Il Giorno del Ricordo è una solennità civile nazionale italiana, celebrata il 10 febbraio di ogni anno. Istituita con la legge 30 marzo 2004, vuole: «Conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale».
Si è voluto che il «Giorno del Ricordo» il giorno in cui, il 10 febbraio 1947, furono firmati i trattati di Pace di Parigi che assegnavano alla Jugoslavia l’Istria, il Quarnaro, la città di Zara con la sua provincia e la maggior parte della Venezia Giulia, in precedenza facenti parte dell’Italia.
Nel 2005 gli italiani furono chiamati per la prima volta a celebrare il «Giorno del Ricordo», in memoria dei quasi ventimila nostri fratelli torturati, assassinati e gettati nelle foibe (le fenditure carsiche usate come discariche) dalle milizie della Jugoslavia di Tito alla fine della seconda guerra mondiale.
La memoria delle vittime delle foibe e degli italiani costretti all’esodo dalle ex province italiane della Venezia Giulia, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia è un tema che ancora divide. Eppure quelle persone meritano, esigono di essere ricordate.
Per questo motivo attraverso quest’intervista al professore Salvatore Distefano, (docente di Filosofia e Storia, è stato supervisore del tirocinio S.I.S.S.I.S. e del TFA presso Università degli Studi di Catania, collabora con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, ed è Presidente dell’Associazione Etnea Studi Storico-filosofici di Catania) proviamo a ri-costruire quegli eventi drammatici, e a capire come mai questa tragedia è stata confinata nel regno dell’oblio per quasi sessant’anni. Un viaggio nella memoria e nei ricordi anticipato da un magistrale e letterario testo scritto dallo scrittore Carlo Sgorlon (1930-2009): «Molti triestini scomparivano. Uscivano per comprare il pane o le sigarette, e non tornavano più. Molti altri, anche più numerosi, venivano prelevati dai partigiani [slavi] a casa loro, mentre stavano a tavola o a letto, e di essi non si sapeva più nulla, come si fossero dissolti nell’aria» (La foiba grande, Mondadori, 1992).
D.: Un paio di settimane fa abbiamo commemorato, riflettuto sulla Giornata della Memoria. Con la legge 30 marzo 2004 n. 92 viene istituito il «Giorno del ricordo»: una solennità civile nazionale italiana, celebrata il 10 febbraio di ogni anno, che ricorda i massacri delle foibe e l’esodo giuliano dalmata. Una legge che vuole «conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale». La data prescelta è il giorno in cui, nel 1947, furono firmati i trattati di pace di Parigi, che assegnavano alla Jugoslavia l’Istria, il Quarnaro, la città di Zara con la sua provincia e la maggior parte della Venezia Giulia, in precedenza facenti parte dell’Italia. Professore Distefano ci aiuta a comprendere e a contestualizzare il fatto «foibe»?
R.: La data del 10 febbraio, guarda caso il giorno in cui fu firmato il trattato di pace a Parigi tra gli Alleati e l’Italia dopo la Seconda guerra mondiale, appunto il 10 febbraio 1947. Una pace, quella di Parigi, certamente dura per noi, le cui conseguenze dovettero venir «somministrate» per gradi – il memorandum di Londra del 1954 e il trattato di Osimo del 1975 – e che non solo marcò la crisi dei sogni di potenza dell’Italia monarchico-fascista, ma inferse una profonda ferita al corpo stesso della nazione. Peraltro, la scelta della data del «Giorno del ricordo» è significativa perché rappresenta il tentativo di rivalsa dei fascisti italiani, sconfitti nella Seconda guerra mondiale in quanto alleati del nazismo hitleriano, fascisti che rimasero fedeli al regime hitleriano dello sterminio e della “soluzione finale”, anche dopo lo sbarco degli anglo-americani in Sicilia (10 luglio 1943) e l’armistizio di Cassibile (Siracusa) dell’8 settembre (era stato firmato il 3 e fu reso pubblico l’8). Di più: avevano costituito lo stato fantoccio della RSI (repubblica sociale italiana) a Salò, con il quale continuarono ad essere servi della bestiale ferocia del nazismo soprattutto nell’Italia centro-settentrionale, come dimostrano le tante stragi naziste tra il 1943 e il 1945. (rinvio a Lutz Klinkammer, Le stragi naziste in Italia, Donzelli, 2006)
La vicinanza temporale e terminologica con il «Giorno della Memoria» (27 Gennaio) è funzionale alla volontà di assimilare i due fenomeni commemorativi, ma la vera contrapposizione è con il 25 aprile. Se i partigiani hanno una giornata di festa nazionale, sembra affermare questa costruzione memoriale, anche i fascisti, che così hanno inteso fagocitare tutta la vicenda del “confine orientale”, devono avere la loro. Il contesto storico-geografico è quello, senza voler andare troppo indietro nel tempo, della dissoluzione dell’impero austro-ungarico dopo la Prima guerra mondiale: a partire dalla Conferenza di Parigi del 1919, quest’area di popolazioni e culture diverse farà parte di uno Stato che si identificherà rigidamente con una sola nazionalità, anche se ciò sarà un elemento comune a buona parte dell’Europa centro-orientale dopo la scomparsa degli imperi multinazionali. In quell’area le frontiere furono stabilite con i trattati di Rapallo (12 novembre 1920) e di Roma (27 gennaio 1924), per mezzo dei quali l’Italia ottenne prima tutta la Venezia Giulia e poi anche Fiume: in pratica furono annesse zone abitate in prevalenza da popolazione slovena. Il trattato di Rapallo realizzava in pieno le aspettative italiane e questo era dovuto alla favorevole posizione negoziale dell’Italia, che era uscita vincitrice dalla grande guerra, pur nel quadro di quella che fu chiamata “vittoria mutilata”.
Le cose peggiorarono ulteriormente quando il fascismo, espressione di un nazionalismo violento e aggressivo, conquistato il potere dopo la marcia su Roma del 28 Ottobre 1922, mise in atto la politica «assimilazionista». Migliaia di persone furono costrette ad andare via: i germanofoni e gli «austriacanti» emigrarono verso l’Austria, la Germania e l’Ungheria; molte altre migliaia scelsero di andare verso la Francia, il Medio-Oriente e addirittura le Americhe. Inoltre, tantissimi sloveni e croati passarono nel nuovo stato jugoslavo, che si era costituito il 1° dicembre 1918 e che si dissolverà in anni recenti. D.: Perché una buona parte dei manuali scolatici (https://digilander.libero.it/lefoibe/libriscuole.htm) non affronta didatticamente e scientificamente questo «caldo, difficile, scomodo» tema? Perché si racconta delle foibe – anche se non sempre in modo storico e/o storiografico «corretto» – e mai della repressione fascista?
D.: Professore Salvatore Di Stefano, da docente di Storia con una esperienziale più che ventennale a che «cosa» si devono / dovrebbero ascrivere le ragioni delle rimozioni o delle omissioni? Alla fine del «secolo breve» e o all’inizio del nuovo millennio perché la Storia non appare più un «dovere etico»?
R.: Vorrei dare un’unica risposta alla seconda e alla terza domanda. La questione del «confine orientale» è stata rimossa per diversi motivi. Intanto, perché c’è un problema di fondo nell’affrontare la nostra storia: la rimozione di tutto ciò che potrebbe apparire «compromettente» per l’immaginario collettivo e soprattutto per le classi dominanti delle varie epoche: il Risorgimento come grande abbraccio tra moderarti e democratici, il paternalismo monarchico-liberale dei primi decenni post-unitari, il fascismo come “totalitarismo imperfetto”, in pratica una sorta di regime che mandava gli oppositori in “villeggiatura”, i soldati italiani “brava gente”, quindi niente stragi e massacri nei paesi occupati, e via dicendo. Fortunatamente tutto questo è ormai smentito da una storiografia seria e «verificazionista» che ha rovesciato gli stereotipi e sta lavorando affinché gli italiani possano ripensare e ridefinire il loro passato.
C’è poi il grande nodo del post-seconda Guerra mondiale quando passammo, dopo un breve e drammatico periodo di transizione nel quale le sinistre furono cacciate dal governo – nel 1947 dopo il viaggio di De Gasperi negli USA – e subirono una campagna di forsennato anticomunismo, sotto l’egemonia economico-politico-militare statunitense e dunque, per non rafforzare, pur non volendo, lo schieramento democratico e antifascista che faceva riferimento al Fronte Popolare voluto dal PCI e dal PSI, si occultava sia il periodo liberal-monarchico, sia quello fascista. Peraltro, i fascisti svolsero un ruolo duplice: apparentemente all’opposizione, di fatto per la loro feroce militanza anticomunista furono inseriti nella strategia atlantica per impedire qualsiasi forma di radicale svolta democratica del nostro paese, come ha dimostrato la “strategia della tensione” (bombe, assassinii politici, attentati, stragi).
Infine, la rottura tra la Jugoslavia di Tito e l’URSS di Stalin per un lungo periodo, almeno fino agli anni Settanta, fece sì che il PCI che attribuisse un valore minore a tutta la questione del confine orientale e della Jugoslavia titina, che l’avrebbe costretto a fare i conti con i nodi della Resistenza in quelle terre e con il centralismo sovietico e l’autogestione jugoslava a proposito della costruzione del socialismo nel secondo dopoguerra.
Spero che in futuro il «Giorno del ricordo», per una sorta di eterogenesi dei fini, abbia un effetto positivo: far capire alla stragrande maggioranza della popolazione italiana l’importanza della questione e consentire agli storici di affrontarla come si fa sempre nel campo della storiografia qualificata. E che possa entrare correttamente nei manuali attraverso una esposizione didattico-contenutistica che permetta alle allieve e agli allievi di avere intelligenza delle questioni e dar loro la possibilità di comprendere criticamente la realtà nella quale vivono; anzi, nella quale viviamo.
Al contrario di come hanno fatto i fascisti, occorre che nella scuola della repubblica ci siano ricostruzioni storiche corrette, ben più documentate e complete di quanto si è detto e fatto fino ad oggi sul 10 febbraio, “Giorno del ricordo”. Ecco perché sarebbe importante che le prossime iniziative in programma nelle scuole coinvolgano, accanto alle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati, studiosi, storici, associazioni culturali, istituti di diverso orientamento, ecc., impegnati nel dibattito e nella ricerca di merito, affinché la questione venga trattata in modo trasparente, senza nascondere o travisare i fatti accaduti; senza censura di atti, documenti, filmati, testimonianze e di quanto può servire per conoscere approfonditamente la vicenda. Tutto ciò nell’ottica di riaffermare i valori di libertà, democrazia, eguaglianza, solidarietà, pace, giustizia sociale, che sono proclamati dalla Costituzione italiana, nata dalla Resistenza antifascista.