungo, in cui si toglie all’uomo il suo più intimo bene, la speranza>>, come sottolineò Enzo Enriques Agnoletti.

Maria Luisa Alessi, di 33 anni, che svolgeva attività di collegamento con il Partito Comunista Italiano di Saluzzo, era staffetta partigiana della 184a Brigata “Morbiducci” operante in Val Varaita. Catturata l’8 Novembre 1944 da militi della 5a Brigata Nera “Lidonnici”. Fucilata il 26 Novembre 1944.

Cuneo, 14 novembre 1944

Come già sarete a conoscenza, sono stata prelevata dalla Brigata Nera: mi trovo a Cuneo nelle scuole, sto bene e sono tranquilla.

Prego solo non fare tante chiacchere sul mio conto, e di allontanare da voi certe donne alle quali io debbo la carcerazione.

Solo questa sicurezza mi può far contenta, e sopra tutto rassegnata alla mia sorte. Anche voi non preoccupatevi, io so essere forte.

Vi penso sempre e vi sono vicino.

Tante affettuosità

Maria Luisa

Antonio Brancati uno studente ventitreenne di Ispica (Ragusa), fu catturato il 22 marzo nei pressi di Grosseto dalle forze tedesche e fasciste e fu fucilato lo stesso giorno con altri partigiani.

Carissimi genitori,

non so se mi sarà possibile potervi rivedere, per la qual cosa vi scrivo questa lettera. Sono stato condannato a morte per non essermi associato a coloro che vogliono distruggere completamente l’Italia.

Vi giuro di non aver commessa nessuna colpa se non quella di aver voluto più bene di costoro all’Italia, nostra amabile e martoriata Patria. […]

Ricordatevi sempre di me.

Un forte bacione

Antonio

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